
La chiamano “sindrome da corridoio”, la condizione per cui lavoro e vita privata si contaminano a vicenda, con uno scambio osmotico di ansie e disagi. Una realtà sempre più diffusa, tanto che una persona su tre in Italia ha saltato almeno una giornata di lavoro per malessere emotivo (Osservatorio HR Innovation Practice, Politecnico di Milano). Il wellbeing diventa così una variabile sempre più importante per la competitività d’impresa.
A confermarlo è anche il Censis, nel rapporto “Lavoro, aziende e benessere dei lavoratori: un’epoca nuova”: per l’83,4% dei dipendenti italiani le aziende dovrebbero contribuire attivamente al benessere olistico della persona e il 63,5% gradirebbe un supporto aziendale in ambito psicologico, con corsi di yoga, meditazione e mindfulness.
Cosa genera malessere
Il 25% delle persone ha vissuto spesso situazioni di stress o ansia legati al lavoro, il 24,3% non è riuscito a bilanciare come avrebbe voluto vita lavorativa e vita privata, il 31,8% dei lavoratori dipendenti ha dichiarato di aver provato sensazioni di esaurimento, estraneità o sentimenti negativi nei confronti del proprio lavoro. È la fotografia scattata dal Rapporto Censis, dalla quale si evince come sempre più persone ritengano le aziende corresponsabili del loro benessere.
«Se il lavoro non dà un contributo al benessere soggettivo, all’autorealizzazione della persona secondo i suoi soggettivi canoni di espansione e realizzazione della propria personalità, allora viene relegato ad attività sopportata, a cui dedicare il minimo indispensabile di mente e corpo» si legge nelle pagine dello studio.
La sindrome da corridoio, in particolare, si è accentuata negli ultimi anni, pesando particolarmente su chi, oltre a lavorare, è chiamato a prendersi cura dei figli piccoli o dei genitori anziani (attività che ancora riguardano in percentuale maggiore le donne). A risentirne sono anche i single, costretti ad affrontare in prima persona ogni criticità ordinaria e straordinaria. Per questo, l’85,8% dei lavoratori dipendenti richiede esplicitamente l’introduzione o l’aumento dei benefit del welfare aziendale.
GE HealthCare Italia e il programma anti burnout
GE HealthCare Italia, realtà specializzata in tecnologia medica con circa 700 dipendenti in Italia e 53 mila nel mondo, è una delle organizzazioni che ha dedicato al wellbeing investimenti crescenti e trasversali, mettendo la promozione del benessere al centro dei valori e della cultura aziendale. «Siamo un’azienda attiva nel settore della salute e questo ci rende ancora più consapevoli di quanto sia importante preservare questo aspetto» commenta Davide Santoro, hr country manager Italy di GE HealthCare.
L’ultima arrivata è la collaborazione con Spring Health, piattaforma internazionale specializzata nel supporto psicologico personalizzato. L’accordo prevede per tutti i dipendenti e i familiari a carico dieci sessioni di coaching e dieci di psicoterapia gratuite all’anno, un percorso di orientamento per individuare il trattamento più adatto, un database di esercizi autoguidati su stress, ansia, burnout e sonno, oltre a numeri di assistenza attivi 24 ore su 24 per situazioni critiche.
A questo si aggiungono altre misure, come: il raddoppio del contributo asilo nido, portato a 2.500 euro per anno scolastico, il “new born kit” e l’aspettativa supplementare retribuita per la paternità (15 giorni extra oltre ai 10 giorni previsti per legge). Benefit che vengono utilizzati da tutti i destinatari, a dimostrazione della loro utilità.
«Alcune di queste misure sono arrivate su esplicita richiesta delle nostre persone attraverso sondaggi dedicati, momenti di confronto frontale e feedback raccolti dai manager. Altre, invece, discendono dai nostri valori e dalla nostra strategia internazionale. L’ascolto attivo è il primo canale dal quale partire per creare una relazione autentica con le persone» chiarisce Santoro.
Lavorare sulla parità per diffondere benessere
Consapevole di quanto anche il gender gap possa alimentare insoddisfazione, disparità e pressione psicologica, GE HealthCare Italia ha ricevuto la certificazione per la parità di genere UNI/PdR 125:2022 e ha portato le donne al 53% del totale dei nuovi assunti. L’obiettivo, insiste Santoro, è evitare che il tema resti confinato a una compliance formale. Per questo hanno rilanciato la formazione sul linguaggio inclusivo, a cui si è aggiunto un focus sulla disabilità: «Abbiamo riscontrato un cambiamento reale: dalle email quotidiane alla gestione dei team, le persone sono più consapevoli. Così, la sperimentazione italiana è diventata una best practice internazionale per il gruppo» commenta.
Un ulteriore spazio di confronto, molto partecipato anche dagli uomini, è il Women’s Network Italy che prevede incontri periodici e testimonianze esterne: «La partecipazione trasversale dimostra che non parliamo solo di “questioni femminili”, ma di cultura per tutti e tutte» aggiunge Santoro. Vanno nella stessa direzione “Show Your Pride”, con cui ogni persona di GE HealthCare è invitata a condividere una riflessione sul Pride, e il concerto di Natale organizzato con Checcoro, primo coro Lgbtq+ di Milano, che promuove la cultura dei diritti sociali e civili per tutti.
Non solo, per unire gruppi di lavoro precedentemente separati e creare spazi di confronto orizzontale, empatia e senso di appartenenza, l’azienda ha creato il Book Club interno: un’iniziativa che stimola il dibattito e rafforza la fiducia reciproca, la collaborazione e il senso di appartenenza.
Il wellbeing leva per un buon lavoro
Aumento dell’engagement, maggiore fidelizzazione e impatto positivo sulla retention sono alcuni degli impatti generati da queste misure. Del resto, se le persone stanno bene nel luogo in cui lavorano, la probabilità che lo abbandonino o che lavorino con poco interesse e scarsa produttività diminuisce. Aumenta, invece, l’effetto positivo della reputazione e del passaparola, con impatto sull’attraction, sfida concreta per molte realtà.
«Quando le persone possono portare autenticità e identità al lavoro, si crea un clima migliore, si genera valore umano e organizzativo, con benefici considerevoli anche in termini di sviluppo delle competenze. E questo è un tema centrale per chiunque si occupi di futuro del lavoro» conclude il responsabile hr edl gruppo.
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