“Mi metteva le mani al collo, piuttosto che dare un calcio alla sedia e farmi volare dalla sedia o graffiarmi, mi tirava, mi voleva far uscire dalla macchina perché me le voleva dare, mi sbatteva a terra”. Tutto questo avveniva davanti agli occhi della figlia grande, “la piccola, per fortuna, era troppo piccola”. A raccontare è Lucia, di Palermo, 35 anni, separata con due figli. Le sue sono parole pesanti come macigni, parole che suscitano rabbia e che sono il grido di aiuto proveniente da una delle periferie d’Italia. Una delle voci di donne raccolte da We World, onlus impegnata da vent’anni nella difesa di donne e minori in Italia e nel mondo, nel rapporto presentato oggi alla Camera dei deputati sulla situazione delle periferie, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che si celebra il 25 novembre.
I racconti di queste donne che vivono in quartieri come Borgo Vecchio di Palermo o Scampia di Napoli, dimostrano come alla base delle violenze fisiche c’è molto spesso una matrice culturale, un assetto patriarcale della famiglia condito da stereotipi in linea con questa mentalità. Alle donne, soggetti passivi, non vengono forniti gli strumenti culturali prima di tutto per comprendere la violenza, soprattutto quella psicologica ed economica, che sperimentano fin dall’infanzia, e che spesso è anticamera di quella fisica. I dati lo spiegano meglio di tante parole. A percepire maggiormente la presenza di una forma di violenza nei confronti dell’altro sesso sono infatti gli uomini: 19% contro il 10% delle donne. Forse le donne sono talmente assuefatte da non notarla, forse hanno paura, timore delle conseguenze della loro presa di coscienza.
Il rapporto “Voci di donne dalle periferie” analizza le periferie non tanto come quartieri lontani dal centro, ma come zone di degrado, dove regna una mentalità arretrata e ci sono minori servizi sul territorio. “Quello che emerge e che si conferma – spiega Stefano Piziali, responsabile Programmi Italia di We World – è che le donne che vivono nelle periferie subiscono la violenza economica e psicologica in modo inconsapevole perché non hanno gli strumenti culturali per caprie. Crescono in un contesto impregnato dalla cultura patriarcale”. Nel rapporto ‘Voci dalle periferie’, ci sono in particolare due indagini realizzate: una quantitativa con Ipsos su esigenze, priorità e stereotipi di genere nei quartieri periferici di Torino, Milano, Roma, Napoli, Cagliari, Palermo (parliamo cioè di San Salvario, Villapizzone, Centocelle, etcc..), e un’indagine qualitativa condotta tra le donne in contatto coi progetti di WeWorld Onlus a Scampia, San Basilio, Giambellino e Borgo Vecchio. Da quest’ ultima indagine emerge che una donna su due ha subito violenza domestica, spesso di fronte ai propri figli. “Queste due evidenze messe a confronto ci dimostrano ancora una volta la vastità del sommerso rispetto al problema della violenza sulle donne. Sappiamo – ha dichiarato Marco Chiesara, Presidente di WeWorld Onlus. “che la violenza sulle donne non è legata a condizioni economiche, status educativo e sociale, ma è altrettanto dimostrato che in alcuni territori, dove emarginazione sociale ed economica coesistono con modelli famigliari patriarcali, la violenza è talmente diffusa da non essere nemmeno riconosciuta dalle vittime stesse”
Le donne delle periferie sono anche donne che lavorano meno della media. Rispetto al dato nazionale del 49,7%, già basso considerando che l’Italia è penultima in Europa per l’occupazione femminile, nelle periferie lavora solo il 42% delle donne. Percentuale che scende al 32% per le intervistate nelle zone più disagiate. Anche nella ricerca di un rapporto di lavoro pesa la cultura patriarcale respirata dalle donne fin dall’infanzia. Dice Anna, 44 anni e tre figli, di Napoli: “A gestire la casa è più adatta la moglie..gli uomini non li vedo con mazza, pezza e secchio…L’uomo è meglio che sta fuori casa”. E Rosaria aggiunge. “A me piace lavorare, però se un domani ho un bambino devo fermarmi, è normale”. Nelle parole delle intervistate, i motivi per cui non lavorano o hanno smesso di lavorare sono infatti prevalentemente due: la difficoltà di trovare un’occupazione continuativa e quella di conciliare la cura dei figli con una professione. E tra coloro che vorrebbero lavorare, gli ostacoli prevalenti riguardano proprio la gestione dei figli.
Dalle interviste si nota poi la mancanza di libertà della donna. E il passaggio, sottile, dalle violenza psicologiche, basate sul controllo e la privazione della libertà, a quelle fisiche: Dice Rosaria, 21 anni: “dentro casa mi metto il vestitino. In casa sì, con le finestre chiuse però. Fuori mai. A lui non piace”, Continua Marina, 47 anni di Roma: “C’erano tanti piccoli segnali che piano piano sono usciti fuori…. Mi torceva il braccio se io decidevo di comprare per pochi spicci una stoffa per fare un copriletto”.
Ma un filo di speranza c’è, e nasce dalla presa di consapevolezza da parte delle donne delle proprie potenzialità. We World ha avviato nel 2014 il Programma Spazio Donna per prevenire la violenza maschile attraverso percorsi di empowermen dedicati alle donne e per fornire una rete di supporto per le donne fuoriuscite o in procinto di fuoriuscire da situazioni di violenza. “Il lavoro di empowerment fatto con le donne delle periferie dei nostri centri – afferma Chiesara – ha portato come primo risultato una maggior consapevolezza e il riconoscimento della violenza subita, insieme alla voglia di chiedere aiuto e fuoriuscire dalla propria condizione”.
Alley Oop ha pubblicato l’approfondimento #HodettoNo, scaricabile gratuitamente cliccando sulla foto qui di seguito.