
È record di iscritti a percorsi di studio superiore, quelli cioè a cui si accede dopo il diploma di scuola secondaria di secondo grado. Secondo gli ultimi dati Unesco, sono 264 milioni a livello mondiale quelli che seguono programmi di educazione terziaria. Un balzo in avanti pari a più del doppio del totale che era stato registrato a inizio secolo. E un incremento di 25 milioni solo rispetto alla quota del 2020.
Questa tendenza, che appare in crescita praticamente ovunque, è accompagnata dalla conferma di due altri trend. Da una parte, sul totale degli iscritti è maggiore la percentuale di ragazze su quella dei ragazzi almeno dal 2010. Al punto che oggi, nelle università e nei centri di formazione superiore, ci sono 113 studentesse ogni 100 studenti. Dall’altra, invece, continua a spandersi il fenomeno della “mobilità accademica”. Come emerge nella nuova analisi dell’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, infatti, secondo le stime più recenti il totale di quelli che si trasferiscono oltre i confini del loro Paese di origine per studiare, è di circa 6,9 milioni. Cifra triplicata rispetto a 20 anni fa.
Per quanto si tratta di risultati che a livello mondiale mostrano passi in avanti a livello generale, il dettaglio delle cifre mostra alcune persistenti, in certi casi anche pesanti, differenze tra zone. Le disparità maggiori si registrano soprattutto nell’Africa sub-sahariana, maglia nera in molte delle voci considerate. In questa regione, non solo il numero degli iscritti a percorsi di istruzione terziaria resta sotto il 10% (per quanto in crescita nel tempo: erano il 4% vent’anni fa). Ma anche la percentuale delle ragazze iscritte a percorsi di studio superiori si conferma la peggiore al mondo.
Su 100 studenti maschi, sono infatti solo 78 le studentesse. Anche in questo caso certo in crescita – da una quota di 66 su 100 a inizio secolo. Ma ancora non sufficiente per avvicinarsi alla media globale. Né ai numeri registrati in l’Asia centrale e meridionale, regione che va appena un po’ meglio nell’analisi Unesco. In quest’area dove comunque le iscritte superano superano il 50%, il salto negli ultimi 15 anni è stato da record: nel 2010 su 100 maschi iscritti, le ragazze erano 77. Oggi la situazione è ribaltata e le studentesse sono più degli studenti, sono rispettivamente 103 ogni 100.

Quanti completano gli studi?
Se si guarda all’intero sistema di istruzione, secondo i dati riportati in aprile dalla Banca mondiale, i ritorni economici per quanti completano i loro percorsi di formazione superiore sono i più alti. Nel dettaglio, l’aumento stimato dei guadagni di chi ha una laurea o un master sarebbe del 17%, contro il 10% calcolato su chi completa una formazione primaria. E il 7% offerto dai percorsi secondari. Vantaggi economici che, secondo l’organizzazione poi, sarebbero ancora superiori proprio per i laureati nelle aree sub-sahariane, con picchi anche del 21%.
Chiarisce la Banca mondiale: «Con l’aumento della popolazione giovanile e il drastico aumento dei tassi (di formazione) soprattutto in regioni come l’Asia meridionale, l’Africa sub-Sahariana, l’America Latina e il Medio oriente e il Nord Africa, si intensifica la domanda di un più ampio accesso all’istruzione terziaria di buona qualità». In questo quadro, poi, «L’istruzione e la formazione terziaria tecnica e professionale, ad esempio, possono fornire un complemento efficace ed efficiente agli studi universitari tradizionali, fornendo agli studenti competenze e conoscenze rilevanti per il mercato del lavoro».
Una crescente popolazione di laureati che, cercano di adeguare le competenze alle esigenze del presente, in particolare nelle zone svantaggiate, può avere un impatto positivo sulle comunità. Andando a rispondere per esempio alla forte carenza di certe skills indispensabili.
Numeri alla mano, viene da chiedersi se alla crescita del numero di iscritti, corrisponde anche una crescita di quanti effettivamente hanno completato i percorsi di studio. La risposta arriva dai dati Unesco: sì. E praticamente ovunque. Nonostante però a ritmi e con percentuali diverse per in regioni anche confinanti.
In generale, è evidente e diffuso l’aumento del numero di quelli che arrivano alla laurea o completano una specializzazione successiva. Stando agli ultimi dati, infatti, un giovane su quattro ha ottenuto un diploma superiore di “primo grado” o un master. Nel 2000 questa media era di uno su cinque.
Ma se alcune aree hanno conosciuto un aumento molto significativo, altre registrano un progresso lento. E la parte centrale e meridionale dell’Asia dal 2012 ha registrato un leggero calo. Qui erano il 25% a diplomarsi 12 anni fa, sono il 24% oggi. Questo risultato, unico al livello mondiale, appare tra l’altro in netto contrasto con la situazione che si è invece verificata nelle nazioni limitrofe, che in un lasso di tempo simile, hanno conosciuto invece il balzo maggiore di tutti.
