Val Seriana, sul campo di pallavolo che ospita il campionato Under 13 si affrontano la Nossese e il Cene, con squadre miste. Dopo il primo tempo i genitori della squadra in svantaggio iniziano ad insultare, con epiteti sessisti, i ragazzi della squadra avversaria. I genitori di questi ultimi reagiscono e si arriva alle mani. Devono intervenire i carabinieri a sedare gli animi. E i ragazzi? Al rientro in campo si mischiano non guardando più al colore della maglia e giocano così, senza più Nossese e senza più Cene, dando una lezione magistrale ai genitori increduli sugli spalti.
E’ solo uno dei milioni di episodi che infestano i campetti di tutta Italia durante i campionati dai pulcini in su. Sugli spalti ci trovi varia umanità che si trasforma in ultras della peggior specie: lei con i tacchi a spillo e la borsetta dorata che si domanda perchè il figlio sia in panchina dopo dieci minuti di gioco: “doveva uscire quella schiappa che gliela passa sempre male”; lui, ex Maradona della periferia milanese, incita il piccolo Matteo a fare dribbling, a provare il cucchiaio da metà campo e soprattutto a non ascoltare quell’allenatore incapace; poi c’è il nonno che mette a rischio l’ultimo bypass tifando come un matto: “forza Riccardo! Forza corri, vai in porta e tira!”. Peccato che Riccardo, magro come un chiodo, sia difensore centrale e già ogni partita torna a casa livido per le fisiologiche botte degli avversari, figurarsi se ascoltando il nonno andasse in attacco!
Alla fine della partita, poco importa, se siamo diventati impiegati, operai o dirigenti, dentro siamo tutti allenatori a prescindere dalle scarpe che indossiamo: “l’arbitro favoriva assolutamente l’altra squadra”; “l’allenatore ha tenuto ingiustamente in panchina Diego”, “Riccardo non può giocare sempre in difesa”, “Non ha insegnato neanche uno schema su punizione”. Insomma, malcontento generale, soprattutto quando il risultato tradisce le aspettitive: allenatore alla gogna, avversari a morte e non parliamo poi dell’arbitro.
Gli effetti deleteri della cattiva tifoseria sono evidenti leggendo la cronaca: ultimo in ordine di tempo quello che ha visto protagonista il signor Violante, tifoso napoletano che ha avuto la malaugurata idea di andare a vedere la partita fra i tifosi della Juve. A lui, e ai suoi figli, sono state dedicate parole irripetibili. Il seme di questi comportamenti è proprio nell’esempio che i genitori di oggi danno ai tifosi di domani. Così le società sportive corrono ai ripari come possono e i campi si popolano di cartelli tra l’educativo e il minaccioso. D’altra parte la soluzione che sperava il campione granata Paolo Pulici non sembra percorribile: esasperato dai genitori, suoleva dire “Sogno di allenare una squadra di orfani”. E allora non resta che educare i genitori come fa Emauele Macaferri, ex allenatore di basket, che ha fondato a Reggio Emilia la prima scuola di tifo dell’Emilia Romagna, un progetto atto ad insegnare il buon tifo.
A questo punto se i genitori di questi mini-talenti di tutta Italia si iscrivessero alla Scuola di Tifo, trasmetterebbero ai propri figli un modo nuovo di sostenere la propria squadra e in futuro sugli spalti urlerebbero nuove persone per incitare gli atleti e non per denigrare gli avversari. Magari anche il signor Violante potrebbe tifare a gran voce per la sua squadra del cuore, senza che lui, il suo paese, il Maschio Angioino e l’intero Sud vengano insultati.