Il ddl Pillon, fra critiche e crociate, schiacciato da altre priorità parlamentari, pare lento nel suo iter, ma incombente. Mentre se ne discuteva in Commissione Giustizia, moriva Zanza, l’ultimo dei vitelloni romagnoli.
Quanto si è parlato di Pillon, tanto si è scritto di Zanza, seimila conquiste femminili dichiarate nei suoi sessant’anni di vita. A fare incrociare i due non sono stati lo sfoglio di un quotidiano e la casualità temporale, bensì l’accusa che Pillon – il suo ddl – sia figlio di Zanza. A unire il picaro e il ddl del papista sarebbe il disprezzo per le donne. Qui conviene fare un respiro profondo e riavvolgere i nastri di queste storie prima che ci soffochino.
Zanza rappresenta per alcuni – il maschile è solo regola grammaticale in questo caso – una pittoresca maschera popolare che evidente ha saputo affascinare donne e uomini. Perché, sia chiaro, il mito del seduttore è alimentato allo stesso modo dalle sedotte e da chi aspira a tale carriera. Si tratta di un ruolo implicitamente sessista? Probabile, ma è una questione che pesa sulle spalle di tutti.
Il ddl Pillon invece intercetta un disagio maschile e lo trasforma in livella o clava; non piace alle donne principalmente perché vedono tradito il ruolo di cura tradizionalmente ricoperto. Però il ddl è una risposta sbagliata a una domanda giusta. La domanda è: come possiamo fare i padri se i figli sono delle madri? Di più, il ddl risponde malissimo anche a un’altra necessità implicita, sostenere l’occupazione femminile. Perché invocare trattamenti di tutela nei confronti delle madri lavoratrici, quando ci sarebbero strade di sviluppo per incentivare la paternità di cura, liberando risorse femminili?
Se Zanza e Pillon sono oggetti della stessa lotta femminile, sarà una lotta di donne contro donne. Quelle che hanno deprecato il machismo di Zanza contro quelle che lo hanno amato; donne che avrebbero da guadagnare da una riassegnazione dei ruoli contro quelle che la maternità non la cedono a nessun costo.
Il lato maschile di questa vicenda è semplice: Zanza non ci serve più e il ddl Pillon non ci serve ancora. Stiamo rifacendo gli uomini e stiamo aggiornando la mascolinità, come altre stanno ripensando il femmineo. Peccato manchi chiarezza sui fini, perché un progresso di genere non condiviso – culturalmente e nei costumi – sarà insufficiente a cambiare le regole di convivenza. Se esiste un modo nuovo, deve essere sotto forma di giustizia, non femmina, non maschio.