Iran, la “seconda generazione” italiana si racconta: fumetti di libertà

Il fumetto “La mia seconda generazione”, scritto da Saghar Khaleghpour, italiana di origini iraniane, in collaborazione con l’illustratore messinese Lelio Bonaccorso, è dedicato a Mahsa Amini, Kian Pirfalk, Mohsen Shekari “e a tutte le altre persone morte per ordine del regime durante le manifestazioni, a seguito delle torture in carcere, per mano del boia di Stato e per via dell’ignoranza”. Due sono i temi principali che, vignetta dopo vignetta, vengono sviluppati: nascere in Italia da genitori di un Paese diverso e confrontarsi con una cultura che limita notevolmente le libertà personali, soprattutto alle donne. Ogni scena, ogni dialogo focalizzano l’attenzione su ciò che deve affrontare quotidianamente chi nasce in un Paese senza esserne cittadino e lascia una terra martoriata dall’ingiustizia senza poter, in concreto, intervenire.

L’omicidio di Mahsa Amini e il desiderio di conoscere l’Iran

La storia si apre proprio con la brutale uccisione di Mahsa Amini, quando le piazze in Iran si riempiono di manifestanti al grido “Donne, vita, libertà” e le ragazze tagliano i capelli in segno di protesta. Saghar è a Milano, la sua città natale, e protesta per Mahsa, con lo sguardo proiettato al futuro, e rivolto al suo passato. È proprio quel passato che vuole scoprire. Vuole tornare in Iran, l’ultima volta che c’è stata era troppo piccola. Peccato che partire, per lei, non sia così semplice. È costretta a scontrarsi con un presente in cui per varcare i confini deve avere il visto, nonostante sia nata in Italia: “Tu non hai la cittadinanza italiana – le dice il padre – quindi come minore non puoi andare all’estero”.

I figli di genitori stranieri nel nostro Paese sono circa 54mila e costituiscono il 13,5% del totale dei nati, ma non sono per la legge cittadini italiani. Possono infatti richiedere la cittadinanza solo entro l’anno successivo al compimento della maggiore età. Prima, anche se parlano italiano, vivono in Italia, frequentano le scuole, le palestre, e condividono le giornate con gli altri bambini, non possono accedere, in maniera diretta e naturale, a tanti servizi a cui i nati da genitori italiani hanno diritto acquisito, appunto, per nascita. È come se il Paese che dovrebbe accoglierli pretendesse una scelta drastica da parte delle persone che nascono da genitori stranieri: o con noi o con loro.

Il peso dei pregiudizi

La legge non è l’unico ostacolo concreto nella vita di Saghar. “Da dove viene lei? Mamma mia, ma questi nomi non si possono pronunciare”. Questa è la domanda che si trova a ricevere mentre deve rinnovare la sua carta di identità in un ufficio pubblico di Milano. L’impiegata dello sportello è convinta che sia straniera e bisognosa di aiuto anche per compilare un semplice modulo. Il pregiudizio, o una consuetudine, una vecchia abitudine dura a morire. Forse le nuove generazioni sono le uniche a poter portare avanti una vera rivoluzione sociale, per la quale la distinzione tra italiano e straniero non sia così radicata e automatica.

Il conflitto tra generazioni

Lei vuole andare in Iran; i genitori no. “Vorrei fare un viaggio in Iran. Andiamo tutti insieme?” chiede, e la risposta secca della madre è: “Cosa andiamo a fare? A vedere come hanno distrutto l’Iran? No”. Saghar non rinnega le sue origini, anzi, vuole conoscere la cultura che i genitori si sono lasciati alle spalle, vedere con i propri occhi la terra che hanno abbandonato e nella quale non vogliono più tornare (“Non torneremo mai più in Iran perché voglio che tu cresca come una donna libera”). Legata a un passato che conosce poco, si troverà a contestare un assetto politico e culturale anacronistico e a fare i conti con l’idea che alcune persone abbandonino il Paese e non intendano più tornarvi, soprattutto se hanno subito, come uno dei personaggi secondari, le angherie inflitte dal regime.

