Libri, la scrittura è sessuata

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Ormai mi considerano una scrittrice che scrive di altre scrittrici. In effetti ho dedicato a loro vari libri: dal pelleginaggio per case-museo di grandi autrici del ‘900 (La scrittrice abita qui) al ritratto di Duras (Marguerite) a quello di Natalia Ginzburg (La corsara) al recente Lessico femminile che è una rilettura personalissima di scrittrici che hanno significato tanto per me e vorrei significassero tanto per tutti (in particolare per i lettori maschi che si permettono di trascurarle).

Detto questo, se ripercorro la mia attività di lettrice onnivora, a fare la parte del leone sono sicuramente romanzi, saggi, libri di viaggio scritti da uomini. E non solo perché i maschi scrivono da più lungo tempo di quanto è stato concesso alle donne, e quindi sono la maggior parte, ma proprio perché alcuni loro titoli fanno parte del mio personale olimpo, nel senso che se sono quello che sono, nel bene e nel male, lo devo soprattutto a loro, alla passione che hanno suscitato in me per la letteratura, alle riflessioni che mi hanno fatto fare sulla vita, sul dolore, sull’amore, sulla morte.

Come avrei fatto a strutturare la mia identità senza gli adorati Kafka, Nabokov, Beckett fino a Thomas Bernhard? E Tolstoi e Flaubert e Cervantes, se vogliamo andare indietro nel tempo, nell’aurea classicità indiscutibile?

Poi, quando da lettrice passo dall’altra parte, dietro il computer a “inventare” le mie storie, finisco quasi sempre per inventare molto poco e ispirarmi appassionatamente alla vita di altre scrittrici. Mai una volta che mi appossianassi allo stesso modo per la vita di un uomo. E non è che al femminile la vita sia più emozionante, anzi. Allora, perché? La mia amica Romana Petri ha appena pubblicato un romanzo su Jack London: a me non sarebbe mai passato per la testa, con tutto l’amore per London. Insomma, ce l’ho o non ce l’ho una risposta?

Forse sì. Ne azzardo una: la scrittura è sessuata. Voglio dire che per quanto le personalità artistiche partecipino più di altre categorie all’androginia, nel senso che – almeno nella migliore delle ipotesi – sanno fare spazio dentro di sé alle due nature, quella maschile e quella femminile – una prevalenza dell’una sull’altra non può non esistere, ed è più naturale (dal mio punto di vista) immedesimarsi col sesso di appartenenza. Voglio dire che, se non c’è difficoltà a raccontare i pensieri e le attività dei propri personaggi, qualsiasi sia il loro sesso, tutt’altra cosa è entrare nella loro pelle, nella loro fisicità, nella loro sessualità appunto.

La sessualità del sesso che non è il nostro può essere attinta soltanto attraverso l’osservazione esterna o attraverso il racconto che l’oggetto in questione fa di se stesso. Con un buon esercizio di fantasia, naturalmente, si può creare un personaggio fortemente plausibile con il quale abbiamo poco o niente in comune. Ma qui mi fermo. Perché a me, di avere poco o niente in comune con un mio personaggio interessa, appunto, poco o niente.