Eppure avrebbe dovuto saperlo Abramo Maslow, primo di sette figli in una famiglia di immigranti ebrei di origine russa, che chi nasce con uno svantaggio deve penare di più per accorciare le distanze.
E invece no: alla base della teoria della gerarchia dei bisogni umani, che va sotto il nome dello psicologo statunitense, c’è l’assunzione che l’individuo vada considerato nella sua globalità di bisogni, ogni individuo è unico ma i bisogni sono uguali per tutti, se hai la pelle chiara o scura, se hai 2 braccia o 1 e mezza, dai bisogni più elementari, fino a quelli superiori come i bisogni spirituali.
Nasce un po’ dalle stesse assunzioni anche una recente campagna di comunicazione sviluppata da Luca Pannese e Luca Lorenzini, executive creative director dell’agenzia Publicis di New York. I due formano coppia fissa dal 2000 quando hanno iniziato a lavorare insieme in una piccola agenzia digitale di Roma. Pochi anni dopo si sono spostati a Milano, fino al 2015 quando hanno avuto la grande occasione di trasferirsi negli Stati Uniti, e dal 2012 collaborano con CoorDown cercando di creare campagne d’impatto e attirare l’attenzione sulle tematiche care alla comunità delle persone con sindrome di Down.
‘La campagna ‘Not Special Needs’ nasce da un eufemismo spesso usato nel mondo anglosassone per indicare persone con disabilità: “special needs” (bisogni speciali). Tale termine, che inizialmente può sembrare corretto, è in realtà dannoso, perché non fa altro che escludere le persone con disabilità segregandole dalle altre. La campagna vuole invece dimostrare che le persone con disabilità non hanno alcun bisogno speciale: hanno bisogno di studiare, lavorare, avere opportunità ed essere amati. Esattamente come tutti noi.’
‘Volevamo stimolare una conversazione riguardo ad un argomento importante. Il linguaggio riflette spesso quello che è il nostro modo di vedere il mondo: un linguaggio più inclusivo è il primo passo per sperare in un mondo più inclusivo.’
Aver bisogno di mangiare uova di dinosauro, indossare un’armatura, farsi massaggiare da un gatto, farsi svegliare da un attore famoso: questi gli esempi citati nello spot che nulla hanno a che vedere con una vita normale, una vita in cui per crescere adeguatamente anche le giovani persone con disabilità hanno bisogno di essere inserite in un buon contesto educativo e professionale. Proprio come tutti gli esseri umani, guarda un po’. Sarà per quest’aura di mistero che si porta dietro la non conoscenza della diversità rispetto alla norma, ma in effetti oggi non è ancora così.
‘Il video è stato condiviso più di 600.000 volte sul web e ha totalizzato più di 30 milioni di visite. Molti influencer e blogger, attivi nel mondo della disabilità, hanno promesso di cambiare il loro linguaggio e di non usare più il termine “special needs.” Un blog italiano che si chiamava “special needs” ha addirittura deciso di cambiare il nome in “not special needs.” (https://notspecialneeds.blog/).’
La coppia creativa non è comunque nuova a campagne di supporto per l’associazione di riferimento per le persone con Sindrome di Down: ‘Sin dalla nostra prima campagna abbiamo avuto una sola missione: lottare per una maggiore inclusione delle persone con sindrome di Down nella società. Ogni anno abbiamo usato un mezzo e un tono diverso, ma l’obiettivo è rimasto invariato. La strada ancora è lunga, ma abbiamo la sensazione che qualcosa si stia muovendo.’
Eppure il linguaggio pubblicitario sulla disabilità pullula di supereroi in carrozzina e mantelli dai poteri speciali, la differenza qui può averla fatta la vicinanza diretta con chi vive la disabilità in prima persona: lo racconta bene nel portale della campagna anche Martina Fuga, mamma di Emma e Board Member di CoorDown Italia. O la presenza tra i testimonial di John C. McGinley, attore di Scrub che non è stato scelto a caso: è il padre di un ragazzo con la sindrome di Down.
‘Come tutti coloro che non hanno mai avuto un contatto diretto con le persone con sindrome di Down, avevamo molti pregiudizi – raccontano Luca Pannese e Luca Lorenzini. Soprattutto, tendevamo a generalizzare. Abbiamo scoperto invece che ognuna di queste persone è unica, esattamente come noi. C’è chi è introverso, c’è chi divertente, c’è chi è silenzioso, c’è chi ama cantare, c’è chi ama nuotare. Per noi ogni anno è stata un’esperienza profonda e indimenticabile.’
Grazie Abramo Maslow, non ne sentiamo ancora il bisogno di una piramide dei bisogni ‘speciali’; vorremmo tutti solo soddisfare i nostri bisogni umani fino alla punta della piramide, proprio lì dove si parla di accettazione e di assenza di pregiudizi.