L’istruzione formale svolge un ruolo determinante nello sviluppo delle competenze di lettura e di calcolo degli individui, ma in Italia il percorso scolastico non sembra in grado di fornire alla popolazione adulta un livello di competenze quanto meno pari alla media dei Paesi Ocse. E le prestazioni peggiori sono proprio quelle dei laureati.
Livelli di competenza per titolo di studio
Disaggregando i dati per titolo di studio, infatti, si nota che per le persone senza diploma la posizione del nostro Paese è sopra la media Ocse, sia con riferimento alle capacità di lettura e comprensione di testi scritti sia per quanto riguarda l’utilizzo di informazioni matematiche e numeriche. Similmente, per quanto riguarda le competenze dei diplomati, l’Italia non si scosta dalla media Ocse, ma considerando le competenze dei laureati la situazione si rovescia, e l’Italia si posiziona sotto la media con un distacco di 11 punti in lettura e di 17 punti in calcolo (Figure 1 e 2).
Figura 1 – Livelli di competenza nella capacità di lettura e comprensione di testi scritti per titolo di studio (dominio della literacy)
Figura 2 – Livelli di competenza nella capacità di comprensione e utilizzo di informazioni matematiche e numeriche per titolo di studio (dominio della numeracy).
La laurea aumenta troppo poco le competenze
La relazione tra titolo di studio e competenze di base conferma che in ognuno dei Paesi che hanno partecipato all’ultima Survey of Adult Skills le competenze dei laureati sono nettamente maggiori di quelle degli individui senza diploma; questo vale anche per l’Italia, ma nel nostro Paese la differenza è troppo piccola. L’incremento registrato nelle competenze dei laureati, infatti, è il più modesto tra tutti i Paesi Ocse, sia per quanto riguarda le capacità di lettura sia con riferimento alle capacità calcolo (Figure 3 e 4).
Figura 3 – Differenze di competenza aggiustate tra adulti con un livello di istruzione elevato e basso nella capacità di lettura e comprensione di testi scritti (literacy).
Figura 4 – Differenze di competenza aggiustate tra adulti con un livello di istruzione elevato e basso nella capacità di comprensione e utilizzo di informazioni matematiche e numeriche (numeracy).
La dimensione del divario di competenza tra laureati e persone senza diploma è tanto più significativa se si considera che questi dati confrontano le prestazioni di persone simili tra loro, perché sono “aggiustati” per tener conto delle caratteristiche socio-demografiche individuali come età, genere, livello di istruzione dei genitori e così via, e quindi rappresentano una valutazione affidabile della misura in cui le differenze osservate nelle competenze possono essere attribuite ai differenti livelli di istruzione.
Perché dunque in Italia l’istruzione terziaria non riesce ad incrementare più di tanto le competenze di lettura e calcolo degli individui?
La conclusione di Huckleberry Finn
La più semplice, tra le tante possibili spiegazioni, è forse quella di Huckleberry Finn[1]:
«Ma allora – dico io – qual è lo scopo di fare le cose per bene quando farle nel modo giusto è difficile, non ci sono problemi nel farle male, e la paga è la stessa?»
Come dire, parafrasando: a quale scopo prendere una laurea se studiare è difficile, non ci sono ostacoli alla carriera derivanti dalla bassa scolarità, e la retribuzione non migliora?
In Italia studiare è difficile
Tra le difficoltà dei percorsi formativi possiamo citare gli abbandoni precoci degli studi, le scarse iscrizioni all’università, i tempi lunghi per arrivare alla laurea e le rinunce al conseguimento del titolo. Nel nostro Paese, infatti, i giovani che lasciano gli studi prima ancora del diploma sono in numero maggiore rispetto alla media europea: 10,5% contro il 9,5% in Europa (Eurostat 2024), e la maggior parte di loro non ha un lavoro; solo il 43,8% di coloro che hanno lasciato precocemente la scuola è occupato nel nostro Paese contro il 47,3% della media europea.
Tra i giovani che si diplomano, inoltre, sono troppo pochi quelli che si iscrivono all’università, e sono ancora meno quelli che conseguono il titolo. In Italia, infatti, il tasso di passaggio dalla scuola secondaria di secondo grado all’università raggiunge appena il 50% contro il 65% della media Ocse (Rapporto AlmaLaurea 2021).
