Qualche settimana fa ho conosciuto un’alta dirigente di un gruppo finanziario italiano che mi ha amabilmente sfottuto perché le confidato le mie aspettative di conciliazione fra lavoro e cura di mia figlia. Dicevo che il tempo dei genitori è una un tessuto a strappi variabili. Può iniziare la mattina con il tragitto che separa casa e scuola e finire tardi o presto, ma con l’auspicio di una cena consumata assieme e di qualche decina di minuti prima del sonno.
Oppure può essere quello che abbiamo detto e una visita dal pediatra, oppure una riunione a scuola, cose così, fatte di quella flessibilità invocata dai datori di lavoro, dai legislatori, e dai lavoratori anche. “Nel settore dei servizi e nelle funzioni impiegatizie è semplice, alla fine lavoriamo sempre, con la continuità che riusciamo a dare. Insomma le mail alle quali io rispondo nel fine settimana sono a garanzia di quella flessibilità che dovrebbe permette di assentarmi per un’esigenza famigliare”, le ho detto e lei ha riso con eleganza e mi ha chiesto se non ero un po’ troppo vecchio per fare il millennial e con grande pazienza mi ha spiegato che era stanca di tutte queste chiacchiere sulla conciliazione, perché il lavoro, se lo scegli, ha necessità di devozione che nessuna recita di Natale di un cinquenne dovrebbe scalfire.
Non ci siamo piaciuti. Soprattutto lei era irritata che l’istanza venisse da un uomo, probabilmente liquidandola come velleitaria, e io ero sorpreso che una donna potesse essere tanto cieca da non comprendere che quello che mi stava illustrando era un sistema che statisticamente avrebbe potuto comportare più disagi a lei che a me. Forse il punto è proprio questo. E’ la sindrome del salmone, quel pesce che pieno di adrenalina per essere riuscito a risalire la corrente non sa che finirà a essere sushi esattamente come un placido branzino.
Nonostante tutto e nonostante lei, leggo che il tempo speso con i figli è in costante crescita dagli anni sessanta a oggi. Quasi il doppio per le madri dei primi Paesi industrializzati: 54 minuti nel 1965 contro i 104 minuti del 2012. Quale equilibrismo ha fatto sì che al crescere dell’occupazione femminile sia progredito anche il tempo di cura famigliare non lo voglio neanche sapere, che a volte le buone notizie è meglio non verificarle.I padri, nello stesso periodo, mostrano performance stupefacenti e passano da 16 a 59 minuti al giorno dedicati ai figli. E’ un grande risultato del quale andare molto fieri. Insomma, abbiamo un ritardo di soli 50 anni sulle madri, ma stiamo giocando un grande campionato.