Milano fa click: la città tra Photofestival e Photoweek

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WPP 2019, 1° premio, Ambiente, Storie. Un ragazzo orfano davanti a un muro sul quale sono raffigurati dei lanciagranate a razzo, a Bol, in Ciad. © Marco Gualazzini / Contrasto.

La grande rassegna internazionale di fotografia Milano Photofestival, promossa dall’AIF (Associazione Italiana Foto & Digital Imaging), giunge alla sua 14a edizione, sempre sotto la direzione artistica di Roberto Mutti, figura tra le più autorevoli di docente, critico e studioso. La kermesse si svolge nel capoluogo lombardo dal 17 aprile al 30 giugno – e quest’anno un’appendice coinvolge anche la vicina Pavia – con l’impressionante numero di 177 mostre, che oltrepassano i tradizionali confini di musei e gallerie, diffondendosi per tutta la città, dal centro alle periferie, gioiosamente invadendo palazzi storici, biblioteche di quartiere, spazi polifunzionali, scuole e perfino bar e luoghi pubblici, perché la fotografia è il più efficace strumento di espressione e comunicazione dei nostri giorni: immediato, pervasivo, fluido e inafferrabile.

Il festival certifica in un certo senso il ruolo di Milano come capitale italiana della fotografia, grazie a una fitta rete, sempre in espansione, di archivi, gallerie, fondazioni, scuole e associazioni presenti in città, soggetti che, alle tradizionali mostre, affiancano, nel corso di tutto l’anno, una vasta programmazione di eventi di diversa natura: workshop, conferenze, presentazioni di libri, letture portfolio, incontri e shooting con famosi fotografi, italiani e internazionali.

Il culmine di questa meneghina febbre fotografica si toccherà dal 3 al 9 giugno con la Milano Photoweek, promossa e coordinata dal Comune di Milano – Assessorato alla Cultura e giunta alla 3a edizione.

Anche quest’anno vi propongo i miei suggerimenti su che cosa vedere, rinnovando però l’invito a mio avviso fondamentale: affidarsi alla propria curiosità e al caso, che ci consente spesso scoperte imprevedibili e intriganti.

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Monica Bellucci, Milano, 2000. © Gian Paolo Barbieri / Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery.

Alla Fondazione Sozzani di corso Como, fino a domenica, la mostra del World Press Photo 2019 permette di vedere una selezione del meglio del fotogiornalismo internazionale. Quest’anno abbiamo un motivo d’interesse in più: nella cinquina dei finalisti, da cui è risultato vincitore l’americano John Moore, c’era infatti il fotoreporter italiano Marco Gualazzini dell’agenzia Contrasto, che si è aggiudicato il primo premio nella sezione Ambiente, Storie con una splendida immagine giocata su mezzi toni grigio e sabbia, sospesa fra poesia dell’infanzia e geometrica precisione dello sguardo.

29 Arts in Progress Gallery espone in Polaroids and more più di 120 polaroid inedite di Gian Paolo Barbieri, un’occasione imperdibile per entrare nell’officina dello sguardo di uno dei grandi maestri della fotografia italiana, recentemente insignito del Lucie Award 2018 come Miglior Fotografo di Moda Internazionale. Splendide donne -indimenticabile la sequenza dedicata a Monica Bellucci-, scatti di backstage di sfilate, ma anche reportage esotici sugli indigeni della Polinesia ci fronteggiano in istantanee che hanno la misteriosa capacità di essere al tempo stesso semplici e dense, trasparenti eppure intessute di echi e rimandi alla storia dell’arte, del costume e della cultura, per ricordarci che dentro un’immagine, come in una goccia d’acqua, si può riflettere l’infinita ricchezza di molteplici visioni.

