Lettera di Anna Adamo
Mi sono sempre sentita un mondo a parte e mai una parte del mondo. Ciononostante non mi sono arresa, perché pensavo che prima o poi le cose sarebbero cambiate e un posto nel mondo lo avrei trovato anche io. Mai avrei immaginato che, invece, mi sarei sentita dire di dover fare un passo indietro che non ho affatto intenzione di fare. Non io, che un passo indietro sono costretta a farlo da tutta la vita. O meglio, è la società in cui viviamo che vuole io resti indietro, un po’ come se fossi un mondo a parte e non parte del mondo, a causa di una forma di disabilità di tipo motorio da cui sono affetta fin dalla più tenera età.
Ebbene sì, nonostante conduca una vita normale in piena autonomia, per la gente sono e sarò sempre la ragazza disabile da mettere da parte, colei che nella vita, pur avendo una laurea in giurisprudenza e un master in criminologia e scienze forensi, sia giornalista, abbia studiato e ancora studi dizione e public speaking, non arriverà mai da nessuna parte, come se la mia formazione non bastasse per aprirmi le porte del mondo lavorativo.
Fino ad ora, infatti, mi hanno semplicemente dato dei contentini, però mai nessuno mi ha dato l’opportunità di mettere realmente in atto le mie conoscenze e la mia professionalità, perché non riescono ad andare oltre una condizione fisica che è fine a sé stessa e non mi limita nella quotidianità.
A causa di tutto questo, pur essendo da sempre una persona molto forte, sono caduta in depressione.
Una fase, questa, che è iniziata nel momento in cui ho preso consapevolezza del fatto che si faccia davvero fatica a concedere reali opportunità lavorative alle persone con disabilità, perché vedevo che nonostante mi ha impegnassi tantissimo, tutti mi dicevano di essere brava, ma nessuno mi dava quello che meritavo.
Nessuno ha mai creduto in me e mi ha mai dato l’opportunità di percorrere la strada giusta che mi facesse arrivare a svolgere il lavoro dei miei sogni. Ormai ho capito di dovervi rinunciare. E non è facile, è un colpo al cuore più grande di quello che mi è stato dato da piccola quando mi fu detto di dover rinunciare alla danza.
Mi sono sentita e mi sento tutt’ora un essere umano senza dignità. Perché, sì, è così che ci si sente quando non si ha la possibilità di far vedere cosa si è realmente capace di fare. É così che ci si sente quando non ti viene dato lavoro solo a causa di una condizione fisica.
Il non essermi mai sentita parte di nessun contesto, l’essere sempre stata quella che se c’è o non c’è non fa differenza, anzi se non c’è è anche meglio, mi ha portata a cercarne di ogni per sentirmi accettata, per sentirmi parte di qualcosa.
E ho trovato quello che cercavo (o meglio, mi ero illusa di averlo trovato) nel concedermi a quegli uomini ai quali, chissà per quale motivo, piacevo fisicamente nonostante la disabilità. Fare sesso con loro mi faceva sentire accettata, parte di qualcosa.
Per un anno e mezzo ho poi accettato di essere l’amante del mio ex fidanzato, avevamo un rapporto fatto esclusivamente di sesso, facevo tutto ciò che lui voleva e il fatto che mi desiderasse mi faceva stare bene.
La relazione si è dopo tanto tempo interrotta per mia volontà, ma ancora oggi, quando sono giù di morale per i motivi spiegati in precedenza, ci vediamo, stiamo insieme e io sto bene per un po’, perché in quei momenti mi sento accettata.
Non nascondo che ho pensato di togliermi la vita, perché come ho scritto precedentemente, non è facile non poter fare il lavoro che si vuole, non essere presa in considerazione, non essere parte di nessun contesto solo perché le persone non riescono ad andare oltre una condizione fisica che neanche mi limita.
Ciò che ha fatto sì non mi togliessi la vita è stato l’aver trovato, mentre riordinavo la libreria, il libro di Giusy Versace. L’ho riletto e la sua forza e il suo coraggio mi hanno permesso di capire che la vita è un dono e non avrei potuto sprecarlo. Però, non sono felice. Tristezza e solitudine sono ormai parte integrante delle mie giornate. Vorrei che la smettessero di prendermi in considerazione solo per la disabilità da cui sono affetta. Che la smettessero di trattarmi come una bambina. Che la smettessero di negarmi delle opportunità nonostante abbia tutte le carte in regola per ottenerle e iniziassero a darmi valore, a prendermi in considerazione per la persona che sono e per quello che so fare.
Vorrei smetterla di essere triste per tutto questo. Lo vorrei per me e per tutte le per tutte le persone che si trovano nella mia stessa situazione.
Sono consapevole del fatto che probabilmente le cose non cambieranno mai, ma ho deciso di raccontare la mia storia, perché voglio che nessuno passi quello che ho passato io e che la gente capisca di dover dare reali opportunità alle persone con disabilità.
Siamo abituati a vedere disabili che per un colpo di fortuna riescono a diventare famosi e a farcela, ma non è per tutti così. Ci sono anche persone comuni come me che vivono la mia o simili situazioni, alle quali è doveroso dare voce per cercare di cambiare le cose.
Insieme possiamo farcela.
Possiamo dar vita ad un mondo di cui tutti si sentano parte, perché la disabilità è vista come un’opportunità e non come un limite.