Cimitero dei feti, esporre il nome della donna è contro la legge

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Esiste, nella capitale, un campo dove sono sepolti i feti abortiti: su ognuna di quelle tombe, una croce che individua una madre e la data di interruzione della gravidanza. Una distesa di nomi e cognomi che raccontano di donne alla mercé di chiunque.

Che nessuno abbia pensato di chiedere il loro consenso prima di agire integra una palese e mostruosa violazione della privacy, in uno dei momenti di maggiore intimità della vita.

La legge non lo consente. È precisamente l’art. 9 del Regolamento Europeo sulla Privacy 679/18 che si occupa del trattamento di categorie particolari di dati a rilevare in questa fattispecie. La norma è chiara:

“È vietato trattare dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”.

In più occasioni il Garante ha sottolineato che

“Le donne che effettuano interventi di interruzione della gravidanza hanno diritto alla piena tutela dell’anonimato e della loro intimità”.

Trovarsi dinanzi a una scena come quella vissuta da Marta, la cui denuncia partita da una pagina social ha fatto rimbalzare il caso a livello nazionale, è per chiunque uno shock. A pochi mesi, ma anche a molti mesi, da un aborto vedere davanti a sé la tomba del feto con sopra il proprio nome e cognome è circostanza di una potenza emotiva devastante.

Si tratta di una violenza agita, ancora una volta, contro chi ha scelto di esercitare il contestatissimo diritto a interrompere la gravidanza. Sebbene una legge la riconosca espressamente dal 1978, quella è una libertà di cui la frangia più reazionaria e fondamentalista di questo Paese non riesce ancora a darsi pace.

Ma quali sono le violazioni? Cosa dice esattamente la legge? Che associazioni si occupano della sepoltura? Cosa sta facendo la politica?

L’intero articolo di Maria Concetta Tringali su questo tema è pubblicato nella sezione del sito del Sole 24 Ore: 24+.

  • ezio |

    Ammesso che ci sia la libertà di pensiero ed opinione sulla possibilità o meno di abortire, quindi pro o contro una legge dello Stao che autorizza l’interruzione della gravidanza, non è concessa la vendetta punitiva secondo il principio vigliacco di colpirne una per educarne cento.
    L’estremismo violento di chi ha realizzato questa opera fanatica è molto grave e non può essere tollerato in primis dalle istituzioni, che appena scoperto il fatto avrebbero dovuto provvedere con urgenza alla cancellazione dei nominativi e denunciare i responsabili a norma di legge.
    Intercettare chi ha commesso la violenza non dovrebbe essere troppo difficile, visto che i dati delle mancate mamme sono solo nei reparti ospedalieri che hanno operato gli interventi a norma di legge.
    Questa spudorata iniziativa potrebbe causare anche la fuga dagll ospedali di chi è intenzionata all’interruzione di garvidanza, per ritornare nella pericolosa clandestinità senza assistenza, con tutte le conseguenze di un passato che dovrebbe essere lasciato nel dimenticatoio dell’intolleranza.

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