Per il post covid non serve la normalità, ma un nuovo sistema di pensiero

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Ma non dovevamo uscirne migliori? 

In molti se lo stanno chiedendo, osservando come dopo la prima settimana di Fase 2 imperversano polemiche, attacchi, complottismi, dalle timeline dei social ai balconi di quartiere, tutti sono in guerra con tutti. Ancora non sappiamo se alla fine davvero “andrà tutto bene”, ma già gli arcobaleni sui davanzali sono diventati parte dell’arredo urbano e i momenti di commozione in cui si battevano le mani alla finestra per sentirsi più vicini, un ricordo persino imbarazzante. Circa a metà del periodo di lockdown da cui stiamo lentamente uscendo, mi sono imbattuta nel servizio di un telegiornale nazionale che mostrava le più belle piazze d’Italia vuote come modellini di architettura. E terminava l’excursus con la frase: “Non vediamo l’ora di tornare a fare rumore”. L’inquadratura  sulla fontana di Trevi si riempiva all’improvviso di turisti, e qualcosa nei miei pensieri si è fermato.

Non vediamo l’ora di tornare a fare rumore? Davvero?

Eppure dall’inizio dell’emergenza Covid-19, il letimotiv che accompagna ogni riflessione, dall’economia, all’ambiente, è la necessità di un cambiamento. La pandemia ha drammaticamente portato alla luce che viviamo in un mondo di estrema complessità, che c’è una forte interconnessione tra le persone, ma anche tra le persone e la natura. È stata anche prospettata l’ipotesi che tra le cause scatenanti della diffusione del virus ci sarebbe una ferita nell’ecosistema. Vero o no, bisognerebbe tenerne conto. Pensare di “tornare alla normalità” come se nulla fosse successo, come se la pandemia fosse solo un incidente da superare, è fuorviante e forse anche un tantino sciocco.

In questo la retorica dello stato di guerra che ha accompagnato la quarantena non è stata d’aiuto: le guerre, per chi le ha vissute solo nei libri di storia, iniziano e poi finiscono, e la vita riprende da dove si era lasciata. La verità è che le ferite sociali, emotive, economiche di una guerra richiedono molto tempo per sanare, e in ogni caso non riportano a una presunta normalità precedente.

Va poi rilevato che questo evento, la pandemia tuttora in atto, è talmente straordinario che non può essere ricondotto  a categorie conosciute. Non può aderire a modelli del passato. Per alcuni è stato chiaro subito, altri ci stanno arrivando gradualmente: non torneremo alla normalità, perché la normalità non esiste. Quella che consideravamo normalità, era solo una possibile lettura del mondo. E tutto sembra raccontarci, in questo momento, quanto quella letture fosse sbagliata.

“La crisi in una società provoca due processi contraddittori. Il primo stimola l’immaginazione e la creatività nella ricerca di nuove soluzioni. Il secondo è la ricerca di un ritorno alla stabilità passata, nonché la denuncia o l’immolazione di un colpevole. Questo colpevole potrebbe aver commesso gli errori che hanno causato la crisi, oppure potrebbe essere un colpevole immaginario, capro espiatorio che deve essere eliminato.”

424px-edgar_morin_2011_croppedCon queste parole si esprime in un’intervista a Le Monde, lo scorso 19 aprile, Edgar Morin, filosofo e sociologo ultranovantenne, da molti considerato uno dei padri del “pensiero complesso”. E forse è proprio in questa disciplina che oggi possiamo trovare le chiavi per un nuovo modo di leggere la realtà che ci circonda, un nuovo sistema di pensiero, che tenga conto della complessità della vita su questo pianeta, delle interazioni, delle correlazioni. La filosofia della complessità può insegnarci l’approccio sistemico di cui abbiamo bisogno per riprogettare le nostre vite. Nell’intervista, Morin parla di un “umanesimo rigenerato” che potrebbe portare delle vere riforme, non tanto interventi sul bilancio, ma riforme della civiltà, della società, riforme della vita. Afferma: “Non possiamo sapere se, dopo la quarantena, il comportamento e le idee innovative decolleranno, o addirittura rivoluzioneranno la politica e l’economia, o se l’ordine scosso verrà ripristinato. Possiamo temere fortemente la regressione generale che stava già avvenendo nei primi venti anni di questo secolo: crisi della democrazia, corruzione e demagogia trionfali, regimi neo-autoritari, spinte nazionaliste, xenofobe, razziste”.  

