
Riconoscere e celebrare la miglior produzione culturale italiana: quella capace di rappresentare in modo corretto e inclusivo la diversità, restituendo un racconto della società più autentico. Da dieci anni è l’obiettivo portato avanti dai Diversity Media Awards, i riconoscimenti ideati e promossi dalla Fondazione Diversity che premiano i personaggi e i contenuti mediali che si sono distinti nel corso dell’anno precedente per una rappresentazione valorizzante ed inclusiva. In occasione del decennale degli Oscar dell’inclusione, ha debuttato un format completamente nuovo: una social series in 13 episodi, durante cui sono stati svelati i vincitori e le vincitrici delle varie categorie.
Aurora Ramazzotti, Guglielmo Scilla e Pierluca Mariti – alla conduzione – hanno trasformato Instagram in un palcoscenico diffuso: una scelta in linea con la volontà della Fondazione Diversity di riportare l’attenzione sull’essenziale, affidando ai social il racconto di un premio che negli anni è diventato un osservatorio privilegiato sulla diversità. Come emerge dalla ricerca Diversity Media Research Report 2025, dal 2015 a oggi, importanti passi avanti sono stati messi a segno: i temi legati a diversity & inclusion sono entrati nella conversazione pubblica con più decisione – il 62% della popolazione pensa che se ne parli di più – con un conseguente impatto nell’evoluzione dell’immaginario collettivo: il 58% delle voci coinvolte si dice più consapevole rispetto a dieci anni fa sui temi sociali e inclusivi.
Le rappresentazioni più inclusive in tv e al cinema

I film e le serie tv, stando ai risultati dell’indagine Diversity Media Research Report 2025, sono percepiti come i media che trattano i temi sociali e inclusivi nel modo più rispettoso e corretto (rispettivamente dall’84 e dall’82% del campione), seguiti dai programmi tv (73%). La rappresentazione sullo schermo rimane un pilastro fondamentale e necessario su cui agire. Quest’anno, il Premio al Miglior Programma Tv, è andato a “La perfezione non esiste” (Prime Video): il suo merito, argomenta la motivazione, è stato quello di proporre «uno sguardo originale sulla chirurgia estetica, arricchito dal contributo di psicologhe/i e anestesiste/i.
Attraverso i racconti dei pazienti, il programma mette al centro il rapporto con il proprio corpo e le pressioni dei modelli di bellezza diffusi online, mantenendo una prospettiva rispettosa e inclusiva, valorizzando anche corpi lontani dagli standard tradizionali». Uno sguardo che richiama alla responsabilità è ciò che ha distinto anche il Miglior Film Italiano, assegnato a “Il ragazzo dai pantaloni rosa” di Margherita Ferri: una narrazione capace di invitare alla riflessione «chiamando in causa responsabilità diffuse – scuola, comunità, piattaforme digitali – per ribadire l’urgenza di contrastare l’omolesbobitransfobia quotidiana che ancora attraversa la nostra società».
Le donne trionfano nelle serie tv
Donne che raccontano, immaginano, scrivono e declinano l’inclusività senza retorica. Il mondo delle serie tv mette lo sguardo femminile al centro: il riconoscimento alla Miglior Serie TV Italiana è stato vinto da “L’arte della gioia” di Valeria Golino (Sky e NOW) perché «la miniserie attraversa desiderio, classe, autodeterminazione e tabù, senza addomesticarne la complessità. Un racconto di formazione femminile che provoca e interroga l’ordine morale. Al centro, una protagonista svincolata dagli stereotipi di genere e una rappresentazione della disabilità matura e coerente, sostenuta dalla presenza in scena di interpreti con disabilità, scelta ancora rara nel panorama audiovisivo italiano».
Insieme alla “terapia Goliarda”, il premio per la Miglior Serie Tv Straniera è andato a “Hacks” (Netflix) per «aver creato una straordinaria storia di donne, raccontando una protagonista fortissima nei suoi settant’anni e l’incredibile crescita di un legame tra due generazioni differenti. L’alta qualità di questa serie rende giustizia alla rappresentazione del femminile nel suo invecchiamento, visto non come un declino valoriale, ma trattato con rispetto, seppur sempre con ironia». Spazio anche alla diversità dei corpi e ai temi legati alla salute mentale con il Premio per la Miglior Serie Tv Young, assegnato a “Hearstopper 3” (Netflix): con la terza stagione, si legge nella motivazione, «conferma l’impegno nel mostrare l’universo LGBT+ young, facendo attenzione anche a rappresentare diversità di corpi e a mettere al centro i temi della salute mentale».
