Razzismo, la politica italiana sotto la lente del Consiglio d’Europa

Razzismo dilagante, discriminazione nei confronti delle minoranze e una tendenza al “racial profiling” da parte delle forze dell’ordine. Sono alcune delle questioni che destano preoccupazione nell’Ecri, l’organo anti-razzismo e intolleranza del Consiglio d’Europa, e che emergono nel suo ultimo rapporto – il sesto – dedicato all’Italia.

Nello studio, però, non ci sono solo le accuse di cattiva condotta nei confronti della polizia che stanno scatenando le reazioni politiche di queste ore. Il documento passa al setaccio vari aspetti della società: dai pregiudizi e le discriminazioni che le persone Lgbti affrontano nella vita quotidiana ai progressi nella scuola (preoccupante però resta il dilagare dei fenomeni di bullismo). Dalle politiche di governance alle condizioni sistemiche di svantaggio che vivono le persone appartenenti alle minoranze etniche.

Su tutto emerge un discorso politico imperniato di xenofobia e dai toni fortemente antagonistici dove pare esserci un’escalation nei toni e negli argomenti al fine di ottenere dei vantaggi politici.

La profilazione razziale e le sue conseguenze

Tra le critiche mosse dall’organo anti-razzismo del Consiglio Ue c’è quella di un frequente “racial profiling” tra le forze dell’ordine, cioè controlli e fermi di polizia basati sull’origine etnica, con una mancata sensibilità al problema.

L’appunto è stato fortemente ribattuto dalla classe politica italiana. Le repliche pubbliche della maggioranza non si sono fatte attendere mentre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha telefonato direttamente al capo della Polizia, il prefetto Vittorio Pisani, esprimendogli lo stupore per le affermazioni contenute nel rapporto e ribadendo stima e vicinanza alle forze dell’ordine.

La delegazione dell’Ecri durante la sua visita in Italia è venuta a conoscenza di molte testimonianze sulla profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine, in particolare nei confronti di rom e persone africane. Queste testimonianze di frequenti fermi e controlli basati sull’origine etnica sono confermate anche dai rapporti delle organizzazioni della società civile e di altri organismi di monitoraggio internazionali specializzati. Tuttavia, aggiunge la commissione, le autorità non raccolgono dati adeguatamente disaggregati sulle attività di fermo e di controllo della polizia, né sembrano essere consapevoli dell’entità del problema, e non considerano la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale.

Eppure la profilazione razziale ha effetti notevolmente negativi, in quanto genera un senso di umiliazione e ingiustizia per i gruppi coinvolti provocando stigmatizzazione e alienazione. Inoltre è dannosa per la sicurezza generale in quanto diminuisce la fiducia nella polizia e contribuisce a non denunciare reati.

Le considerazioni dell’Ecri fanno eco a un monito arrivato da Ginevra solo pochi mesi fa.

Bacchettata dall’Onu

Un rapporto di tre esperti indipendenti delle Nazioni Unite evidenzia che in Italia il “razzismo sistemico contro gli africani e le persone di origine africana da parte della polizia e dei sistemi di giustizia penale” è ancora molto presente.

Questo studio si basa sulla visita effettuata dal 2 al 10 maggio scorso dalla giudice ghanese Akua Kuenyehia, dalla dirigente statunitense del Center for Policing Equity Tracie Keesee e dall’argentino Juan Méndez, Special Rapporteur dell’Onu sulla tortura.

Durante la loro visita, che ha toccato Roma, Milano, Catania e Napoli, il pool di esperti ha incontrato funzionari governativi, forze dell’ordine, organizzazioni della società civile e detenuti. Dagli incontri fatti è nato un documento che non solo esprimeva preoccupazione per la persistenza di discriminazioni sistemiche ma rilevava anche ostacoli significativi nell’accesso equo al lavoro, all’istruzione, alla sanità e all’alloggio per le minoranze, oltre a una limitata rappresentanza politica e difficoltà nell’accesso ai servizi pubblici.

L’Italia, in dati

«Nel loro percorso verso l’integrazione e l’inclusione, i migranti hanno sperimentato problemi concreti a causa della narrazione – sostanzialmente negativa – caldeggiata dalla classe politica» scrive l’Ecri nel rapporto. E aggiunge: «Anche le eccessive critiche rivolte a singoli giudici che si occupano di casi di migrazione mettono a rischio la loro indipendenza». Da notare che il report segue le evoluzioni della situazione fino all’11 aprile 2024 ma, letto oggi, non può che fare pensare alle accuse reciproche degli ultimi giorni tra magistratura e politica, catalizzate dalla decisione del tribunale di Roma di bloccare il trattenimento di 12 migranti nel centro per i rimpatri in Albania.

