Pink Tank, un libro che mette le politiche italiane a confronto

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È di un bel colore rosa intenso, che vira sul corallo; un carro armato su fondo bianco campeggia sulla copertina dell’ultimo libro di Serena Marchi: “Pink Tank”. Più del titolo è però il sottotitolo, stampigliato in nero appena più in basso di quel particolarissimo logo, a rendere l’immediatezza del tema: “Donne al potere. Potere alle donne”.

Il volume è appena uscito per Fandango nella collana Documenti e il nome della giornalista è legato alla casa editrice già per l’opera prima, “Madri comunque”, e poi per “Mio Tuo Suo Loro”. Il titolo qui è in realtà un gioco di parole. E svela un riferimento che i più attenti riconosceranno all’istante. Si tratta dei cosiddetti serbatoi di pensiero, le cui origini sono da ricercarsi agli inizi del Novecento e poi nell’esperienza americana ai tempi della seconda guerra mondiale. Laboratori in cui sviluppare il pensiero politico, farlo crescere, monitorarne le implicazioni e anche le eventuali derive. Luoghi di analisi, di sguardo critico, questo sono per lo più i Think Tank.

E negli anni in cui molta parte del nostro Paese si chiede perché un’italiana non sia ancora stata chiamata a ricoprire la carica di presidente della Repubblica o di presidente del Consiglio, Serena Marchi prova ad andare in fondo alla questione. Lo fa scoperchiando, per l’appunto, il serbatoio del pensiero femminile. Ci siamo arrivate vicinissime nelle ultime legislature, ma continua a non accadere. Sarà una questione di leadership? Da questa domanda si ramificano riflessioni che l’autrice conduce e dirige con grande maestria, attraverso una serie di interviste.

Natalia Aspesi firma la prefazione e segna il perimetro attorno al quale il lettore e la lettrice dovranno muoversi: “Un tempo c’erano le madonne e le puttane, e ogni donna aveva la sua collocazione e la sua funzione. Adesso le donne invadono luoghi, per esempio gli anfratti della politica, dove per secoli avevano diritto di accesso solo gli uomini”.

Si susseguono voci. E sono quelle di molte tra le protagoniste della vita politica attuale, diverse per estrazione sociale, età, ideologia, incarico e ruolo istituzionale. Nell’ordine, Livia Turco, Emma Bonino, Anna Finocchiaro, Giorgia Meloni, Monica Cirinnà, Mara Carfagna, Cècile Kyenge, Daniela Santanché, Laura Boldrini, Mariapia Garavaglia, Rosa Menga, Luciana Castellina, Irene Pivetti, Marianna Madia, Elisabetta Gardini, Emanuela Baio, Elly Schlein, Paola Binetti. Diciotto donne che provano a rispondere alle sollecitazioni di Serena Marchi.

Tra gli scaffali della Feltrinelli di Largo Argentina, la storica esponente del partito comunista – due volte ministra, sei volte deputata e poi senatrice della Repubblica – apre il volume, con una consapevolezza che è più una presa di coscienza. Ripesca dalla memoria personale e riporta alla memoria collettiva un’istantanea: “C’è stato un momento in cui io avrei potuto candidarmi a Segretario”. Un’occasione mancata. La ragione, nelle parole di Simone de Beauvoir: il sentimento della secondarietà. Una subordinazione a cui le donne sono state abituate sin da piccole e che le rende ancora oggi incapaci, probabilmente, persino di una declinazione non sessista della lingua. La stessa Livia Turco usa il maschile, anche quando rivendica un coraggio che si rimprovera di non aver avuto. Anche per Emma Bonino l’errore di fondo è delle donne, almeno di quante per anni hanno visto il potere “come una cosa brutta, negativa, da evitare”.

Ma è sulle quote rosa che il testo dà il senso di una spaccatura. Sull’argomento, le intervistate si dividono vistosamente. Decisamente contraria, Giorgia Meloni. L’unica donna alla guida di un partito politico italiano pensa che quella riserva impedisca la meritocrazia, che blocchi la sana competizione. Di tutt’altro avviso è Monica Cirinnà che dei diritti civili ha fatto la propria battaglia e della differenza di genere una bandiera. Il messaggio è chiaro: abolirle si potrà solo quando il gap sarà colmato. E, con lei, Serena Marchi accende un faro sulla solitudine di molte di noi. “Ci alleiamo e creiamo una falange impenetrabile. Poi ognuna di noi torna sola. Non c’è squadra”. Per gli uomini lo schema è diverso e per trovare il senso di quelle dinamiche bisogna andare alle radici: “Ognuna di noi ha i suoi referenti maschili a cui deve rispondere. E se non fai così, non sopravvivi”.

