Covid-19, i racconti di medici e infermieri in prima linea

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Dottoresse, infermiere e OSS della Medicina d’urgenza dell’ospedale di Alessandria

Sotto i camici e le mascherine ci sono degli esseri umani preoccupati per i loro pazienti, per i loro cari e, se resta loro il tempo, anche per se stessi. Alla lotta di medici e infermieri contro il coronavirus, da nord a sud, qualche giorno fa è stato dedicato un applauso corale dai balconi, un’inattesa manifestazione di solidarietà comunitaria, una testimonianza collettiva di partecipazione. Perchè tutti ci rendiamo conto che sono loro oggi in prima linea e che senza la loro tenuta non avremmo armi contro il virus.

Professionisti che ogni giorno entrano negli ospedali e fanno al meglio il loro lavoro, nonostante le paure. “Ci sono diverse situazioni critiche da affrotnare in questo periodo. Si lavora in modo professionale, ma con la paura di potersi ammalare anche se abbiamo i dispositivi di protezione individuale. Ci preoccupa la situazione generale anche per i nostri cari, quando però si assistono i pazienti si cerca di dare loro tutte le cure necessarie. Alle donne spetta anche la gestione dei figli ora che sono a casa, tra baby sitter o parenti, diventa più difficile conciliare lavoro e vita privata” sottolinea ad Alley Oop Anna Fagiani, coordinatrice dei reparti di Terapia Semintensiva e Pronto Soccorso dell’Ospedale Civile Ss. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria, che aggiunge: “Ci sono molte donne nel nostro ambiente: medici, infermiere e OSS tutte sono molto impegnate. Molte di loro hanno i figli piccoli, devono gestire la casa, il lavoro, spesso devono fare la spesa per i genitori, perché non possono uscire. E’ una situazione pesante dal punto di vista femminile nel gestire più di quello che una donna fa normalmente“.

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Disegno di Virginia Manta (12 anni)

Dal Piemonte al Veneto la situazione è la stessa. “Per noi la realtà della gestione dell’emergenza ospedaliera è quotidiana, ma non a questi ritmi e modalità. Si tratta di un problema eccezionale anche per noi, nonostante siamo abituati più di altri a vivere situazioni complicate. La paura è più che altro dovuta al fatto che io vivo in ospedale, e nonostante gli infermieri abbiano tutti gli strumenti che servono a proteggersi, facciano la doccia anche tre volte al giorno, riescano a cambiarsi, io sono a contatto con questa infezione” racconta Ilaria Giubbilo, infermiera del reparto di Terapia Intensiva Ospedale dell’Angelo di Mestre (Ve), che prosegue: “Hai sempre paura di portarti addosso qualcosa, di portare a casa l’aspetto contagioso della malattia, perché il contagio, in Terapia Intensiva a contatto con le malattie infettive, è un aspetto che dobbiamo mettere in conto e la nostra prudenza è costante. I nostri livelli di allerta sono più alti, siamo più attenti e molto più protetti, ma avendo un bambino di 6 anni a casa, la paura di portare a casa il virus è elevata. E’ una questione anche psicologica oltre che reale, è una minaccia che avvertiamo“.

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I due coordinatori, il responsabile medico del Pronto Soccorso e alcuni giovani infermieri e OSS dell’Ospedale di Alessandria

E il pericolo è effettivo come spiega Giovanni Leoni, chirurgo generale all’Ospedale Civile SS. Giovanni e Paolo di Venezia. presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Venezia, e Vicepresidente Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO): “Abbiamo fatto la chiusura totale delle attività, e di quelle ospedaliere non urgenti. E poi dobbiamo avere i presidi in adeguata quantità anche per quanto riguarda tutti i colleghi della medicina generale. Non dobbiamo dimenticarci di loro, che continuano a fare visite anche domiciliari con protezioni minime o addirittura assenti. Le mascherine senza visiere non vanno bene. E’ impossibile a domicilio diagnosticare in caso di soggetti con tosse e la febbre se un’ influenza normale, una polmonite batterica o da coronavirus. Dobbiamo andare protetti o saremo contagiati e contageremo i nostri pazienti“.

