Tutti la conoscono, i più la amano e molti la criticano prima di seguirla. Di famiglia multiculturale, seppur giovane è la più visionaria e innovativa tra i suoi colleghi. Per questo spesso etichettata come eccessivamente ambiziosa. Lei, comunque, continua a privilegiare il consenso e la coesione del gruppo – anche nei momenti di crisi. E il tempo sta premiando la sua resilienza e l’audacia della sua solidarietà: ha ripreso a crescere dopo un periodo tentennate, e i compagni con lei.
Chi è? Il suo nome è Europa. O meglio Unione europea, la quale mi ricorda da vicino i 37 Millennial – per lo più nati negli anni ’90 – che ho avuto il privilegio di conoscere al primo European Millennials Lab, lanciato dall’Università di Siena in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Radunatisi da 20 Paesi diversi – europei ma non solo – e insieme a “mentori” impegnati nel costruire più unità nell’Unione, il gruppo si è cimentato in cinque giorni di lavori sul futuro dell’Europa. L’obiettivo? Idee per ridurre il numero di “europei part-time”. Il motivo? “Per noi, l’Unione europea è un esperimento unico e audace che ha stabilito la pace riconciliando la diversità e garantendo libertà, diritti e opportunità a tutti i suoi cittadini” – ha concluso il gruppo alla fine discussioni non sempre incontroverse.
Europeisti non vuol dire ingenui: i Millennial di Siena sono consapevoli che “siamo ancora lontani dal realizzare il pieno potenziale [dell’Europa unita].” Ma rimangono convinti della necessità di integrare l’Unione più profondamente: nel lungo termine, un’Europa disunita conterebbe meno di un decimo dell’economia globale.
Non è una sorpresa, dunque, che dati elaborati dal Circap (Centre for the Study of Political Change) mostrino come i Millennial europei generalmente ripongano più fiducia nelle istituzioni comunitarie che nei governi nazionali; che siano più aperti delle generazioni più anziane alla migrazione e all’integrazione di altri europei. In altre parole, più solidali, come l’Unione.
Tuttavia, visioni e convinzioni a sostegno dell’integrazione europea non corrispondono in ugual misura ad azioni da parte dei Millennial. La partecipazione degli under 35 alle elezioni europee è stata in costante declino. Di norma, 7 Millennial su 10 non si impegnano nel volontariato anche quando si dichiarano devoti alla causa. Il risultato è che la maggior parte dei Millennial sono ancora europei part-time.
Allo stesso tempo, i 37 Millennial del Lab di Siena incarnano un nuovo modello di imprenditorialità civica e politica. Sono orientati alla progettualità e affamati di visioni ambiziose quanto il completamento di un’ “Unione [che] offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne.” Proprio come l’Unione europea, dimostrano che l’immaginabile è possibile quando un gruppo di europei full-time si organizza attorno ad interessi comuni, a di là di posizioni individuali.
Viviamo in quella che molti descrivono come “l’età dell’incertezza”. Difficile da negare, quando crisi simultanee rischiano di renderci miopi a decisioni sostenibili. La buona notizia è che l’incertezza può essere sinonimo di opportunità. Coglierle richiede unirsi collettivamente per rafforzarsi individualmente. Me lo insegna la storia di una Millennial resiliente – l’Unione europea – e degli europei full-time che ho conosciuto a Siena. Mi imbarco per tornare a Bruxelles, con la speranza di incontrarne di nuovi e la convinzione che non ci sia destinazione più giusta.