Cosa succede quando il dibattito politico diventa simile al tifo da stadio? Si comincia a far politica con il calcio. Al di là della boutade, che pur non si discosta molto dalla realtà in un momento in cui davvero le questioni sembrano essere risolte a suon di slogan, tweet, like e post sui social, ci sono situazioni in cui il calcio o una più generica attività sportiva possono rappresentare realmente una scelta politica.
È il caso della squadra Sant’Ambroeus F. C. di Milano, la prima composta da rifugiati e richiedenti asilo a essere iscritta alla FIGC, pronta per cominciare il suo primo campionato di terza categoria. Nata nel 2018 dall’incontro tra diverse realtà milanesi che utilizzavano il calcio come strumento di inclusione e accoglienza, è un progetto inevitabilmente politico, come spiega uno dei fondatori, Gian Marco Duina, ad Alley Oop: “Ce ne siamo accorti quando qualche tempo fa si è parlato di noi su un quotidiano milanese online. Abbiamo ricevuto un’aggressione sui social, con tanto di minacce, che ci ha fatto comprendere quanto il nostro lavoro fosse un’azione politica. In questo momento dunque per noi è importante essere un punto di riferimento che porti un messaggio di accoglienza, inclusione, umanità.”
Il 28 agosto alle 17 la squadra si incontrerà per un allenamento vicino alla prefettura di Milano, luogo che ospiterà l’incontro tra Matteo Salvini e Viktor Orban, primo ministro ungherese. Si tratta naturalmente di una protesta pacifica contro una politica che alza barriere, chiude confini e rifiuta il diverso.
Spiega Duina: “Andare in piazza è importante, perché negli insulti sui social emerge una grande mancanza di consapevolezza. Parlare genericamente di immigrati toglie loro individualità, umanità, ma se cominci a chiamarli con nome e cognome, portarli in piazza, mostrare i volti o addirittura giocarci insieme a calcio, ti rendi conto che stai parlando di persone. Che stai minacciando di morte o augurandola a persone. Non andiamo in piazza tanto per protestare contro Salvini, ma per rispondere a tutti quelli che dicono tornate a casa vostra. Vogliamo parlare con la gente, coi giovani. Farli incontrare. Giocare insieme. La scelta del campionato di terza categoria vuol dire anche lavorare con le periferie. In un campo da calcio le regole sono uguali per tutti, il pallone rimbalza che lo tocchi un bianco o un nero”.
La protesta davanti alla prefettura non sarà solitaria: hanno già manifestato la volontà di essere presenti altre associazioni milanesi, tra cui I sentinelli di Milano e Insieme senza Muri. Forse non riusciranno ad avvicinarsi alla prefettura, ma l’intenzione è mostrare pacificamente dei giovani che giocano a calcio, e che magari usano il calcio per sentirsi più umani. Continua Duina: “Questi ragazzi vivono in centri di accoglienza. Lavorano. C’è chi prepara l’aperitivo in un noto locale della movida milanese, chi fa il muratore e ha le mani tutte spaccate per il lavoro. Hanno conosciuto i campi di prigionia libici, alcuni hanno attraversato il deserto del Niger. Uno di loro ha visto la famiglia assassinata da Boko Haram, nonostante fosse una famiglia musulmana. Non hanno voglia di ricordare da dove vengono, ma guardare avanti. Per loro il calcio è un momento di libertà, normalità, condivisione.”
Il logo della squadra è un piccione. Un animale tipico delle piazze milanesi, ma anche un simbolo legato al viaggio. Continua così Duina: “La migrazione fa parte di questo momento storico, è un fenomeno che va al di là della politica e con cui le scelte di Salvini e Orban sono in collisione. Per me è come se volessero fermare la glaciazione. Sono convinto che la storia abbia una direzione precisa, che la multiculturalità sia un fatto inevitabile. Non la stiamo creando noi col nostro lavoro, vogliamo soltanto favorire e accompagnare un processo già cominciato e impossibile da fermare.”
Chiedo a Duina se non abbia almeno un po’ di paura di quello che potrebbe succedere durante la manifestazione. Lui reagisce come se stessi facendo una domanda assurda. Parla di orgoglio, di consapevolezza, di storia. Mai di paura. Allora gli chiedo come si sente ad essere un buonista. Lui sorride e risponde chiedendomi da quando essere buoni sia diventato motivo di vergogna. Ma non si impegola in polemiche e cattiverie, risolve la questione diversamente: “Lasciamo perdere guarda, che te lo spiego giocando a calcio.”