Ddl Pillon: cos’è la sindrome di alienazione parentale ed è davvero riconosciuta dalle istituzioni?

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Si chiama Pas, altrimenti detta sindrome di alienazione parentale, Sap o alienazione genitoriale che dir si voglia. Una “presunta malattia”, come ha sentenziato, non senza un lungo e acceso dibattito, buona parte della comunità scientifica internazionale. E che per questo non è mai entrata nel Dsm, la bibbia mondiale delle malattie psichiatriche. La storia della “sindrome” è lunga e controversa e adesso con il ddl Pillon troverà nuovo impulso.

La Pas in Italia
Teorizzata da Richard Gardner, medico americano in odore di pedofilia, la Pas in Italia è stata più volte oggetto di pronunce e prese di posizione, anche da parte della giurisprudenza. Tra le più clamorose una sentenza, nel 2013, della Cassazione che aveva sconfessato la dignità scientifica della sindrome. Ma ancora prima era arrivata la presa di distanza del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità. Il dossier è oggi sul tavolo dell’Organizzazione mondiale della sanità che lo ha inserito nell’indice dell’Icd-11. ”Innanzitutto va detto che si tratta ancora di una bozza e non di una versione definitiva – spiega Andrea Mazzeo, psichiatra tra i massimi esperti delle vicende legate alla Pas -. Ma per capire di cosa si tratta va chiarita la struttura dell’Icd: le malattie e le cause di morte sono classificate, nelle bozze della nuova versione, dal capitolo 1 al capitolo 23. Al capitolo 24 sono descritti i fattori che influenzano lo stato di salute e il contatto con i servizi sanitari”. Mazzeo spiega poi che “l’attuale bozza dell’Icd classifica con il codice QE52 i problemi associati con le interazioni interpersonali nei bambini e assegna quindi il sottocodice QE52.0 ai “Problemi associati alla relazione con il care-giver”, e il codice QE52.1 alla “Perdita della relazione di amore nell’infanzia”, così descritta: sostanziale e duratura insoddisfazione all’interno di una relazione caregiver-bambino associata a significative perturbazioni nel funzionamento”. E conclude: “Voler leggere tutto questo come alienazione parentale è una sfida all’intelligenza”.

Tra una pronuncia a favore e una contraria, la sindrome di alienazione parentale si è fatta strada a spallate nei tribunali italiani prendendo piede nei casi di separazione conflittuale, prime in testa le vicende di violenza familiare. Si tratta, in soldoni, di diagnosticare a un genitore, spesso la madre che denuncia abusi su di sé o sui figli, una forma di malattia psichiatrica alienante: i bambini sarebbero plagiati e manipolati contro l’altro genitore.

Il ddl Pillon
Sotto il peso della letteratura contraria, nel ddl Pillon (attualmente in esame alla commissione giustizia del Senato in sede redigente) la sindrome perde l’epiteto di malattia ma incassa una corsia preferenziale nei procedimenti di separazione e affidamento dei figli. Perché oltre alla questione dell’assegno di mantenimento, dei tempi paritetici di permanenza dei figli con ciascun genitore, della doppia residenza, il testo del senatore leghista entra a gamba tesa nelle complesse vicende di violenze consumate dentro le mura domestiche, delicate e dolorose, ancor più se consumate in presenza dei bambini o peggio su di loro. Si pensi all’obbligo di intraprendere un percorso obbligatorio di mediazione familiare: la vittima di violenza sarebbe costretta a negoziare con il suo aguzzino. Stesso pericoloso paradosso per i bambini: con la perdita dell’affidamento il genitore violento non perderebbe però il diritto di frequentare i figli. Ma c’è di più: se uno dei genitori insiste a opporsi alle frequentazioni del bambino o anche nel caso in cui sia il bambino stesso a rifiutare uno dei genitori, il giudice può stabilire l’affidamento ai servizi sociali e il suo ricollocamento in una struttura protetta dove il minore affronterà “uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità”.