Di tutto questo il filosofo incolpa il sistema di pensiero cosiddetto “disgiuntivo e riduttivo”, quello dominante nella civiltà occidentale. Quel tipo di pensiero in cui la conoscenza progredisce per compartimenti stagni, in un’iperspecializzazione aggravata dal potere decisionale del profitto che non porta progresso, anzi. Porta a una chiusura, un collasso, un’implosione che di fatto è regressione rispetto alla storia sociale dell’Uomo. Eppure, dall’inizio della pandemia si sono mostrate forti le connessioni e gli scambi tra ricercatori di varie specializzazioni, in tutto il mondo. La scienza, secondo Morin, vive di comunicazione. Il progredire di una disciplina si annulla se non porta con sé gli elementi del sistema con cui tale disciplina è connessa.

Che cosa significa essere consapevoli della complessità del reale? Come si può comprendere la connessione tra noi esseri umani e l’ambiente che ci ospita, le differenze, confrontarsi con le incertezze, le deviazioni, gli errori? È del 2000 l’opera di Morin che elenca i “sette saperi necessari all’educazione del futuro”. Sette condizioni o categorie per riorganizzare in modo transdisciplinare il pensiero e l’educazione di ogni società e cultura. Non è roba da filosofi o da demandare alle task force governative che dovrebbero riorganizzare le nostre vite. È qualcosa a cui tutti possiamo e dobbiamo guardare con speranza e dedizione. Soprattutto in un momento in cui anche la didattica è fortemente messa in discussione, tutti siamo chiamati ad esercitare il pensiero, affidandoci anche a chi lo fa con un’esperienza che è valore per tutti. Se è un cambiamento quello che ci serve, che non sia un cambiamento vago. 

Eccoli, i 7 saperi di Morin per una nuova forma di conoscenza:

1- Conoscere la conoscenza. Misurarsi con il rischio, con l’errore, con l’illusione. È importante conoscere i processi, le modalità, il carattere della conoscenza umana. L’educazione non va fatta con dogmi, ma attraverso processi di conoscenza.

2 – La conoscenza deve cogliere i problemi globali e gli oggetti nei loro insiemi, sviluppando quell’attitudine naturale della mente umana a situare le informazioni in un contesto. Lezione utilissima in epoca di fake news.

3 – Insegnare la condizione umana: complesso non vuol dire complicato. Il complicato genera timore e l’impossibilità di trovare strumenti adeguati per spiegare. Il complesso indica una condizione in cui si riuniscono le conoscenze disperse nelle scienze della natura, nelle scienze umane, nella letteratura e nella filosofia. Senza conflitto.

4 – Insegnare l’identità terrestre: in quanto abitanti del pianeta Terra abbiamo un unico destino. L’appartenenza è una dimensione primaria e ancestrale, che permette di vincere la paura dell’altro e i conflitti che genera. Scoprendo una radice comune, diviene possibile concepire misure, cambiamenti, interconnessioni planetarie. Per questa lezione, la pandemia in corso ha portato apprendimenti importanti.

5 – Affrontare le incertezze. Più ci si addentra nella conoscenza, più si diviene certi di non sapere. È importante apprendere strategie per accettare l’impermanenza, l’indeterminatezza.

6 – Insegnare la comprensione. La parola chiave di questa lezione è empatia.
«Un pensiero capace di non rinchiudersi nel locale e nel particolare, ma capace di concepire gli insiemi, sarebbe adatto a favorire il senso della responsabilità e il senso della cittadinanza. La riforma di pensiero avrebbe dunque conseguenze esistenziali, etiche e civiche».

7 – L’etica del genere umano: verso l’antropoetica. L’essere umano si manifesta in tre condizioni: individuo, elemento sociale e parte di una specie. È possibile mantenere in equilibrio dinamico le tre condizioni, conservando l’importanza di ciascuna? Secondo Morin è questa la sfida del millennio. 

  • Elvira Passeggio |

    Visione globale di una definizione di salute. Salute: un benessere fisico, psichico, relazionale, ambientale intrecciate e connesse tra loro.

  • Gabriella Campioni |

    Sono felice di vedere che finalmente si cerca di diffondere termini come pensiero complesso o sistemico (ved. ad esempio anche Fritjof Capra) e conseguentemente l’urgenza di cambiare modelli di interpretazione della realtà e di comportamento. Concordo pienamente con i “dubbi” della Signora Giangualano, ma nonostante tutto continuo a sperare che dal virus abbiamo imparato che tutto è inestricambilmente interconnesso e a vivere in modo diverso, magari solo per un primo, timido passo… Grazie, Signora Giangualano, splendido articolo!

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