Le donne che combattono

Ci sono anche donne che conducono la propria silenziosa battaglia rimanendo al loro posto.
Una di queste è la zia di Saghar. “Guarda me – le dice – ormai da anni ho una vita solo dentro casa”.
Ha imparato a prendersi piccole libertà (tenere il velo non troppo “in ordine”, insegnare yoga e meditazione di nascosto) e sa da chi e quando andare in assetto di difesa, soprattutto davanti agli estremisti islamici, che vantano proseliti anche nella popolazione femminile. Ha imparato ad adattarsi e in un certo senso rassegnarsi, per sopravvivere e non fuggire. Quando in una libreria il commesso non rivolge loro parola solo perché donne, dice alla nipote: “Gli uomini molto religiosi non parlano con le donne, è così e basta”.

Il cielo che schiaccia

“Sembra che il cielo sopra di noi ci schiacci”. Questa è la sensazione, che magistralmente l’autrice riassume in una battuta, di chi combatte ogni giorno contro soprusi, disuguaglianza, vessazioni, soprattutto se donna. L’unico modo per far sentire la propria voce è ribellarsi nel quotidiano, come ha fatto Mahsa Amini oppure manifestare il dissenso. La storia è piena di piazze gremite, in Iran ma anche a Milano, Roma e Bologna, dove le donne manifestano per un lungo periodo, tutte le settimane, accanto alle iraniane. Uniti si possono ottenere risultati sorprendenti, uno dei quali costituisce il finale positivo di questa storia, che apre la speranza verso un futuro diverso. Che passa anche attraverso la politica; quella stessa politica che non concede la cittadinanza di diritto ai nati in Italia, che l’autrice ben descrive: “Non sono italiana, ma nemmeno persiana. Non appartengo a nessun posto”.

Forse non è necessario “appartenere” a un posto soltanto, ma abbracciare culture, anche diverse, che abbiano come principi il rispetto e la libertà per ogni individuo, anzi, per ogni essere vivente (in Iran i cani randagi vengono considerati impuri e vengono uccisi per ordine dei Mullah per esempio). E conoscersi, cercare di ascoltare, capire, entrare in punta di piedi nelle tradizioni, nella cultura dei popoli “altri da noi” per non avere paura, pregiudizi, che troppo spesso sfociano in odio. Libri come questo (si pensi anche alle graphic novel di Marjane Satrapi) restituiscono al lettore una realtà non troppo lontana con la quale, purtroppo, non si hanno molti contatti e che vede le donne relegate ai margini della società, in una condizione di inferiorità inaccettabile.

Il colore che racconta

“La mia seconda generazione” racconta anche la nuova cifra stilistica di Lelio Bonaccorso, che dimostra ancora una volta una spiccata versatilità e acume nell’offrire il suo talento artistico alla storia. Il tratto segue nella maniera più efficace la necessità di mettere nero su bianco storie, ricordi, aneddoti ed emozioni. I tratti decisi, rapidi ed essenziali, amplificano il significato profondo di ogni scena, dialogo, avvenimento, descritti nei minimi particolari, sottolineando i momenti salienti con inquadrature significative. L’illustratore definisce poi i tempi narrativi su piani diversi, attraverso un espediente grafico che attesta una progettazione accurata e rispettosa del racconto: da un lato la storia, oggi (disegnata prevalentemente utilizzando il rosa e il blu) e dall’altro, in un’alternanza mai didascalicamente scandita, il ricordo (nei toni del giallo): un viaggio attraverso la comprensione del passato per definire l’azione nel presente.

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Autori: Saghar Khaleghpour e Lelio Bonaccorso
Titolo: “La mia seconda generazione”
Casa editrice: Feltrinelli, collana Comics
Pagine: 128
Prezzo: euro 18,05

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