Peccato che la cronaca recente non abbia risparmiato casi drammatici come quello del piccolo Federico Barakat che a 8 anni venne ucciso dal padre durante gli incontri protetti imposti dal giudice su indicazione degli assistenti sociali. La madre Antonella Penati, nemmeno a dirlo, aveva subito una diagnosi di Pas e oggi combatte con coraggio per liberare dal bavaglio madri e bambini vittime di violenza, rivittimizzati da quei tribunali che dovrebbero proteggerli. “Per chi sostiene l’alienazione parentale l’unica causa del rifiuto è il condizionamento del bambino – dice Mazzeo -. Sappiamo invece che un rifiuto può avere una molteplicità di cause. Prendiamo l’esempio di un incidente stradale; può essere provocato dalla guida in stato di ubriachezza ma può essere provocato anche da altre cause come la disattenzione o l’eccessiva velocità. Non si può affermare che tutti gli incidenti stradali siano provocati dall’ubriachezza del conducente; analogamente non si può affermare che tutti i rifiuti di un bambino a incontrare l’altro genitore siano causati da un condizionamento psicologico”.

Convenzione di Istanbul e Csm
Il tema è complesso e le risposte non possono essere né semplici né strabiche sulla tutela dei bambini. Sarà per esempio difficile ignorare la protezione dei minori sancita in sede internazionale. Una tra tutte la Convenzione di Istanbul, recepita dall’Italia nel 2013, che prevede una salvaguardia speciale nelle vicende di violenza che vedono coinvolti i bambini. E che all’articolo 31 reclama dagli Stati “misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza”. La Convenzione stabilisce anche che l’affidamento e la frequentazione non debba compromettere i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini.

Una questione, si sa, che riempie le pagine di cronaca nera sui giornali e sulla quale il 9 maggio scorso è intervenuto perfino il Csm. “Spesso – recita il documento di Palazzo dei Marescialli – gli atti relativi al processo penale sono sconosciuti ai giudici civili e tale difetto di conoscenza può verificarsi persino nei casi in cui in sede penale, siano state adottate misure cautelari a carico del coniuge violento anche a tutela dei figli con la conseguenza che il giudice civile può pervenire ad assumere provvedimenti di affido condiviso del minore in tal modo incolpevolmente vanificando le cautele adottate in sede penale”. Una presa di posizione importantissima che ora rischia di rimanere lettera morta, seppellita da una riforma del diritto di famiglia che dà una sola risposta alle tante – e diverse – richieste di tutela.

  • Claudio |

    Io sono separato dal 2003 e non vedo mio figlio maschio, che all’epoca aveva 22 anni da allora. Non ho visto nemmeno mia figlia femmina, che all’epoca aveva 16 anni, sino a due anni orsono. Quindi io non vedo mio figlio da 16 anni ed ho rivisto mia figlia dopo 14 anni e solo dopo che lei ha autonomamente deciso di rompere i rapporti con sua madre. Ora stiamo faticosamente ricostruendo un rapporto, almeno per quel che è possibile dal momento che mia figlia, ora adulta, afferma che – sono parole sue – ‘prima’ (quando io ero in famiglia) era brutto, ma ‘dopo’ (che io ne fui cacciato) è stato peggio. Per tutti questi anni io mi sono rifiutato di aderire ad associazioni di padri separati, anche se ho individualmente esplorato, senza alcun risultato oltre qualche sguardo di commiserazione di psicologi, giudici e avvocati, percorsi medici e legali che mi consentissero di non lasciare uccidere la mia paternità. Ciò non è stato possibile, poiché in questo Paese ne psicologi ne avvocati intendono mettere a repentaglio le loro carriere per affermare principi che vanno contro il comune sentire, di matrice cultural-religiosa oltre che di opportunismo sdrucciolo, per il quale la ‘mamma’ pare abbia una ‘sacralità’ maggiore rispetto a quella del papà. Mi piace dire che sembra trattarsi dello schema organigrammatico Madonna – San Giuseppe. Tuttavia io mi considero comunque fortunato, poiché in un simile teatro ho potuto resistere e pazientare sino a poter rivedere e riabbracciare mia figlia. Ma vi assicuro che la disperazione e l’angoscia di trovarsi annientati nella paternità e nella personalità, sofferenti per la mancanza dei figli e impotenti di fronte al percepibile ‘sospetto’ che se insomma moglie e figli ti hanno abbandonato eh beh qualcosa devi avere pur combinato, è una esperienza che può condurre a esiti estremi. Ma non voglio dilungarmi oltre ed scritto queste righe solo per dire che una guerra tra generi è priva di senso e non offre altro che l’aggravamento di una situazione che è di matrice culturale. Ostracizzare o deridere l’ipotesi della PAS è per me un atto di prepotente bullismo culturale, al quale le donne intelligenti non dovrebbero prestarsi e anzi dovrebbero ribellarsi. La mia esperienza personale mi ha reso convinto che soltanto l’intelligenza delle donne e degli uomini potrà superare la gabbia demagogica di coloro, e sono molti e con vari ruoli sociali, che trovano comodo e utile garantire il proprio status quo anche affermando l’inesistenza clinica della PAS o riducendola a scaltro escamotage per pedofili.