L’Asia meridionale e orientale, dopo aver conosciuto un progresso timido tra il 2004 e il 2010, passando da una media del 12% a una del 16%, nel 2023 ha registrato numeri più che duplicati, con il 39% degli studenti che hanno completato quell’anno i loro studi. Una percentuale, tra l’altro, che supera di molto la media mondiale del 27% e si avvicina ai record di Oceania (44%) e Europa e Nord America (45%).
Muoversi o restare
Tra le tendenze analizzate, un altro dato interessante riguarda la mobilità internazionale tra gli studenti a questi livelli di formazione. Dato il crescente e più economico accesso alle informazioni e dalla maggiore facilità, anche culturale, di trasferirsi oltre i confini del Paese di nascita, non sorprende troppo il balzo in avanti del numero di quanti lasciano – magari solo temporaneamente – la loro terra d’origine per specializzarsi altrove.
Al mondo, secondo le ultime rilevazioni Unesco relative al 2022, questo numero è arrivato a quasi 7 milioni di persone. In crescita costante dai 2,1 registrati oltre due decenni fa, con una sola interruzione registrata durante gli anni del Covid. Tra tutte le aree al mondo, Europa e America settentrionale si trovano in testa come destinazioni preferite. Queste regioni da sole, infatti, ospitano oltre la metà degli studenti “internazionali”, 4 milioni. Ma su una media mondiale passata in 22 anni dal 2,2% al 2,7, è l’Oceania a registrare il record sia delle percentuali di iscritti “immigrati”, che per il balzo maggiore dal 2000.
Nel continente, dove due decenni fa erano già poco più del 9% gli studenti internazionali, la percentuale è poi quasi raddoppiata nel 2010 (superando il 16%). E schizzata ancora più in alto nell’ultima rilevazione del 2022, quando si è raggiunto un ulteriore massimo. Qui sono il 21,1% gli studenti provenienti da una diversa area del mondo. O, in altri termini, uno su cinque. Per fare un confronto, la seconda area per numeri generali di studenti internazionali, cioè Europa e America settentrionale, conosce una media di “international mobile students” dell’8%. Quota partita dal 3,6% nel 2000 e poi cresciuta al 4,4% nel 2010.
Gli studenti in Europa
Se le rilevazioni Unesco offrono una panoramica mondiale, i dati Eurostat tratteggiano il dettaglio della situazione nei Paesi della Ue. Pubblicate in maggio, le ultime statistiche indicano che sono il 44% dei cittadini dell’Unione tra i 24 e i 34 anni ad aver completato un percorso di studi terziari. Percentuale che scende al 33,5% se si considera la forbice demografica tra i 25 e i 74 anni. Si va dai picchi massimi registrati in Irlanda (52,8%) e in Lussemburgo, Svezia e Cipro (tutte oltre oltre il 45%), ai minimi, sotto il 25%, di Italia e Romania. Con il 17,1%, Bucarest segna il record minimo tra i 27.
Anche dentro l’Unione comunque il trend generale degli ultimi dieci anni è in crescita continua. Tanto che la percentuale di europei con una laurea o un master è salita dal 26% del 2014. Mediamente, ricorda poi Eurostat, le generazioni più giovani ottengono livelli più alti di istruzione, con l’82,75 della fascia 25-54 anni ad aver ottenuto almeno un diploma superiore di secondo livello, contro il 70,4% della fascia 55-74.
Proprio in tema di formazione superiore, nel 2021 il Consiglio aveva approvato una risoluzione in cui a livello europeo si fissa per il 2030 un target del 45% di giovani (tra i 25 e i 35 anni) con un livello di istruzione terziaria. Nel frattempo, la media comunitaria è arrivata già nel 2024 al 44,2%. Con alcuni membri che hanno ampiamente superato l’obiettivo in anticipo (Irlanda, Lussemburgo e Cipro sono già oltre il 60%). Mentre, ancora una volta, la Romania si mostra in rincorsa, con una quota sotto il 30% di under 35 a possedere un titolo di studi superiore.
Tra altre considerazioni, meritano una menzione finale le percentuali raggiunte in Europa in base al genere. Come succede a livello mondiale, anche nell’Unine la differenza uomini-donne pende a favore delle seconde. Tanto che nel 2024 a livello continentale sono quasi il 50% le europee sotto i 35 in possesso di un educazione terziaria. Una quota in crescita dal 45,1% registrato nel 2019.
Di contro, si attesta al 38,7% la percentuale degli uomini laureati o in possesso di un master. Cifra anche questa in crescita rispetto a dieci anni fa, ma con ritmi più lenti tanto da portare all’approfondirsi – per una volta a favore delle donne – del gap di genere. Tra il 2014 e il 2024 siamo passati da un divario di 10 a 11,2 punti percentuali.

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