Dalla radio ai podcast, l’inclusione si ascolta
Non solo sullo schermo. Dai programmi radio ai podcast, l’inclusione si fa anche attraverso i prodotti audio, diventati parti integrante della fruizione mediale quotidiana. Il programma “5 in condotta” (Rai Radio 2), condotto da Serena Bortone, ha vinto il riconoscimento come Miglior Programma Radio per la sua capacità di proporsi come «spazio libero di confronto sull’attualità e la società» ed essere «un presidio di pluralismo e inclusione, in grado di portare nel servizio pubblico un dialogo accessibile e non superficiale».
Il Premio per il Miglior Podcast, invece, se l’è aggiudicato “Sigmund” (Il Post), condotto da Daniela Collu che «con rigore e chiarezza affronta temi complessi legati alla salute mentale, dalla psicoterapia al trauma, fino all’impatto dei social sulla psiche. Ogni puntata, arricchita dal dialogo con professionisti e professioniste, contribuisce a sfatare tabù e disinformazione, offrendo strumenti di comprensione accessibili e normalizzando la cura psicologica come pratica di consapevolezza e benessere».
Smontare stereotipi sui social
Ironia e autenticità sono la postura attraverso cui, anche lo spazio digitale, può diventare strumento di inclusione: Sofia Fabiani (@cucinare_stanca) è la Creator dell’anno che«con ironia e linguaggio diretto ha trasformato la cucina in uno spazio di riflessione sociale, smontando stereotipi di genere, orientamento sessuale e affettivo, pregiudizi sul corpo, rendendo l’inclusione un ingrediente quotidiano, accessibile e potente».
Mentre, ad Aurora Leone dei The Jackal, è andato il premio come Miglior Prodotto Digital per il contenuto “La festa dei Nonni”: in grado di distinguersi per aver raccontato «il valore delle relazioni intergenerazionali celebrando affetto, diversità e legami familiari con ironia e autenticità capaci di parlare a pubblici trasversali».
La responsabilità sociale del giornalismo
Non solo intrattenimento. L’informazione svolge un ruolo chiave per attivare il cambiamento culturale, facendo luce sui fatti: per questo motivo, anche la stampa ha la sua categoria nei Diversity Media Awards. Quest’anno, il riconoscimento per Miglior servizio Tg è stato assegnato al Tg La7 per “Data Room” di Milena Gabanelli: “Il centro per migranti di Mineo e il bisogno di manodopera in Italia” è l’inchiesta premiata, per aver incrociato con analisi e precisione i temi legati a diritti, migrazioni e mercato del lavoro.
Il Miglior Articolo Stampa Quotidiani, che tra le candidature presentava anche Il Sole 24 Ore con un articolo su donne e AI firmato dalle giornaliste Monica D’Ascenzo e Manuela Perrone, è stato attribuito a Il Messaggero per “Il miraggio parità nel lavoro” di Franca Giansoldati e Gabriele Rosana: un approfondimento sulle disuguaglianze nell’occupazione e nei salari.
Il premio per il Miglior Articolo Stampa Periodici, invece, è andato a Il Venerdì – La Repubblica con “Il primo pride non si scorda mai” di Claudia Arletti.
Infine, per il Miglior Articolo Stampa Web – tra le cui nomination si è distinta Greta Ubbiali, firma di Alley Oop, con un articolo dedicato allo ius scholae – il premio è stato riconosciuto a Ilfattoquotidiano.it per “Marche, obiezione quasi al 100% e ostacoli all’aborto farmacologico: le storie delle donne costrette a spostarsi. E la Regione non si adegua alle linee ministeriali” di Eleonora Cirant. Riconoscimenti importanti che valorizzano e chiamano all’appello la responsabilità sociale del giornalismo. Oggi come ieri.
Francesca Albanese è il personaggio dell’anno
I premi assegnati dalla Fondazione Diversity raccontano il presente e la storia che evolve: a Francesca Albanese, relatrice speciale Onu per i diritti umani nei territori palestinesi, è stato riconosciuto il titolo di il titolo di “Personaggio dell’Anno”. «Ha mantenuto un impegno instancabile nel denunciare il genocidio in corso – si legge nella motivazione – La sua voce rigorosa e la sua presenza internazionale rendono inevitabile il confronto con le responsabilità politiche e morali che il tema impone». Un riconoscimento che premia il coraggio di esporsi e di usare la propria voce per fare spazio a ciò che resta ai margini.
***
La newsletter di Alley Oop
Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.
Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com