Sedici squadre giovanili Under 13, otto maschili e otto femminili, qualificate al termine di una stagione che ha visto coinvolti 25mila atleti e 4mila allenatori, il coach di una di una squadra italiana che nei prossimi giorni si giocherà lo scudetto e una leggenda Nba, che di titoli ne ha vinti ben 7. Sono alcuni degli ingredienti delle Finali della Jr.Nba/Jr.Wnba Fip U13 Championship organizzata dalla federazione italiana insieme alla lega Usa, che si sono svolte dal 6 all’8 giugno a Seregno.
Ospiti d’onore Peppe Poeta, capo allenatore della Germani Brescia e assistant coach della Nazionale maschile, e Robert Horry, campione a stelle e strisce la cui efficacia nei momenti chiave gli è valsa il soprannome di “big shot Rob”. Forte dei suoi sette anelli, i primi due vinti con Houston accanto ad Hakeem “The Dream” Olajuwon, i successivi tre nei Lakers di Kobe Bryant e Shaquille O’Neal e l’ultima coppia alla corte di Gregg Popovich a San Antonio, Horry ha assistito alle sfide tra le migliori squadre giovanili della stagione, ognuna abbinata a una franchigia Nba, per la conquista del loro anello di categoria.
A spuntarla alla fine sono state in campo maschile l’EA7 Emporio Armani Olimpia Milano/Milwaukee Bucks, che ha confermato il successo dello scorso anno in una finale tutta lombarda contro l’Hub del Sempione/Boston Celtics, e tra le ragazze Ginnastica Angiulli/Atlanta Hawks di Bari, che ha battuto nettamente Valtarese 2000/Chicago Bulls.
Al di là dei risultati del campo, l’evento ha consentito a Horry di fare il punto della situazione sul mondo della pallacanestro, dalla crescita del movimento in Europa a un pronostico sulle Finals Nba, dai consigli per i giovani atleti al sogno di uno sbarco europeo della lega Usa.
«Per l’Nba in Europa servono investimenti enormi, ma si può fare»
«È semplicemente fantastico vedere tutti i giocatori europei che arrivano nell’Nba, sono così bravi – sottolinea Horry -. La cosa che apprezzo di più è che hanno basi più solide rispetto ai giocatori americani, perché imparano i fondamentali e li usano». I cestiti Usa, spiega, «sono più atletici e quindi se la cavano con l’atletismo», mentre i campioni di questa sponda dell’Atlantico fanno leva soprattutto sulla tecnica e sulla «loro intelligenza». «Questo dimostra che quando il basket viene insegnato nel modo giusto e si insegnano i fondamentali insieme all’atletismo, si può fare molta strada nella lega – chiosa – ed è per questo che se prendi i primi dieci giocatori tre o quattro sono europei».
Quanto all’ipotesi di uno sbarco concreto dell’Nba in Europa, Horry ammette che sarebbe necessario «un investimento enorme», in particolare per creare palazzetti adeguati, ma si rivela ottimista: «Credo che si possa fare – rimarca -. Basta pensare quanti soldi girano nello sport. Non siamo minimamente vicini al calcio, ma lo sport genera comunque molti soldi: basta convincere le grandi città a collaborare» e con l’aiuto «di donatori importanti si possono costruire gli stadi».
Tanto più che non sarà necessario siano «come quelli degli Stati Uniti: possono essere come quelli universitari, da 15mila a 20mila posti, e se ci riuscissero», considerando «quanto i tifosi italiani ed europei amino» il basket, si potrebbero «convincere alcuni giocatori a venire qui». Si potrebbe dare vita «quasi a una G League europea», conclude, facendo riferimento alla lega “minore” americana, concepita come un campionato per lo sviluppo di giocatori non ancora pronti per la Nba.
«Indiana incredibile e passa sempre la palla, ma vincerà Okc»
Horry, infine, ha un pensiero per tutti i ragazzi che non hanno potuto partecipare alle Finali di Seregno, perché infortunati o eliminati con la loro squadra in precedenti fasi del torneo («Direi loro che si tratta solo di un ostacolo, di una buca nella strada. E una buca non ferma il viaggio, si continua ad andare e si evita la buca successiva») e si sbilancia in un pronostico sulle Finali Nba: «Penso che Oklahoma City vincerà, ma è incredibile quanto siano bravi i Pacers». Il punto forte di Indiana, secondo Horry, è che gli avversari «devono preoccuparsi di tutti in campo in ogni momento, non dipendono da un solo giocatore». «Tutti parlano di» Tyrese «Haliburton, ma Haliburton passa molto la palla, coinvolge le persone»: «Quando un giocatore è in un buon momento, anche se non è una superstar, continuano a passargliela». «Questo non si vede spesso in Nba», conclude, ed è un’ottima lezione anche per i campioni del futuro.