Per Leoni non si tratta solo di una questione professionale, ma anche familiare. “Mia moglie lavora in medicina interna in ospedale. E’ particolarmente sotto pressione come tutti i suoi colleghi. In questa emergenza, i reparti interessati giravano già al massimo delle loro possibilità, come le terapie intensive, le medicine e le geriatrie con continui ricoveri in appoggio mandati in urgenza dal pronto soccorso, cioè ricoverati nei reparti chirurgici per mancanza posti letto nelle sezioni dedicate, e non riescono a sopportare un’accelerazione così impressionante come quella del virus” sottolinea il chirurgo aggiungendo poi: “Mia moglie si impegna come tutti. Alcuni possono avere dei momenti di scoramento, pensando alla famiglia. Mi riferisco a dottoresse ed infermiere con i bambini piccoli che temono di portarsi le infezioni a casa. Ma comunque, al lavoro riemergono gli ideali che portano in origine ognuno a scegliere questa professione di aiuto, e nessuno si tira indietro. Spero che qualcuno si ricordi di noi una volta che questo tempo sarà finito“.

Nessuno si tira indietro, come Ilaria Giubbilo: “Se l’azienda dovesse chiedermi di fare delle ore extra, mi sono resa disponibile. Al momento sto facendo il turno regolare. Io ho le mie dieci ore notturne, le mie otto al pomeriggio e le mie sei ore al mattino. Devo ringraziare mio marito, perché in questi giorni in cui è a casa, posso appoggiarmi anche a lui“.

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Adette alle pulizie – Ospedale di Alessandria

E proprio per garantire chi è in prima linea è necessario che le condizioni di lavoro siano adeguate: “Quello che si può fare in questo periodo all’interno dei gruppi di lavoro, in particolare quello che noi coordinatori possiamo mettere in campo, è prendersi cura degli altri, cercare di rendere la vita un po’ meno difficile a chi lavora in prima linea, creare un ambiente di lavoro più gradevole con tutte le cose che servono: dispositivi di protezione, turni organizzati con carichi di lavoro ponderati. Io e i miei colleghi ci stiamo adoperando per questo. Si può rendere la vita lavorativa più sicura, tranquilla, e più regolare possibile” sottolinea Anna Fagiani, che conclude: “E’ una prova per il nostro sistema sanitario, che secondo me è ben strutturato. Negli altri paesi, se pensiamo all’Africa o all’Asia, i sistemi sanitari cambiano. E’ un’epidemia che porta pericolo anche nei Paesi, dove c’è una sanità privata e non pubblica, con il rischio che chi non può curarsi metta a rischio anche gli altri. Si tratta di un ripensare a livello internazionale mondiale le modalità di tutela della salute. E’ una pandemia e quindi riguarda tutto il mondo, per questo dovrebbe essere messa a punto una strategia globale per affrontare la situazione, soprattutto per i Paesi come l’Africa che non hanno sistemi sanitari adeguati“.

E il pensiero va a quei Paesi che hanno deciso di seguire una strategia diversa da quella italiana e che nel breve potrebbero mettere a rischio anche i risultati dei sacrifici che stiamo facendo.

  • Filomena Spolaor |

    Buongiorno Carlotta, la ringrazio per la sua testimonianza. Le scrivo ora per segnalarle un altro articolo uscito in questi giorni, che raccoglie altre voci di medici e infermieri, da Bologna a Bergamo attraverso il Veneto. Questo è il link: https://alleyoop.ilsole24ore.com/2020/03/30/covid19-medici-infermieri/?uuid=106_IehflpaJ

  • Carlotta Ruggeri |

    IO LAVORO NEI REPARTI COVID DELLA ROMAGNA, IN PARTICOLARE L’OSPEDALE DI RIMINI.
    SONO UN’INFERMIERA E SONO DISPONIBILE PER OGNI VARIZIONE DI TURNO.
    IO DAL 5 MARZO NON DORMO PIù . Il COVID si nutre delle nostre relazioni umane e ci isola.
    la paura è tanta ma dobbiamo andare avanti.
    chi ci governa è stato sordo ed incompetente. la Cina aveva dato une esempio di come arrestare il contagio e noi, abbiamo alzato le spalle .
    spero finisca …..spero in un miracolo

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