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Liu Bolin, The Hope, 2015. Courtesy Boxart, Verona

Tra gli innumerevoli appuntamenti non mancano quelli capaci di suscitare spunti di riflessione su alcuni temi di grande attualità, come la mostra Visible Invisible del fotografo e performer cinese Liu Bolin, aperta nel nuovo spazio dedicato alla fotografia del Mudec di via Tortona, Mudec photo. L’artista cinese ha messo a punto negli anni una raffinata tecnica attraverso la quale si mimetizza all’interno di scenari e paesaggi come un camaleonte contemporaneo, fin quasi a scomparire alla vista: questo effetto straniante di presenza / assenza provocato dalle sue foto determina uno shock percettivo per l’osservatore, che, anestetizzato dal diluvio di immagini che quotidianamente ci assedia, è costretto invece a concentrarsi e a rimettere in moto l’attenzione e la capacità di osservazione. Siamo così spinti a lasciar cadere lo sguardo freddo e razionale con cui di solito giudichiamo il mondo come un oggetto a noi estraneo e a imboccare un’orientale via di accesso verso una visione nuova, nella quale riscoprire uno sguardo partecipativo, sensibile, che ci permetta di sentirci dentro il grembo del reale.

Art Ensemble of Chicago (AEOC) at Bergamo Jazz Festival, March 20, 1974, Teatro Donizetti Nella foto, da sinistra: Joseph Jarman, Don Moye, Lester Bowie, Malachi Favors, Roscoe Mitchell.

Art Ensemble of Chicago (AEOC) at Bergamo Jazz Festival, March 20, 1974, Teatro Donizetti. Nella foto, da sinistra: Joseph Jarman, Don Moye, Lester Bowie, Malachi Favors, Roscoe Mitchell. © Roberto Masotti

Siamo abituati a pensare alla fotografia esclusivamente in relazione alla vista, ma se riflettiamo sul fatto che il clic dello scatto congela un attimo e lo fissa in un’immagine che si chiama appunto istantanea, possiamo scoprire una parentela inaspettata con l’arte del tempo per eccellenza, la musica. Ed è sull’onda di questi pensieri che si possono percorrere le eleganti sale degli Appartamenti dei Principi di Palazzo Reale per la bellissima mostra Musiche del duo Lelli e Masotti: Silvia Lelli e Roberto Masotti, coppia nella vita e nel lavoro, a lungo fotografi ufficiali del teatro alla Scala, hanno selezionato 110 immagini dal loro vastissimo archivio, che ne conta più di 400.000 ed è stato perciò recentemente riconosciuto di particolare interesse storico dal Ministero dei Beni Culturali. Vediamo scorrere 30 anni di volti, concerti, spettacoli, performance, senza futili steccati fra musica alta e bassa, passando da Riccardo Muti a Miles Davis, da un concerto di musicisti di strada alle sfarzose sale della lirica, resi in un bianco e nero intimo e sensibile, le cui sfumature morbide e delicate sembrano inseguire il sogno di catturare la leggerezza delle note musicali, per farci ascoltare con gli occhi.

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Milano, corso San Gottardo 14, 1969. © Virgilio Carnisio.

È bello sottolineare come il perimetro del Photo Festival debordi dalla città metropolitana per raggiungere i comuni dell’hinterland, come Gorgonzola, che ospita nello storico palazzo Pirola una serie di 4 mostre dedicate al tema del “Viaggio nel tempo e nello spazio”, tra le quali spicca Mi piace Milano di Virgilio Carnisio, una raccolta di scatti in bianco e nero, risalenti per lo più agli anni ’70, attraverso il quale possiamo rivivere le atmosfere di una Milano trascorsa, fatta di cortili e case di ringhiera, donne impegnate a fare il bucato sui navigli, nebbia sospesa sulla darsena. Dalle immagini dell’anziano e ancora attivo fotografo sembrano alzarsi odori e umori di una vita ancora pulsante, perché quell’immagine di una Milano popolare, operaia e operosa, chiassosa e umile esercita ancora un fascino incredibile sui turisti e sugli stessi milanesi, di nascita o d’adozione che siano.

Non trovo migliore conclusione che citare una battuta di Carnisio: Fotografo perché voglio bene. Chapeau!