Chi ha paura degli xennials? Storia di Ivan Rachieli, dalla letteratura russa al web design

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Il precariato non è soltanto una questione di forme contrattuali. Negli ultimi vent’anni, grazie anche alle fantasiose modalità di collaborazione stipulabili, abbiamo assistito a una parcellizzazione delle figure lavorative, arricchite dalle varie declinazioni della new economy. Si è persa un po’ quella consequenzialità per cui l’orientamento era una faccenda lineare: i ruoli si abbozzavano con lo studio e si definivano con il lavoro. L’impatto del digitale oggi ha trasformato e ibridato anche le professioni più tradizionali e viviamo in un mondo in cui spesso i figli non riescono a spiegare ai genitori che lavoro fanno. Essere xennials significa aver attraversato questo cambiamento senza la lucidità per leggerlo nel corso del suo dispiegamento.

“Uno dei nostri errori è stato pensare al futuro come un percorso museale che sarebbe terminato nel gift shop, dove c’era per tutti un lavoro da portare a casa. Ci siamo resi conto tardi che questo sistema di cose era finito”.

A parlare è Ivan Rachieli, libero professionista torinese, nato nel 1981. La sua è una storia emblematica, raccontata con una notevole autocritica. Natura istintiva e appassionata, Ivan ha attraversato sviscerandole tutte le fasi che lo hanno portato a un presente professionale sostenibile sì, ma fatto di certezze più umane che economiche.

rachieliLa prima fase è quella dell’ingenuità. Ivan la racconta così: “Mi piaceva scrivere, ero bravo a fare i temi e mi sono iscritto a Scienze della comunicazione pensando che avrei fatto il giornalista. Poi ho realizzato che la scrittura giornalistica non era nelle mie corde e con una scelta emotiva mi sono iscritto a Lingue, per laurearmi in letteratura russa. Ero inconsapevole e senza un vero piano per il futuro, facevo scelte cercando di definire me stesso”. Via via che la realtà si faceva più liquida, la risposta per molti è stata cercare nei propri valori e desideri gli appigli per restare a galla. Continua così Ivan: “Dopo la laurea, senza competenze o qualifiche, ero inadeguato a entrare nel mondo del lavoro e come molti miei coetanei avevo la sensazione di subire un torto. La verità è che avevo fatto delle scelte irrazionali, non avevo cercato o trovato aiuto nell’istituzione universitaria e mi ero messo in una condizione per cui non ero interessante per i tipi di lavori che volevo fare”. Per i quali, ironia della sorte, cercavano laureati in scienze della comunicazione.

La seconda fase è quella del groviglio. Dopo qualche goffo tentativo di cercare lavoro attraverso i canali tradizionali, Ivan fa un passo decisivo. “Mi sono reso conto che vedevo il mondo editoriale come un Olimpo per pochi. Ho visto questo pregiudizio e mi sono detto che l’Olimpo è una montagna e si può scalare”. Si iscrive al master di editoria della Fondazione Mondadori ed entra in un importante gruppo editoriale. Un momento intenso di crescita personale e professionale, durante il quale esplora tanto le dinamiche di una grande azienda quanto quelle di una realtà più piccola dove si trova a coordinare un progetto ambizioso di editoria digitale. È in questo periodo che Ivan affina le proprie conoscenze su uno strumento nuovo, ma già penetrato nella vita di tutti: il web. Essere xennials vuol dire aver conosciuto il web in tarda adolescenza, forse anche superati i vent’anni, e averlo percepito inizialmente come uno strumento tecnologico. Le professioni che si immaginavano legate a questo mondo erano pura tecnica, non appassionanti per chi coltivava velleità culturali e linguistiche. Una percezione totalmente errata, come ci spiegò poi il tempo.

Con la fine dell’ennesimo contratto a progetto, Ivan si trova a fare una scelta: “Avevo appena conosciuto Enrica Crivello, mia attuale moglie, che lavorava in proprio come consulente di marketing on-line. Io conoscevo abbastanza l’html e il css per provare a fare siti in sinergia con lei. Per la prima volta vidi la possibilità professionale di uno strumento che utilizzavo da diversi anni”.

La terza fase è il progetto: Ivan diventa un web designer. Si lascia affascinare dagli aspetti strategici della comunicazione on-line, e senza snaturarsi affina le competenze tecniche per creare il suo personale approccio alla progettazione col cliente.
Quando Enrica rimane incinta, la coppia si trova ad affrontare una decisione: “Non sapendo se il welfare per la libera professione ci avrebbe sostenuto, abbiamo iniziato a pensare a come rendere scalabile la nostra attività. Volevamo vendere prodotti, non solo servizi. E abbiamo cominciato a ideare quello che sarebbe diventato Guido, una libreria di risorse per il marketing on line”. In pratica Enrica è stata sostituita durante la maternità da se stessa, con dei video. Ivan si è occupato della creazione di una piattaforma per la vendita dei pacchetti che prevedevano anche delle consulenze dirette. Ora che la bimba ha un anno e mezzo, i due sono soci paritari nel creare e vendere quella che si sta dimostrando una felice intuizione. Il nome della società racconta molto di loro: Figo snc. Se il naming è l’arte di riassumere un modo di essere, di lavorare, di percepire il mondo e il futuro, questa scelta spiega esattamente chi sono Ivan ed Enrica. Due persone che vivono e lavorano con stupore e leggerezza, cercando di riempire le loro vite con una bellezza scanzonata e dei valori forti ma sensibili al cambiamento, sopra ogni preconcetto.

E a proposito di valori: interessante leggere cosa ha scritto Ivan Rachieli nella sua newsletter a proposito dei ruoli nella gestione della famiglia. Un pensiero che racconta molto della paternità sempre più consapevole di questa generazione:

“Non capisco per quale ragione Enrica dovrebbe prendersi cura di Cecilia più di me, oppure esclusivamente. Lei ama il suo lavoro quanto io amo il mio, è indispensabile al nostro lavoro esattamente quanto lo sono io, e non ha sempre voglia di uscire alle quattro meno un quarto per andare a prendere Cecilia come non ne ho sempre voglia io. Essere soci oltre che una coppia e genitori ha tolto ogni distorsione della prospettiva e ha reso evidente l’assurdità delle cose come si fanno: che sia sempre lei a entrare dopo e uscire prima, mentre io mi dedico tranquillo alle mie cose. Perché lei è una donna e per nessun altro motivo. Parliamo di parità?”