Covid-19, obbligati ogni giorno a fare centinaia di scelte: incertezza o libertà?

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Decidere che cosa vogliamo sembra essere un moto del pensiero banale, ma per qualche motivo ci risulta talmente complesso che proprio questa decisione, la più importante di tutte, la demandiamo spesso in automatico ad altri. Pur muovendoci all’interno di regole date, infatti, abbiamo a disposizione molta più libertà di pensiero e azione di quella che usiamo.

Lo scopriamo quando le nostre abitudini vengono meno, e molte delle cose che ci sembravano ovvie, automatiche, non lo sono più. Improvvisamente, proprio nel momento in cui la nostra libertà di scelta sembra venire ristretta dalle circostanze, la realtà è che siamo obbligati a fare tutta una serie di scelte nuove. Se non la scuola, cosa? Se non il cinema, cosa? Se non la metropolitana, cosa? Se non la riunione… cosa?

La chiusura di tutta una serie di opzioni note, e per la maggioranza definite da altri per noi, ci lascia soli davanti a tutte le altre alternative.

Non sono poche, ma sono in buona parte sconosciute. Si tratta di fare delle scelte sulla base di alcune scommesse – perché le decisioni, in mancanza di informazioni complete, sono come delle scommesse – e mettere in piedi dei sistemi di monitoraggio dei risultati. In termini economici si chiamano KPI: Key Performance Indicators – ossia indicatori chiave di performance. Sono “cose” a cui scegliamo di guardare per capire se la scelta fatta sta funzionando, e magari iniziare a capirlo prima che l’attività arrivi a compimento.

Per esempio: se scelgo di lasciar decidere a mia figlia come organizzarsi i compiti giorno per giorno, che cosa posso fare per avere dei segnali intermedi su come questa sua organizzazione sta andando? Un KPI potrebbe essere il suo sguardo, più o meno limpido, a fine giornata. Un altro potrebbe essere lo stato della sua scrivania. I KPI sono interessanti perché “non sono” i risultati – sarebbe troppo facile! Chiederle di mostrarmi i quaderni e comparare quel che ha fatto con i compiti ricevuti non è un KPI: è un’osservazione diretta della performance, non un indicatore.

Bene, per ogni attività quotidiana, lavorativa e non, che sta subendo l’impatto del cambiamento delle nuove regole di convivenza di questi giorni, al nostro cervello viene implicitamente richiesto di ridefinire modalità e KPI, in un moto di libertà e di complessità che richiede dispendio di risorse energetiche. Anche (e forse soprattutto) nelle piccole cose.

Questa situazione, a livello macro, potrebbe chiamarsi incertezza e anche – paradossalmente – libertà.

Cambiare tutte le abitudini non è forse una forma di libertà? E si, esercitare la libertà – seppure dentro a dei confini dati, delle regole sociali chiare – è faticoso. Le abitudini, e anche la mancanza apparente della possibilità di scegliere, sono i migliori meccanismi di risparmio energetico che abbiamo: quante cose, grandi e piccole, vanno in automatico nella nostra vita? Quante non le abbiamo scelte e sono semplicemente sempre state lì?

Un evento traumatico ci colpisce anche così: all’apparenza tutto è uguale, nella sostanza tutto deve essere ridefinito, anche solo provvisoriamente. Saperlo: riconoscere qualcosa di familiare nella complessità che stiamo attraversando tutti insieme, dal nord al sud del nostro Paese, ma anche nel resto del mondo, non lo renderà meno difficile, ma potrebbe farci sentire meno isolati.

  • carl |

    KPI or PKI…? This is a question….: o)
    Performance Key Indicators mi sembra più corretto.
    Cambiare le abitudini è un indicatore dei libertà… ? Certo. Ma solitamente quello che manca è la necessaria volontà e sopratutto le conseguenze del farlo… Specie nei tanti e radicati abitudinari, oltre che “sdraiati”…:o) Sorrido, ma in realtà è tut’altro che esilarante…

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