  • Anna Capanna |

    cara Boldrini
    cara Carfagna e altre Miniatre
    vorrei che passasse quello che sta passando mio figlio, la madre
    che si ostina ad non far vedere è 11 anni che ci crea problemi, 57 mila euro tra CTU, Avvocati.
    le leggi vanno cambiate ,le drone devo capire che i figli nascano da un atto di amore. Quando l’amore finisce rimangano i figli. anch’io sono madre e nonna ma non farei mai quello che fanno le donne oggi
    Grazie Boldrini

  • Maurizio Santopietro |

    Tra i più importanti punti segnalerei i seguenti: a) favorire il mantenimento della “costanza psicologico-relazionale e ambientale” del bambino quale “base sicura” del suo sviluppo evolutivo, in quanto una “rottura” più o meno traumatica, si configurerebbe come esperienza psicologicamente stressante, nonché terreno fertile per l’origine di potenziali disturbi emotivo-cognitivo e relazionale ; b) s’impone perciò un’attenta, seria e profonda valutazione psicodiagnostica del rapporto “car giver-bambino” in genere madre-bambino, per escludere, con la più alta probabilità possibile, la manipolazione materna sul minore; ricordare che, in ogni caso, il bambino è la “parte centrale e più vulnerabile” del conflitto coniugale e ciò va considerato in tutte le fasi della separazione consensuale e legale che sia; favorire un percorso di sensibilizzazione alla “genitorialità matura” per entrambi le figure; monitorare con periodicità anche la relazione “padre-figlio”, con la finalità di assicurare al minore una buona qualità relazionale con entrambi i genitori. Maurizio Santopietro

  • Dede |

    Due anni che mio figlio rifiuta il padre, scusate se lo rifiuta ma il bambino si ricorda chiaramente che ha tentato di investirci insieme alla sorella solo perché usciti per non far vivere lanci di roba e urla ai figli. Fallo capire alle assistenti che ignorano mio figlio e continuano a fare loro alienazione per dirgli che debe andare con papà è obbligato. Ogni incontro un incubo…lo tira se la prende con me…vedremo la fine del penale..mancano tre giorni. Altro che calendario incontri vi ricordo care assistenti che ha minacciato davanti a voi di farmelo sparire. Evitate questo scempio portate a conoscenza il più possibile giornalisti. Ho scritto una bella lettera da madre spaventata x le sorti del bimbo di soli 6 anni. Non è vero non capisce capisce tutto cari i miei politici…l’ho inviata a molti di voi!

  • Anonima |

    Sono vittima di un padre che per riavere la sua casa maltratta i figli accusandomi di esserne la causa, inventa e crea reati contro di me, essendo un poliziotto amico di assistenti sociali lavora indisturbato. Devo denunciarlo e non riesco a farlo. Nessun mediatore è servito, nessuna sentenza ci tutela.

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