Cara Alley,
ti scrivo perché vorrei provare a parlare di qualcosa che mi sta molto a cuore per capire se il mio approccio è sbagliato. Quando mio figlio aveva tre anni a causa di un tumore molto aggressivo ha subito l’enucleazione dell’occhio destro. Adesso ha quasi sei anni, va in piscina, corre, gioca ed è felice.
E’ ovvio che ancora non posso sapere nel suo intimo che tipo di accettazione stia elaborando in merito al fatto che porta una protesi e vede da un occhio solo ma se lo guardi con i suoi amici al parchetto vedi solo un bambino oggettivamente strabico e oggettivamente felice.
In questa avventura che vivo con alti e bassi da due anni e mezzo sono dentro a un gruppo di mamme che vivono la mia stessa situazione ma spesso non riesco a sentirmi parte di questo gruppo.
Alcune persone cercano di sottolineare in tutti i modi la “disabilità” dei loro figli che io non vivo come una disabilità e attenzione, non perché la cosa mi creerebbe vergogna o chissà cosa altro. Gli altri genitori si arrabbiano con le ASL, con l’INPS, con i medici legali che non confermano le invalidità, le 104, le indennità (cioè soldi). Per non parlare di quando commentano indignate che non possono avere il pass dei disabili per la macchina o addirittura il sostegno a scuola.
Ecco io trovo sbagliato a livello di coscienza civica pretendere per un bambino che vede e che corre un pass per il parcheggio disabili; lo trovo offensivo per quelle persone e quelle famiglie che davvero ogni giorno devono vivere e combattere con disabilità gravi. Stiamo parlando di bambini che non fanno più chemio o che non l’hanno mai fatta e che hanno circa 4 visite annuali.
Capisco lo stato d’animo di un genitore perché anche io provo spesso rabbia o dispiacere per il destino che è toccato a mio figlio ma penso anche che siamo stati fortunati perché i nostri bambini possono fare la loro vita e al massimo dovranno rinunciare a diventare piloti o astronauti!
Perché sentiamo il bisogno di mettere un’etichetta ai nostri figli per sfogare la nostra frustrazione sul prossimo mostrandoci come sfortunate mamme di un disabile? So che ognuno vive il dolore a modo suo ma quando pretendi qualcosa di eticamente sbagliato io mi chiedo fino a che punto le nostre esperienze siano davvero diverse.
Anche io sono rimasta emotivamente fragile dopo tutta questa storia, anche io soffro quando penso a certi momenti ma far sentire mio figlio diverso dagli altri perché vede al 70% delle possibilità di un bambino “normale” non aiuterà me e soprattutto NON AIUTERA’ LUI.
Combatto ogni giorno con l’ignoranza delle persone che mi chiedono: “ma dai corre”, “saprà leggere?”, “valuta seriamente un insegnante di sostegno alle elementari”, “ci vede con la protesi?”….potrei continuare. E come possiamo aiutare i nostri figli a combattere con la superficialità se siamo noi per primi a farli sentire quello che non sono?
Credo che questo sia un atteggiamento più ampio che può riferirsi anche ad altre situazioni. Perché i genitori di oggi sentono il bisogno di usare i loro figli per dare un immagine diversa di sé e spesso più patetica e infelice?
Ricordo bene il primo giorno di ospedale quando vidi mio figlio seduto sulle sedie delle scuola materna del reparto: è stato uno shock…ero davvero io? Poi mi sono detta che no, non ero io, era LUI che era lì ed io dovevo solo avere coraggio e smetterla di usare lui per le sfogare la mia paura e il mio dolore.
L’unica cosa che posso fare è permettere a mio figlio di usare quell’unico occhio che ha per vedere il mondo e insegnargli che “chi ha occhio trova quel che cerca anche ad occhi chiusi”.
Chiara