Questa finanziaria ha messo le mani sul congedo di maternità. Nessuno aveva osato farlo per decenni.
L’Italia ha uno dei congedi di maternità più datati e protettivi d’Europa. Ho scritto datato per non scrivere “antico”, ma mi rendo conto che sembra comunque un giudizio di merito, mentre vorrei provare a non emettere giudizi (per ora).
Il congedo di maternità italiano ha 47 anni: nella sua formula attuale è stato scritto nel 1971. Da allora è rimasto di 5 mesi obbligatori: unica varianza consentita quella di scegliere se farne uno oppure due prima del parto. Ma quattro settimane di congedo prima del parto sono state comunque obbligatorie fino a questa settimana.
L’emendamento annunciato mercoledì dice infatti che “è riconosciuta alle lavoratrici la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”.
Insomma, le donne possono scegliere di lavorare fino al giorno del parto. Prima di schierarsi tra favorevoli e contrari, diamo un’occhiata a quello che raccomanda l’Unione Europea e a quel che fanno altri Paesi del nostro continente, magari guardando a quelli che per natalità e occupazione femminile sono messi meglio di noi?
La Commissione Europea “disciplina il congedo di maternità con la direttiva 92/85/CEE: questa riconosce 14 settimane minime, di cui due obbligatoriamente da fruirsi prima del parto, che devono essere rispettate in tutti gli Stati membri”.
Queste due settimane pre-parto, tutelate in Paesi come la Svezia e la Finlandia, riguardano la salute della madre. Fanno quindi parte di quel “monte congedo” considerato biologico, indipendente dalle successive cure parentali.
Eppure diversi Paesi europei non le “proteggono”: sono il Regno Unito, la Germania, la Danimarca, l’Estonia, la Lituania, il Portogallo, la Spagna e alcuni Paesi dell’est Europa. Si tratta di Paesi che, quando hanno livelli di occupazione femminile più alti della media europea, come Germania, Regno Unito e Lituania, hanno anche un congedo di maternità complessivamente più breve e meno “protettivo” di quello italiano. Il termine protettivo qui sta a indicare la mancanza di flessibilità che al tempo stesso tutela e toglie potere decisionale alle donne stesse.
Molti Paesi del Nord Europa, infatti, hanno dei congedi complessivamente più generosi dei nostri, ma che lasciano più spazio a scelte familiari su come, quando e chi possa fruirne. Come mai loro possono avere maggiore flessibilità di noi? Perché la loro condizione sociale, legislativa e culturale non lascia spazio agli abusi.
Ossia le regole servono, e servono rigide, finché la cultura non avanza alla casella successiva. E apparentemente in Italia questo, in tema di maternità e lavoro, non è ancora avvenuto. Per questo, in oltre 40 anni nessun Governo ha potuto “toccare” il congedo di maternità, neanche per farlo avanzare verso una maggiore flessibilità che venga incontro alle profonde trasformazioni nel modo di lavorare, nelle esigenze e nelle capacità di cura dei moderni nuclei familiari. È rimasto un congedo di maternità che prova a limitare gli abusi (con scarso successo: oltre il 70% delle dimissioni volontarie in Italia sono presentate da madri) a prezzo di una maggiore discriminazione potenziale per chi ne beneficia e una minore possibilità di condivisione dei carichi di cura nella famiglia.
Perché questo Governo ha messo le mani sul congedo di maternità, e perché in questo modo? Motivazioni per ora non se ne leggono, mentre invece servirebbero. È una scelta che contrasta la discriminazione delle madri sul lavoro? Va incontro a una maggiore flessibilità? Risponde a un bisogno delle aziende? Vuole mandare in rovina i corsi pre-parto? Oppure, sapendo che il 30% delle donne che vanno in congedo di maternità non torna a lavorare, è un modo per aumentare la produttività del Paese (di un mese moltiplicato per un terzo di 175.000, che è il numero approssimativo di donne che lavorano e fanno un figlio in Italia oggi).
In assenza di una posizione ufficiale, si possono fare molte illazioni ed è lecito avere un parere personale: lavorare fino all’ultimo giorno prima del parto, sì oppure no? Voi lo fareste (lo avreste fatto)?