Per seguire il filo che l’autrice ha pensato di far srotolare al lettore e alla lettrice dobbiamo tornare ancora a destra dell’emiciclo, all’incontro con Daniela Santanché. L’intervista si svolge nei suoi uffici milanesi, un paio di tratti di penna e sembra di vederla. La parlamentare che dopo AN e il PdL, non troppo tempo fa, lasciava Berlusconi per Fratelli d’Italia, accoglie la giornalista convinta che bisogni insegnare alle ragazze chi comanda; e chi comanda è chi paga i conti. La declinazione qui è tutta – e di certo volutamente – al maschile. Un pensiero ai padri separati usati al pari di bancomat da donne come streghe e ancora l’idea ricorrente che la libertà sia data solo dal denaro. Di stereotipo in stereotipo, fino alla considerazione finale: se le donne non emergono è perché non sono disposte a lavorare quanto gli uomini. Hanno paura della fatica fisica, sembrerebbe. Su posizioni analoghe è la collega di partito. Elisabetta Gardini muove il ragionamento partendo da un’idea, almeno discutibile: siamo programmate per essere madri. Da lì in poi, la sua pare una guerra personalissima all’incontrario, contro chi combatte gli stereotipi di genere.

Serena Marchi non usa filtri, ascolta le protagoniste e lascia che si raccontino e che ci raccontino, con la loro storia anche quella di tutte le donne. Ma non è vero che non c’è distanza fra destra e sinistra. Quando si legge di Laura Boldrini e della necessità non più negoziabile di un uso corretto del linguaggio, non si può notare che quella battaglia non sia di tutte le donne. Il sessismo, invece, è un male comune. Gli uomini non lesinano quel genere di attacco a nessuna; serve a far passare l’idea che la politica sia affar loro.

E poi ci sono le rappresentanti della prima repubblica, Maria Pia Garavaglia, ministra della sanità con Ciampi, che ricorda il rispetto dei colleghi uomini verso le colleghe donne e cita Tina Anselmi o Maria Elettra Martini. Qui il libro di Serena Marchi ci riporta a un’altra Italia. Il volume, in fondo, è un grande album puntellato di storie. Impressionano parole antiche pronunciate da giovani donne, però. Non possono lasciare indifferenti le dichiarazioni di Rosa Menga. La parlamentare, alla sua prima esperienza con i Cinquestelle, si dice convinta che servano gli uomini per un paese come il nostro; lo definisce ferito e umiliato, da potenze internazionali. Come dire che quando il gioco si fa duro, è roba da maschi. Le donne serviranno dopo, semmai. Le madri supportano e sostengono, dice; per poco non aggiunge che consolano. La sua teoria, insomma, è che ci voglia un pater familia. In un attimo riaffiora l’ombra di quel super uomo che ci ha costretti al peggiore ventennio. Che la storia insegni per davvero, resta ancora oggi motivo di dubbio atroce.

Ma è in chiusura che la distanza si marca ancora di più. Se all’appello ha deciso di non mancare Irene Pivetti, c’è anche Luciana Castellina. L’ex Presidente della Camera, ai tempi della Lega di Bossi, lancia strali contro le pusillanimi, “donne senza palle”. Anche qui, il maschile la fa da padrone. Specchio ne è – ancora una volta – il linguaggio e, con quello, le immagini di cui si serve. Ma il controcanto è appunto Luciana che è la storia della sinistra italiana. E con lei finalmente si legge di leader che forse non ci sono perché semplicemente scelgono di non esserci. Donne che il governo di una macchina maschile non riesce ad attrarre.

In definitiva, il pregio di quest’opera è intanto la genuinità del racconto. La narrazione è quella autentica di figure, dalle convinzioni profondamente differenti, che abitano questo libro per circa duecento pagine. Il tema tocca, certo, un nervo scoperto. Al centro c’è sempre la relazione tra donne e potere, e ancora più in giù c’è l’atavica asimmetria tra i sessi.

Il registro e il ritmo sono quelli mutuati dal giornalismo. La lettura ne risulta scorrevole e dunque piacevole. E dopo averlo finito, del molto che si è attraversato, di quelle pagine, rimane una riflessione che è di estrema attualità. Perché tanti femminicidi? Per mano di un uomo muore una donna ogni due giorni; siamo intorno a quota cento, in questi dieci mesi del 2019. “Un tempo le donne venivano ammazzate perché tanto non contavano niente. Ora le ammazzano perché sono libere”. L’eurodeputata e firma storica del Manifesto ha le idee chiare e ci suggerisce scenari di guerra: “Ci fanno fuori perché non c’è nessuna rivoluzione senza spargimento di sangue”.


Titolo: “Pink Tank”
Autore: Serana Marchi
Editore: Fandango Libri
Prezzo: 16 euro