«Siamo unite da un profondo senso di appartenenza ai principi dell’Unione Europea. Crediamo fortemente nel dialogo con le istituzioni europee e puntiamo a far emergere, ai tavoli tematici dove sederemo insieme ai decision makers, le principali best practices riguardo i nostri settori di interesse avendo chiaro l’obiettivo del report finale». Queste sono le parole di Giusy Sica, fondatrice di Re-Generation (Y)outh, un think tank di professioniste e studentesse under 30 dalla Campania e dalla Basilicata, pronunciate quando lo scorso anno sono state chiamate a rappresentare l’Italia (le uniche) all’European Youth Event a Strasburgo, insieme ad altri 8000 giovani.
È stata una sorta di “consacrazione” del lavoro e dell’intuizione di queste giovani donne, iniziato nel gennaio 2018 e che nei giorni scorsi ha visto aggiungere un altro importante tassello con l’evento a Maratea, con la call Women in Culture, lanciata per Heroes 2019, rivolta a nascenti team di innovatori e/o start-up al femminile che ambiscono ad operare nel settore creativo, culturale e del turismo sia in un’ottica di offerta di servizi sia di prodotto finito.
«Il nostro think tank è una provocazione che vuole mettere insieme tre elementi: donne, Sud e competenze. L’obiettivo è operare nei territori e per i territori con una visione strategica. Trasmettere un modello, valorizzando soprattutto il ruolo delle donne. La particolarità – sottolinea Sica – che è anche il suo punto di forza, è l’interdisciplinarietà: le componenti di Re-Generation (Y)outh (Emanuela Di Venuta, Dina Galdi, Silvia Parlato, Pegha Moushir Pour, Serena Mazzei, Sara Zaccagnino, Chiara D’Amico) provengono da esperienze di formazione diverse, dall’archeologia al diritto, dall’area scientifica a quella economica».
Ma che cos’è precisamente un think tank? Letteralmente in inglese significa “serbatoio di pensiero”, ovvero un gruppo che studia e analizza contesti, situazioni, tendenze. Ce ne sono di grandi (e influenti) a livello mondiale, e poi c’è questo giovanissimo, orgogliosamente “made in Sud”, e che muove i suoi primi piccoli passi con convinzione.
Il programma è contenuto nel nome di questo progetto ambizioso: basta ripensare il concetto di rigenerazione, racconta Sica, in modo consapevole ed evoluto, ed è per questo che hanno creato una rete – o qualcosa in più, una vera e propria connessione – tra personalità differenti ma dallo spiccato profilo professionale, puntando sull’inclusività, un network operativo improntato su un approccio di tipo bottom-up. «Prima di partire per Strasburgo abbiamo tenuto alcuni incontri pubblici per “testare”, diciamo così, il gradimento, ed è andato sempre tutto bene – afferma – ha incuriosito i giovani, ma non solo e ci sono state proposte più concrete di investitori che hanno trovato l’idea interessante. La nostra è stata una scelta precisa e ha destato interesse».
L’interesse destato è tale che Giusy Sica è stata inserita nella classifica dei 100 giovani under 30 più interessanti di Forbes, i leader italiani del futuro.
«Apparteniamo alla generazione Y – aggiunge Sica che professionalmente si occupa di progettazione europea – da cui deriva il nome scelto per il gruppo, la Millennial Generation, che va dal 1980 agli anni 2000, classificata da William Strauss e Neil Howe. Una generazione connessa e spesso incolpata di eccessiva dipendenza, di negativa brand loyalty, di essere soggetta alla social proof. Siamo un gruppo di sole donne italiane perché un approccio innovativo è anche questo: puntare all’aumento dei numeri, ad una parità che sia effettiva collaborazione per una maggiore produttività. Un aumento dei numeri a fronte delle statistiche che indicano una bassa percentuale italiana dell’occupazione femminile e, ancor più bassa, riguardo le posizioni di leadership. Contrarie ad un’esclusività enfatizzata che spesso è mista principalmente ad esclusione, noi segnaliamo la necessità di fare rete, di collaborare e di focalizzare la carriera: in ultima analisi, un’emancipata realizzazione personale».
Un punto importante è, però, come fare business. Cioè, come far decollare questo progetto e renderlo una fonte – anche – di guadagno, con ricadute occupazionali. Per scelta consapevole si autofinanziano e non sono un’associazione, che, a detta di Sica, sarebbe una scelta di “comodo”, in cui verrebbe appiattito il lavoro culturale. Esso invece, deve essere valorizzato come elemento che arricchisce il territorio e che, per questo, deve essere riconosciuto proprio sotto l’aspetto economico. Una scelta coerente, sicuramente, e ancora più coraggiosa, in un Sud spesso avaro di occasioni vere di riscatto. «Purtroppo, mi dispiace dirlo – prosegue – ma vedo molti giovani ancora legati all’idea del posto fisso, sostanzialmente scoraggiati, e neanche interessati ad una formazione alla mentorship. Personalmente, ritengo che il “posto fisso” sia un’idea fortemente limitante. Io stessa, dopo aver conseguito la laurea ed essere entrata in contatto con un’azienda che mi aveva fatto una proposta, ho rifiutato perché non ritenevo che quella fosse l’opportunità giusta. Ci sono, al contempo, molte risorse che hanno voglia di mettersi in gioco, di ispirare e di lasciarsi ispirare».
Il think tank Re-Generation (Y)outh presto formalizzerà il suo status come impresa culturale e creativa per dare vita a quel “meccanismo virtuoso” che non disperde altrove quello che ha aiutato ad alimentare a crescere. «Stiamo studiando diversi modelli – conclude – ce ne sono tanti da seguire e abbiamo tanta strada da fare, ma soprattutto abbiamo tanta volontà. Intanto siamo decise ad affrontare il concetto di rigenerazione con un approccio peculiare, innovativo, consapevole ed evoluto, con la precisa volontà di ripensare i processi innovativi e rigenerativi e di porli alla base di una nuova metodologia per la risoluzione delle problematiche globali».