Ma l’Italia è davvero un Paese razzista? A questa domanda si può trovare risposta attraverso i dati raccolti in diversi indagini condotte tra persone razzializzate.

Una indagine dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra) sul punto di vista delle vittime, Being black in the Eu, segnala che nel nostro Paese, le discriminazioni più evidenti riguardano il lavoro e la casa. Se in Europa, il 28% dichiara di essersi sentito discriminato nella ricerca di un’occupazione, in Italia questa quota arriva al 49%. Si tratta della percentuale più alta nell’Ue. Per quanto riguarda l’accesso alla casa, un migrante di origine africana su due vive in abitazioni sovraffollate, e sebbene l’80% abbia un lavoro pagato, solo il 2% ha un appartamento di proprietà.

Da notare che anche per l’Ecri, casa e lavoro sono le principali preoccupazioni legate all’accesso ai diritti.

Il Fra, istituito nel 2007 per promuovere e proteggere i diritti fondamentali in tutta l’Ue, infine sottolinea che il fenomeno del razzismo è in aumento. Rispetto al 2016, quando il 24% degli intervistati nell’Ue aveva dichiarato di aver subito una forma di discriminazione dal punto di vista razziale, nel 2022 la quota è salita al 34%. Il dato dell’Italia è poco sotto la media, 33%, ma è pur sempre il 10% in più rispetto a 6 anni prima.

Odio in aumento

Ecri, ancora, sottolinea che a livello istituzionale destano particolare preoccupazione i toni del discorso pubblico «diventato sempre più xenofobo». Inoltre «i discorsi politici hanno assunto toni fortemente divisivi e antagonistici, in particolare nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, nonché di cittadini italiani con origine migratoria, Rom e Lgbti».

Il dibattito pubblico aggressivo rispetto all’immigrazione può avere un peso sul dilagare del fenomeno dell’hate speech.

Il Barometro dell’odio 2023-24 di Amnesty International Italia, che prende in esame il dibattito sui social e il racconto dei media mainstream, rivela un aumento significativo dei contenuti problematici o hate speech: dal 2019 a oggi il tasso di discorsi offensivi, discriminatori o che incitano all’odio è passato dal 10 al 15%. In particolare, i contenuti che incitano alla discriminazione e alla violenza sono triplicati, superando il 3% del corpus analizzato.

Nel 2023 il sito Cronache di ordinario razzismo, in collaborazione con Lunaria, ha documentato 91 casi di discriminazioni istituzionali o da parte di privati, 293 casi di violenze verbali (offese, minacce, informazioni discriminatorie) oltre a 43 casi di violenze fisiche contro le persone e 8 danni a cose o proprietà.

A scuola

Il rapporto del Consiglio si concentra anche sulla condizione dei bambini e della scuola, con luci e ombre. Dall’adozione del quinto rapporto dell’Ecri sull’Italia, del marzo 2016, sono stati fatti progressi, ad esempio nell’educazione civica, così come si sono sviluppate buone pratiche in vari ambiti, mentre i programmi scolastici non fanno ancora riferimenti diretti alla promozione dell’uguaglianza Lgbti come pure alla storia delle comunità Rom e delle persone di origine africana.

Anche la lotta al bullismo va nella giusta direzione ma il fenomeno è in aumento. I bambini migranti sono più esposti al fenomeno nelle scuole e abbandonano il percorso scolastico prima dei bambini italiani.

Secondo i dati raccolti tra il 2021 e il 2023, si è registrato un aumento dei casi segnalati di vessazione e bullismo nei confronti dei bambini per motivi di etnia e orientamento sessuale. Nel 2023, il 10,1% di tutti gli studenti delle scuole secondarie intervistati ha riferito di aver subito atti di bullismo a causa della loro origine etnica e l’8,1% ha riferito di aver subito insulti omofobi, rispetto all’8,8% e al 7,8% rispettivamente nel 2022 e al 7% e al 6,4% nel 2021.

L’Italia però, secondo l’Ecri, si muove nella giusta direzione. L’istituzione di un sistema di raccolta dati sulle dimensioni del fenomeno del bullismo nelle scuole è vista con favore, così come i corsi online di contrasto al fenomeno messi a disposizione degli insegnanti. L’invito alle autorità è quindi sviluppare dati più disaggregati e adottare misure mirate per prevenire e combattere i casi di bullismo.

Infine, tra le misure consigliate per favorire l’integrazione e incrementare il sostegno ai bambini con background migratorio nel campo dell’istruzione ci sono: garantire un numero sufficiente di posti nelle scuole situate vicino ai centri di accoglienza e ad altri luoghi di residenza degli stranieri e disposizioni adeguate che consentano ai bambini di recarsi a scuola; garantire che i bambini con background migratorio siano in grado di acquisire il livello linguistico necessario e promuovere il coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica e nell’istruzione dei figli.

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