E’ tempo di lauree. E quest’anno si laureano i primi ragazzi e ragazze che appartengono a quella che viene chiamata Generazione Z. Sappiamo già molto di questa generazione:
- Sono felici;
- Hanno dei valori profondi che li guideranno nelle loro scelte, in primis la famiglia;
- Sono dei viaggiatori e considerano la loro casa il mondo;
- Sono contenti dell’educazione che ricevono;
- Essendo nativi digitali, considerano la tecnologia come la loro migliore alleata e il 70% dei ragazzi è convinto che l’AI migliorerà la loro esperienza lavorativa;
- Si aspettano un lavoro innovativo, divertente, inclusivo, di responsabilità e dove possono imparare.
Fin qui tutto bene. Ma se chiediamo ai giovani italiani come si aspettano il loro futuro, il 53% di loro dichiara che sarà peggiore del presente. E il lavoro, che è una variabile importante della felicità dei ragazzi, gioca un ruolo importante in questa valutazione pessimistica.
Lo studio Accenture Strategy 2017 “University Graduate Employment Study” – condotto in Italia per la prima volta – ha preso in esame 1.001 studenti italiani che si laureeranno nel 2017 e 1.001 studenti che hanno completato il ciclo di studi nel 2015 e 2016, fino a 24 anni di età, per mettere a confronto le percezioni di chi si prepara a entrare nel mercato del lavoro con le esperienze di chi vi si è recentemente inserito.
Chi si appresta ad entrare nel mondo del lavoro ritiene che sia una grande organizzazione a far esprimere al meglio il proprio talento a differenza dei più piccoli della Gen Z che hanno il mito della startup. Le rosee aspettative dei giovani laureati ben presto si scontrano con una realtà più triste. I dati che fanno riflettere di più sono due. Il primo è che la metà dei laureati del 2015/2016 ha avuto molta difficoltà a trovare un posto di lavoro e soprattutto il lavoro che hanno trovato non è in linea con le loro aspettative e con gli studi che hanno fatto. Insomma, non serviva una laurea o un master per le mansioni che svolgono quindi la frustrazione provata è di aver investito tempo, fatica, denaro senza un ritorno immediato.
Anche i dati Ocse confermano la stessa fotografia più ampia sul mercato del lavoro: c’è uno “skill mismatch” tra competenze acquisite dai lavoratori e le competenze richieste dal lavoro. I sovraqualificati, ovvero le persone che hanno un set di competenze più ampio rispetto al lavoro richiesto, sono il 12% del lavoratori italiani.
Le strategie di intervento in tema di occupazione e di formazione devono probabilmente essere più sinergiche rispetto al passato. Negli ultimi anni abbiamo fatto passi in avanti con l’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro, la Garanzia Giovani, il Jobs Act. Queste misure hanno disegnato una rotta molto chiara che deve essere ancora percorsa in maniera organica tra pubblico e privato.