Anche il tasso di abbandono degli studenti universitari è maggiore di quello degli altri Paesi: nel complesso, conseguono il titolo solo il 53% degli immatricolati in corsi di laurea triennale in Italia contro il 72% della Spagna, il 71% della Francia, l’85% del Regno Unito e il 68% della media Ocse (Rapporto Anvur 2023). La rinuncia agli studi continua anche nei percorsi di II livello: tra il primo e il secondo anno abbandonano infatti il 7,3% degli immatricolati nei corsi biennali e l’8,2% degli immatricolati nei corsi a ciclo unico (Rapporto Anvur 2023).
Infine, i tempi lunghi per il conseguimento del titolo evidenziano un ulteriore problema del nostro sistema formativo: in Italia ci si laurea ad una età sensibilmente maggiore rispetto agli altri Paesi: in media europea il 50% dei neolaureati ha conseguito il titolo prima dei 25 anni, ma la loro quota scende fino al 37% nel nostro Paese.
La bassa scolarità non ostacola la carriera
Nella maggior parte dei Paesi europei la bassa scolarità rappresenta un ostacolo alla carriera, ma in Italia il titolo di studio non sembra necessario per qualificare la dirigenza. Nel nostro Paese, infatti, solo un dirigente su quattro è laureato, mentre in tutti gli altri Paesi la quota dei laureati supera il 50%. Ad esempio, in Finlandia sono laureati l’84% dei dirigenti, in Francia il 77%, in Belgio il 69%, in Spagna il 68%, e così via, ma in Italia la percentuale di dirigenti con laurea scende fino al 27%, spingendo il nostro Paese in fondo alla graduatoria.
La laurea, inoltre, non sembra indicare la presenza di competenze particolarmente gradite al mercato del lavoro; in Italia infatti ci sono al tempo stesso pochi laureati e alti tassi di sovra-qualificazione: è come se il sistema produttivo segnalasse al sistema formativo che questi laureati non hanno le competenze giuste, perciò le imprese non li assumono o li mettono a fare qualcosa che si può fare anche senza laurea.
La paga è la stessa (più o meno)
In tutti i Paesi Ocse la retribuzione cresce al crescere dei livelli di competenza, ma in Italia cresce poco, molto meno della media, quindi le competenze degli individui sono premiate in misura maggiore fuori dal nostro Paese. Questa distanza è evidente nei dati della Survey of Adult Skills (2024) relativi alla retribuzione mediana lorda oraria degli occupati (dipendenti e indipendenti) di età 25-65 anni espressa in dollari US a parità di potere d’acquisto.
Nel nostro Paese la metà degli occupati guadagna meno di 19 dollari l’ora e l’altra metà guadagna più di 19 dollari l’ora. La mediana della retribuzione per l’insieme dei Paesi Ocse non è molto maggiore di quella italiana: 23 dollari l’ora, ma le differenze emergono nettamente considerando le differenze retributive tra livelli di competenza. (Figure 5 e 6).
Figura 5 – Retribuzione mediana lorda oraria degli occupati di età 25-65 anni in dollari US per livello di competenza in literacy 2022.
Figura 6 – Retribuzione mediana lorda oraria degli occupati di età 25-65 anni in dollari US per livello di competenza in numeracy 2022.
Il divario retributivo tra il nostro Paese e la media Ocse si dilata al crescere del livello di competenza: le persone con poche competenze guadagnano più o meno la stessa cifra in Italia e nei Paesi Ocse, ma le persone con alti livelli di competenza ricevono un premio retributivo ben più consistente fuori dal nostro Paese.
Se il nostro Paese non premia le competenze cos’altro premia?
Ad esempio, tra i giovani di genere maschile, troviamo al vertice della classifica delle retribuzioni gli occupati nelle attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento; i loro compensi sono molto maggiori in Italia che in ogni altro Paese europeo: rispettivamente 9.590 euro contro 2.643 euro al mese. È da rimarcare anche il fatto che in questo settore i laureati guadagnano meno dei diplomati, che a loro volta guadagnano meno dei giovani senza diploma: rispettivamente 6.688, 4.750 e 3.646 euro al mese (Eurostat 2018).
Se Huckleberry Finn ha ragione, la conclusione è dunque la seguente: il modo migliore per aumentare le competenze degli individui è riconoscerle e premiarle sia nelle retribuzioni sia nei percorsi di carriera, aumentando così l’incentivo a conseguire il titolo di studio e a ridurre gli abbandoni precoci del sistema formativo.
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[1] Mark Twain, The Adventures of Huckleberry Finn p. 108.