Cyberbullismo, tutela dei dati personali e della propria identità digitale, hate speech, web reputation e affidabilità delle informazioni nella rete. Queste e molte altre sono le questioni che ci troviamo davanti, per far sì che l’ambiente digitale in cui bambini e adolescenti sono sempre più immersi sia sicuro e funzionale al loro sviluppo. Sfide che si giocano su più tavoli, da quello dell’educazione in famiglia, a quello legislativo e istituzionale, al centro del Safer Internet Day, la giornata mondiale sulla sicurezza nella rete che si celebra oggi (qui il link internazionale e qui quello italiano) e che coinvolge oltre 100 Paesi con iniziative e progetti di sensibilizzazione sulla tutela dei più giovani online.
Lo slogan di quest’anno è “Siate il cambiamento: uniti per un Internet migliore”, un invito che riguarda istituzioni, organizzazioni non profit, aziende del settore tecnologico, scuola, famiglia, bambini e adolescenti. In Italia nel 2016 c’è stata un’intensa attività su alcuni temi, a partire dal cyberbullismo, con linee guida e proposte normative che, se non altro, hanno avuto il merito di contribuire a stimolare un interessante dibattito. La settimana scorsa è stato approvato in Senato un ddl “per la tutela dei minori a prevenzione e contrasto al cyberbullismo” che riprende il testo originario del 2015 e cancella alcune modifiche approvate alla Camera che, accentuando gli aspetti repressivi del reato, snaturavano di fatto la legge nel suo intento educativo. Il Miur, inoltre, ha lanciato la campagna “Il nodo blu – le scuole unite contro il bullismo”, che invita tutte le scuole, di ogni ordine e grado, ad organizzare formazione e informazione per alunni e genitori.
Ma il cyberbullismo è solo una delle insidie della rete e molto ancora deve essere fatto per creare un ambiente digitale a misura di bambini e adolescenti. Ci troviamo di fronte a una materia complessa che evolve di continuo, come dimostrano gli esempi della privacy e della protezione dei dati personali: cosa vuol dire tutelare la privacy di un minorenne nell’epoca dei big data? Nei prossimi mesi (e comunque entro il maggio del 2018) l’Italia dovrà decidere dell’applicazione del General Data Protection Regulation europeo che impone, tra le altre cose, una decisione sull’età per il trattamento dei dati riferiti ai minori: se passerà la proposta della Commissione Europea di fissare questo limite a 16 anni, i 13-16enni avranno bisogno del consenso dei genitori per accedere a social come Facebook, Instagram e Snapchat. Di fatto, il provvedimento innalzerebbe un limite di età che già adesso viene frequentemente violato e avrebbe come risultato quello di aumentare il numero di false attestazioni sull’età da parte dei teenager che vogliono aggirare l’ostacolo. Con il problema in questo caso che i loro dati verrebbero trattati come quelli degli adulti. Non vale forse la pena di chiedersi qual è la reale consapevolezza sull’importanza di fornire informazioni personali di bambini e adolescenti? Alcune ricerche suggeriscono che già a 14-15 anni molti adolescenti sono sensibili al tema della riservatezza dei dati e molto attenti a prestare il proprio consenso (e immediatamente viene da chiedersi: più di quanto facciano molti adulti?).
Queste riflessioni ci inducono a dire che prima ancora che di una legge, in Italia abbiamo bisogno di un cambio di prospettiva, nel quale i bambini e i ragazzi, da oggetto di tutela, diventino soggetto di diritti, attori del cambiamento, consapevoli e protagonisti. Nella vita offline e in quella online, ormai indistinguibili, i bambini e i ragazzi hanno bisogno di essere aiutati a sviluppare capacità e resilienza, di acquisire abilità nell’interazione critica con le informazioni che raccolgono, capacità di accedere, di esplorare e “maneggiare” l’impatto emotivo, cognitivo, percettivo che sempre più arriverà dalle nuove tecnologie (basti pensare alla realtà immersiva).
In Gran Bretagna, per esempio, le proposte più recenti del Children’s Commissioner (una figura che promuove e protegge i diritti dei bambini in Inghilterra) vanno nella direzione di creare un programma di cittadinanza digitale obbligatorio in ogni scuola dai 4 ai 14 anni e di prevedere una semplificazione dei termini e delle condizioni di utilizzo dei servizi più utilizzati dai minorenni. Senza un chiaro investimento nel riconoscimento e nel potenziamento delle loro abilità, i bambini e ancor più gli adolescenti rischiano di restare spettatori anestetizzati, o peggio ancora di essere strumentalizzati da venditori e adescatori. Se li lasceremo nella condizione di passivi fruitori e consumatori acritici, la loro sicurezza dipenderà sempre da un limite (di età e di accesso), calato dall’alto, deciso da un’autorità o da una legge. Si tratta di limiti necessari, certo, ma poco utili senza un cambiamento culturale profondo: è il nostro auspicio per questo Safer Internet Day.