Bambini piccoli davanti allo schermo: è la tecnologia il vero problema?

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E’ ormai ricorrente la diffusione di linee guida e raccomandazioni sui modi e i tempi dell’utilizzo delle tecnologie da parte dei bambini, con singoli esperti e accreditate istituzioni che indicano a mamme, papà, nonni e altre figure educative come sia meglio comportarsi. Le ultime sono quelle dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che a fine aprile ha rilasciato il documento Guidelines on physical activity, sedentary behaviour and sleep che, tra le altre questioni, definisce il numero di ore che i bambini di età inferiore ai cinque anni dovrebbero trascorrere davanti ad uno schermo (smartphone, tablet, computer, consolle per videogiochi o TV).

Per quanto tempo posso lasciare il mio bambino, che ha meno di cinque anni, in compagnia di questi strumenti tecnologici? La risposta dell’OMS è la seguente: mentre i bambini di età inferiore all’anno non dovrebbero avere alcun accesso agli schermi (“no screen time”), per i bambini tra i 2 e i 4 anni il “sedentary screen time” dovrebbe essere al massimo di 1 ora al giorno. Restano fuori da questo calcolo, e dunque dalle restrizioni, il tempo trascorso in videochiamate con i familiari, i programmi che prevedano una partecipazione attiva del bambino (ad esempio, con il movimento) o gli e-book che i genitori leggono insieme al figlio.

Queste indicazioni sono in linea con quelle pubblicate nel 2016 dall’American Academy of Pediatrics: nessuno schermo consentito (tranne che per le video chat) per bambini al di sotto dei 18 mesi; “solo programmazione di elevata qualità” tra i 18 e i 24 mesi, con la presenza costante del genitore; infine, tra i 2 e i 5 anni, solo 1 ora al giorno di programmi “approvati”.

Le ricerche che mostrano una correlazione tra accesso precoce dei bambini agli schermi e conseguenze dannose per lo sviluppo sono numerose. Una recente rassegna di studi pubblicata sul British Medical Journal Open ha evidenziato un’associazione tra utilizzo prolungato di schermi in età infantile e obesità, alimentazione ipercalorica, sintomi depressivi e disturbi del sonno. Altri ricercatori hanno osservato una correlazione tra un tempo maggiore davanti allo schermo all’età di 4 anni e più ridotte capacità di comprensione delle emozioni a 6.  Studi di neuroscienze, poi, hanno notato che la presenza di Internet/gaming addiction in soggetti adolescenti si associava a modificazioni a livello cerebrale, in particolare ad un’atrofia della materia grigia e ad un ridotto spessore corticale dei lobi frontali.

Siamo arrivati a dei risultati conclusivi? Abbiamo realmente capito quale sia l’impatto di uno schermo sullo sviluppo neurologico e psicologico di un bambino? La risposta è no, non lo sappiamo ancora. Gli studi stanno aumentando, visto che i primi anni di vita sono un periodo cruciale per la crescita del cervello e i fenomeni di plasticità sinaptica sono ai massimi livelli. Tuttavia servono ulteriori ricerche perché i risultati sono misti, spesso contraddittori, e comunque le associazioni emerse non sono sufficienti ad affermare che gli schermi siano la causa di un danno. Per questo motivo gli studiosi invitano alla cautela. Semplificazione, catastrofismo e induzione della paura vanno di moda di questi tempi. Una lettura attenta dei dati, l’esercizio del dubbio e della riflessione sono invece una sana abitudine, non solo nelle accademie e a maggior ragione nell’esercizio della genitorialità.

