Diritto allo studio e povertà educativa

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“Mamma, studiare è un diritto? Pensavo fosse un dovere!”

Alessandro ha dieci anni e a scuola, in occasione del 20 novembre, ha imparato quali sono i diritti dei bambini, ma ha ancora qualche dubbio, evidentemente. In realtà, molto più spesso di quanto crediamo, ci si dimentica o si danno per scontati i principi sui quali si fondano i diritti per l’infanzia. Proprio per questo nasce la giornata commemorativa, che ricorre il 20 novembre di ogni anno, dal 1989, quando la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia venne approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a New York. Una data storica, un punto d’arrivo importante che diventa anche punto di partenza, da cui prendere spunto e riflettere sulle molteplici difficoltà in cui versano ancora migliaia di bambini in tutto il mondo.

Diritto alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo. Diritto al gioco, all’assistenza fisica e morale, diritto alla non discriminazione. Diritto alla salute, all’ascolto, all’espressione. Diritto ad avere una casa, un’educazione. Diritto allo studio. Si, lo studio è un diritto. Non è inteso, infatti, solo come “obbligo scolastico”, ma proprio come possibilità di manifestare la propria personalità nei diversi aspetti, come capacità di formarsi come persone consapevoli, di sviluppare le proprie potenzialità, di distinguersi in quanto esseri unici e differenti.

La straordinaria forza dell’istruzione e dell’educazione risiede proprio nell’ essere un processo infinito, in costante evoluzione, che accompagna i bambini, i ragazzi e gli adulti verso un percorso di affermazione personale e sociale, permettendo di raggiungere dei traguardi di sviluppo che rendono la persona, un cittadino, un uomo o una donna consapevoli del mondo che li circonda e, quindi, liberi. Purtroppo, questa che dovrebbe essere la strada privilegiata di ogni bambino, incontra sempre più ostacoli che rendono faticoso il percorso formativo: difficoltà di tipo economico, svantaggio sociale, disagio familiare e psicologico, discriminazione razziale e religiosa, possono produrre fenomeni come dispersione scolastica e abbandono degli studi.

Si parla oggi di povertà educativa, un fenomeno in crescente ascesa, che va di pari passo con la povertà economica, ma anche con situazioni di disagio sociale che non permettono ai bambini di crescere in un ambiente stimolante, capace di sostenerlo nelle sue fasi si sviluppo e crescita e precludendo la possibilità di cambiare la posizione di partenza.

Secondo “Save di Children” in Italia, un milione di minori è a rischio povertà educativa. Un dato davvero allarmante. Si tratta di un tipo di povertà più nascosta, meno visibile perché produce effetti non immediati, ma davvero preoccupanti, perché genera ragazzi disconnessi culturalmente, che non hanno avuto la possibilità di esprimere le proprie potenzialità e di scoprire i propri talenti. Sono ragazzi e ragazze che non hanno la possibilità di incrementare le proprie competenze, che non possono accedere ad internet, o frequentare attività ricreative, come sport, spettacoli teatrali o cinema.

“Non uno di meno” diceva Don Milani, priore di Barbiana, e si riferiva agli studenti esclusi, a coloro che erano senza mezzi. Oggi, a distanza di anni, la drammaticità della povertà educativa continua ad esistere e non riguarda l’analfabetismo. Oggi occorre lottare per colmare la carenza di competenze di base, derivate da un disagio sociale ed economico più “nascosto”, spesso non raccontato, che però non consente a ciascun bambino di esercitare il diritto di scoprire se stesso e coltivare le sue passioni.

La scuola, insieme agli enti locali e al terzo settore, deve occuparsi soprattutto di creare ambienti inclusivi, in cui ciascuno possa sentirsi valorizzato, in cui ogni alunno e ogni alunna possa trovare gli stimoli che gli consentano di ampliare le competenze, di diventando così protagonista consapevole del proprio percorso formativo. Proprio “Save the Children” ha indetto una campagna “ILLUMINIAMO IL FUTURO”, impegnata nella lotta contro la povertà educativa, anche attraverso la creazione di “Punti Luce”, veri e propri spazi ad alta densità educativa, costruiti nelle zone più a rischio delle città italiane.

Immagino spesso la parola inclusione e la raffiguro mentalmente come un cerchio grande, senza linee spezzate a creare inutili confini. La scuola deve sforzarsi di ampliare il cerchio, includendo tutti i suoi alunni, facendo rete col territorio e le associazioni culturali.

Non uno di meno”. Il futuro è di tutti e la strada per costruirlo parte dalla considerazione che la società civile intera riesce a dare ai diritto dei bambini.

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