Una Commissione europea molto al femminile. La BCE ha una nuova presidente. In Ruanda, 25 anni dopo il genocidio etnico, le donne in parlamento occupano il 61% dei seggi. Dal 9 dicembre, poi, in Finlandia la prima ministra, Sanna Marin, è la più giovane al mondo a capo di una coalizione di partiti tutti a guida femminile.
A raccontarla con queste notizie sembra che la questione della partecipazione femminile alla politica stia vivendo un risveglio. Tanti i role model, da Giacinta Arden ad Alexandria Ocasio-Cortez, che arrivano a occupare molte pagine dei (social)media. E qualche buona pratica, come per esempio la conquista del traguardo del 40% di donne nella media e alta dirigenza della Commissione europea. I casi virtuosi, però, si esauriscono presto e sembrano restare solo nell’Olimpo di quelle che ce l’hanno chiaramente fatta. Guardando più sotto, al livello locale o regionale, le percentuali raccontano un rilancio molto timido.
A ben vedere, il campanello di allarme non ha mai smesso di suonare e, addirittura ultimamente il suo volume si è alzato: sulla strada del cambiamento ci si sta muovendo “a passo di lumaca” , dice l’annuale Equality Index dell’EIGE (l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere). Quando si parla di equità e giustizia, nonostante le coscienze sembrino oggi più allerta, la situazione appare ancora arretrata, se proprio non in stallo. Di questo passo, ci vorranno 107 anni perché si chiuda il gender gap esistente.
Lo studio “Women in politics” pubblicato dal Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa fa un quadro generale non rincuorante della presenza femminile negli organi di governo locale e regionale. Non si tratta di dati irrilevanti o statistiche per soli esperti, bensì di fenomeni che incidono sulla quotidianità di tutti. Se, infatti, un solo gruppo (in questo caso, solo gli uomini) ha il potere di decidere, tutta una parte di necessità o bisogni passano in secondo piano o non vengono compresi completamente, e le risposte date, poi, possono non essere adeguate per la fatica a prendere in considerazione punti di vista diversi.
Dati alla mano, le riflessioni del report si rivelano una cartina tornasole della realtà attuale. Si legge infatti quanto fenomeni di violenza sulle donne, di disparità di salario (nella stessa mansione, le lavoratrici europee guadagnano mediamente il 16% in meno dei loro colleghi), le discriminazioni basate sul genere (non solo il soffitto di cristallo ma proprio la difficoltà ad aprire la porta delle carriere per le donne3), incidono pesantemente sulla scelta di (non) mettersi in gioco.
Non sorprende troppo quindi che dal 2008 le elette nelle amministrazioni locali sono passate solo dal 23,4% al 29% e oggi i sindaci donna sono il 15%. In Italia una su sette (il 14,3%), un “leggero cambio di passo” verificatosi nell’ultima tornata elettorale che, onestamente, sembra davvero ben poca cosa. Non è nemmeno una novità il fatto che le donne abbiano più difficoltà a conciliare impegni personali e familiari con l’impegno politico; se superano il processo di selezione, hanno accesso più limitato a fondi per le campagne elettorali e, solitamente, ricevono meno attenzione da parte dei media. In generale soffrono poi di minore fiducia in se stesse, quando non vengono bloccate da una diffusa inerzia storica. A tutto, aggiungo, si sommano le differenze alla base, tra quelle che possono giocare al gioco delle elezioni – perché hanno i soldi, la rete sociale, il supporto evidente di strutture organizzate per farlo – e…tutte le altre.
Tra le ragioni citate per spiegare la scelta di non impegnarsi in politica, una, poi, è tristemente diffusa e persino in aumento negli ultimi mesi: essendo spesso vittime di molestie e violenze di matrice chiaramente sessista, le donne temono per la loro incolumità e quella delle loro famiglie. Tanto che, ad esempio, in Gran Bretagna diverse parlamentari hanno deciso di non ricandidarsi alle elezioni di dicembre.
Ebbene sì, nel 2019 un equipaggio per la prima volta tutto al femminile effettua una camminata spaziale, una 16enne mobilita milioni di persone e parla ai leader mondiali della salvezza del pianeta, una donna è riconfermata (mai successo un doppio mandato prima) alla direzione del CERN di Ginevra, però per paura delle ripercussioni rilanciate dal rilancio un po’ ovunque di certo populismo e da visioni distorte di “ideali tradizionali” (stereotipi), le donne non si mettono in gioco e (ri)candidano per amministrare le nostre comunità, città e Regioni.
Ci stiamo perdendo tutti.