Gli autori di un recente studio pubblicato sulla rivista JAMA Pediatrics – interessante non solo per il disegno longitudinale ma anche per l’applicazione di analisi statistiche sofisticate – hanno mostrato che il tempo trascorso con le tecnologie può avere implicazioni sul percorso evolutivo e sugli apprendimenti di un bambino. L’indagine ha coinvolto circa 2400 madri canadesi, i cui figli trascorrevano una media di 2.4, 3.6 e 1.6 ore al giorno davanti ad uno schermo, rispettivamente a 2, 3 e 5 anni. Alle madri era stato chiesto di monitorare i bambini e, più in particolare, l’acquisizione di abilità comunicative, motorie, sociali e di problem solving. Nelle conclusioni si legge che trascorrere più tempo davanti ad uno schermo all’età di 2-3 anni si associa ad una più bassa acquisizione di abilità a 5. Tuttavia, il pattern inverso non viene confermato: avere ritardi nello sviluppo di alcune abilità non risulta dunque essere “causato” da un maggiore utilizzo di schermi. In pratica, altri fattori quali una buona qualità del sonno, la lettura di libri insieme al bambino, l’indole positiva della madre, avrebbero un impatto superiore al tempo trascorso con smartphone, tablet e TV. Il direttore di ricerca dell’Oxford Internet Institute, Prof Przybylski, nel commentare questi risultati sottolineava come l’esposizione ad uno schermo spieghi solo l’1% della variazione nei punteggi relativi alle capacità acquisite dai bambini a 5 anni, mentre il 99% non aveva nulla a che fare con la tecnologia.

Altre variabili, poi, andrebbero considerate: di quale schermo si trattava (smartphone, tablet, computer, videogioco o TV)? Quale app o gioco stavano usando i bambini? Si trattava di una fruizione passiva o attiva? Erano soli o con i genitori? Come in molte delle ricerche di cui disponiamo oggi, purtroppo queste informazioni sono mancanti. Lo studio, inoltre, al pari di quelli sopra citati, non chiarisce in che modo lo schermo determini un ritardo evolutivo: per un meccanismo diretto (ossia legato all’interfaccia, alla luce, al tipo di gioco, ai rinforzi che offre), o piuttosto per uno indiretto, riferibile alle “opportunità perse” (mentre siede davanti allo schermo un bambino perde l’opportunità di parlare, di correre, di interagire con altri)?

Insomma, le attuali evidenze scientifiche non sono sufficienti a confermare che il tempo trascorso davanti ad uno schermo sia dannoso per i bambini. Appare dunque evidente come le indicazioni dell’OMS e dell’AAP rispondano ad un ragionamento precauzionale: se non sappiamo con certezza se possa avere esiti positivi e tuttavia c’è motivo di credere che possa averne di negativi, perché farlo?

Attenzione però alle facili soluzioni, perché togliere lo schermo non basta ad assicurarsi che il danno evolutivo non ci sarà. Qual è infatti l’alternativa? Al bambino privato dello schermo sarà offerta l’alternativa di un genitore o di un familiare attento, premuroso, calmo e disponibile ad impegnarsi in attività come la lettura e il racconto di storie? Solo i più fortunati disporranno di questa alternativa: chiuso a chiave lo schermo nel cassetto, molti bambini si ritroverebbero a guardare un adulto frenetico, magari angosciato per mancanza di tempo, la cui espressione è arrabbiata e stanca. Altri potrebbero trovarsi di fronte al disinteresse di una baby sitter, piegata sul proprio cellulare a postare su Facebook.

“Ma lui odia lo sport, preferisce rinchiudersi nei cinema a rovinarsi gli occhi”, si diceva di Antoine, il ragazzino protagonista de I 400 colpi di Truffaut, il primo film a venirmi in mente quando penso alla trascuratezza di un bambino e a genitori ripiegati su se stessi. Dobbiamo essere onesti: si può essere trascuranti sia lasciando i figli davanti agli schermi che togliendoglieli. Il vero problema allora sono gli schermi o la mancanza di tempo e la disattenzione di cui troppo spesso soffre oggi la genitorialità? Togliamo pure gli schermi ma ricordiamoci che la soluzione è una sola e ce la descrive meglio di tutti Neruda: “Ti faccio spazio dentro di me, in questo incrocio di sguardi che riassume milioni di attimi e di parole”.