Perché la meritocrazia ha fallito: sia con gli uomini che con le donne

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Durante uno di quegli incontri a porte chiuse tra manager di alto livello e imprenditori (15 persone intorno al tavolo) in cui pensi di avere il privilegio di ascoltare la parte più intelligente della storia, quella che di solito non finisce sui giornali, uno dei presenti – uomo di potere di circa 45 anni – prende la parola sul tema “quote rosa” e dice:

“Le uniche due CEO donna nel mondo in ambito food sono state due totali disastri, ed era impossibile toglierle da lì proprio perché donne”.

Normalmente non interromperesti un relatore così autorevole, ma non resisto e gli chiedo che cosa intenda esattamente con questa affermazione. Ottengo una spiegazione articolata del fatto che le quote rosa confliggono con la meritocrazia, creando delle selezioni basate su “altro”. Bisognerebbe invece lasciare che fosse il merito a guidare le scelte. Mi e gli domando quindi se è per meritocrazia che 95 amministratori delegati su 100 sono uomini.

E’ stato un uomo, il politico americano Daniel Patrick Moynihan a dire che Ognuno ha diritto alle proprie opinioni, ma non ai propri fatti, quindi andiamo a vedere che cosa ci dicono i fatti sul motivo per cui la moderna meritocrazia seleziona prevalentemente uomini per le posizioni di potere.

Il soffitto di cristallo è composto da un insidioso mix di fattori, e il non poterne isolare uno solo è una delle cause della sua scarsa frangibilità:
1) antropologicamente, per la nostra specie è naturale la selezione dei simili: tendiamo istintivamente a preferire chi ci assomiglia: stesso genere di appartenenza, stesso colore della pelle, modo di vestire, classe sociale, etc e questo fa sì che i sistemi già in essere tendano in modo naturale a preservarsi nel tempo.

2) la descrizione del “leader” pesca in un immaginario estremamente maschile: caratteristiche come l’assertività – che nelle donne diventa aggressività – la competitività, l’orientamento al risultato, l’estrema razionalità, provengono dalla storia di una leadership tradizionalmente maschile: la leadership femminile si esprime in modo diverso e non ha ancora scritto la propria letteratura.

3) nel bacino di manager da cui pescare per selezionare i leader, le donne sono ancora una minoranza; pur rappresentando ormai quasi il 50% della forza lavoro, sappiamo che la percentuale di presenza femminile diminuisce al salire nella gerarchia aziendale: sono donne il 30% dei manager, il 25% dei senior manager, l’11% dei dipendenti più pagati, meno del 5% degli amministratori delegati. Questo “funnel” è al tempo stesso la conseguenza dei fattori culturali citati sopra e la fonte di un ulteriore barriera: al momento di scegliere un top manager, il bacino di donne a cui guardare è ancora il più ridotto.

Vi sono molti altri fattori da considerare, il risultato (il “fatto” da cui non si può prescindere attraverso le proprie opinioni) è che, stanti così le cose, ci vorranno più di 100 anni per raggiungere le pari opportunità di genere nel mondo, secondo il World Economic Forum. E questa durata, che il centro di ricerca americano traccia annualmente, non fa che crescere.

Ma la legittima domanda: “come allargare le maglie che fanno arrivare le donne alle posizioni decisionali, nell’interesse della qualità delle decisioni che la nostra società prende?” può curiosamente anche essere invertita, secondo l’autore del libro Come mai così tanti uomini incompetenti diventano leader, e come impedirlo. Secondo Tomas Chamorro, infatti, il problema non sta tanto nel fatto che la selezione sia troppo dura per le donne, ma nella facilità con cui uomini con scarse qualità professionali vengono scelti a guidare team e aziende.

Invece di allargare le maglie per l’ultimo genere arrivato, bisognerebbe quindi trarre ispirazione dagli effetti benefici di un processo più selettivo – come sembra essere quello che oggi devono sperimentare le donne – per iniziare a selezionare meglio gli uomini.

D’altra parte anche qui i fatti parlano meglio delle opinioni: il 65% degli Americani dicono che, potendo scegliere, cambiare capo gli farebbe più piacere che ricevere un aumento di stipendio. Il (tentato) ingresso delle donne nelle stanze del potere potrebbe quindi aiutarci a rivedere il concetto stesso di meritocrazia: sono molti i dati che ci dicono che, da tempo, la meritocrazia non funziona più, se mai ha funzionato.