Perché la nostra mente ci tiene a distanza da ciò che è diverso da noi

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Quest’anno sono entrata in un advisory board “di alto livello”: tredici persone, quattro incontri in un anno, temi di un certo spessore. Le donne in questo board sono cinque: si va oltre la quota politica del 30%.

Eppure sistematicamente, ogni volta che all’inizio del meeting entra qualcuno degli ospiti – a loro volta amministratori delegati e alti dirigenti – succede qualcosa di questo tipo: l’uomo si presenta agli altri uomini già in sala – nel primo quarto d’ora siamo di solito solo tre o quattro persone – e non si presenta a me. L’ospite di ieri, a onor del vero, mi ha parlato:  mi ha vista, non si è presentato e mi ha subito domandato:

“Sa dirmi dov’è il bagno?”

Tralasciando la buona educazione di base, che vorrebbe che ci si presentasse a tutti e non solo a quanti identifichiamo come “nostri pari”, inizio a domandarmi se il problema non sia nel mio abbigliamento. Ieri avevo una lunga gonna blu, una maglietta bianca e un gilet. La cravatta non mi sento di indossarla, e neanche (mea culpa) il tailleur. Probabilmente sono dunque io a trarli in inganno, vestendo in modo troppo dimesso. Forse non sono abbastanza famosa, non ho l’aria abbastanza severa, non ho abbastanza capelli bianchi – o ne ho troppi!

Che cosa c’è che non va in me? Come fanno a capire subito, al primo (non) sguardo, che “non sono una di loro”?

adult-banking-business-2254122Nel corso degli anni, questo fenomeno non è diminuito. Se nei miei primi 10 anni di lavoro non mi sorprendeva essere perennemente scambiata per la hostess – o, nei convegni internazionali, l’interprete – a mano a mano che mi avvicino a compiere i 50 anni ammetto che questi episodi mi sembrano sempre più eclatanti. Letteralmente ogni volta che partecipo a un convegno in Italia, qualcuno mi chiede indicazioni tecniche di qualche tipo, che vanno da come/dove microfonarsi, se ci sono le riprese, dov’è il computer con le slide e così via. E io, che sono stata cresciuta come una brava bambina, fino a qualche mese fa mi industriavo per dare qualche risposta, affidandomi al buon senso, alla mia esperienza, all’intuito. Da qualche tempo, complice un “senso di abbastanza” (esiste?) sgrano gli occhi e rispondo “boh!”.

black-and-white-businessman-businessmen-222Il problema di fondo pare sia un meccanismo profondamente umano, radicato negli schemi che usa il nostro cervello per decidere (i cosiddetti unconscious bias). Si chiama bias di somiglianza ed è legato alla tendenza di noi essere umani a gradire di più, istintivamente, persone che ci somigliano. Accoppiato con un altro potentissimo meccanismo decisionale, il bias di ancoraggio, che ci porta a cambiare difficilmente idea dopo la prima impressione, questo trucco del cervello umano tende a farci fare scelte che preservano lo status quo (elemento che la Natura deve per qualche motivo trovare molto vantaggioso, o comunque considerarlo un territorio più frequentabile dell’incertezza).

Ecco spiegato perché, nonostante sia ormai dimostrato in tutte le lingue che le donne hanno capacità di leadership maggiori degli uomini, solo il 4,9% dei CEO di Fortune 500 e il 2% dei CEO di S&P 500 sono donne, e questi numeri stanno diminuendo a livello globale. La cravatta dunque non è che il sigillo su una porta che per sua natura – a meno che non si intervenga con molta cultura e un po’ di buona educazione – è destinata a rimanere chiusa.