Pressione estetica in crescita vertiginosa. Discriminazioni legate all’età che colpiscono più ferocemente le donne, invisibilizzate rispetto agli uomini. Menopausa senza informazioni adeguate per affrontarla. Il corpo delle donne è più politico che mai, regolato da norme sociali, culturali e anche istituzionali «che ne limitano l’autonomia e il pieno riconoscimento».
Il j’accuse arriva dal rapporto “Il corpo politico. Autonomia corporea e menopausa tra potere, resistenza e cura collettiva” firmato da WeWorld e realizzato a trent’anni dalla storica Conferenza mondiale sulle donne di Pechino, che ha sancito il riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi come diritti umani fondamentali. Il lavoro, che sarà presentato nell’ambito della 15esima edizione del WeWorld Festival che si aprirà domani negli spazi di Base Milano con il titolo “Unite e Plurali”, è accompagnato dai risultati di un sondaggio Ipsos-WeWorld condotto su un campione rappresentativo di mille persone.
La pressione sulle madri
Oggi come ieri, afferma il report, «l’identità delle donne viene spesso ridotta al loro ruolo all’interno della famiglia, in particolare a quello di madri». Una visione che storicamente ha giustificato l’esclusione delle donne dalla vita pubblica assegnando loro la responsabilità della cura domestica. La novità è che anche la maternità è stata investita dalle logiche della produttività: alle madri si richiedono «standard di competenza e di efficienza e competenza sempre più alti». E così, dopo il lavoro fuori casa (per chi lo ha e riesce a mantenerlo dopo il primo figlio), per le mamme scatta la “seconda giornata”.
Il gap tra idealizzazione e realtà
Colpisce la forbice tra l’idealizzazione ancora fortissima della gravidanza (l’85% del campione sondato la ritiene un’esperienza meravigliosa) e la realtà dell’esperienza delle madri, sottovalutata. Il risultato è che quasi nove donne su dieci (84%) sentono il peso dello sguardo sociale sulle scelte di maternità, definito schiacciante dal 51% delle interpellate. Il 43% – ma la quota sale al 51% tra gli uomini – ritiene che una donna incinta debba lasciare il lavoro il prima possibile anche se è in salute.
Aborto, il 55% lo riconosce come diritto
Mai dare le conquiste per acquisite. Sull’aborto, per esempio, il rapporto di WeWorld registra «significativi arretramenti» nel dibattito pubblico. Arretramenti che il sondaggio sembra confermare: il 55% del campione sostiene il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, ma al Sud si scende al 50% e solo il 51% degli uomini, contro il 59% delle donne, pensa che si dovrebbe garantire senza restrizioni. Allo stesso tempo, quella della contraccezione in Italia resta una rivoluzione incompiuta: il 57% degli intervistati dichiara di non utilizzare alcun metodo.
Il mito della bellezza e il beauty burnout
Lo chiamano beauty burnout. È l’ossessione per l’aspetto fisico, alimentata da narrazioni e rappresentazioni che spingono tutti, ma in particolare le donne, ad aderire a precisi canoni di bellezza: magrezza, bianchezza, assenza di imperfezioni, forma smagliante. Il 59% del campione intervistato per il sondaggio Ipsos-WeWorld considera le donne più esposte alla pressione estetica. Gli esiti sono quelli già descritti nel 1990 da Naomi Wolf ne “Il mito della bellezza”: le donne vengono distolte dal concentrarsi su altro e subiscono un continuo senso di inadeguatezza che danneggia il loro benessere psicologico ed economico, viste le spese in cosmetici, trattamenti, abbigliamento e attività fisica.
Per questa via le pressioni estetiche «diventano un potente strumento di controllo sociale che incrocia il genere, la provenienza, il colore della pelle, la disabilità e la classe sociale». E la bellezza stessa si trasforma in «un mezzo per creare una gerarchia sociale»: chi non rispetta gli standard imposti rischia la marginalizzazione.
Vietato invecchiare
Il 33% delle persone considera l’invecchiamento una fase naturale della vita, ma il 24% delle donne e il 22% degli uomini lo associa a declino, solitudine e perdita di indipendenza. Per il 38% del campione, l’età penalizza di più le donne, percezione confermata dal 45% delle intervistate, contro il 30% degli uomini. Che appena all’11% ritiene l’età un ostacolo soprattutto per loro. Il 71% di tutti gli interpellati pensa che le anziane siano più a rischio di esclusione sociale e professionale rispetto agli uomini. I dati sono inequivocabili: «L’ageismo colpisce in modo sproporzionato le donne, non solo per la loro età, ma anche per il genere».
La menopausa, il tabù più grande
«Nonostante riguardi milioni di persone, e rappresenti una fase di transizione che può occupare fino a un terzo della vita di chi ha avuto le mestruazioni, è un argomento ancora oggi avvolto dal silenzio». Così il rapporto descrive la menopausa, fase che vivono 17 milioni di italiane considerando anche il periodo che la precede. Una realtà tanto diffusa quanto misconosciuta: non solo in famiglia e sul lavoro, ma anche nel sistema sanitario. Il motivo? «L’intero valore sociale delle donne, per secoli, è stato costruito intorno all’aspetto fisico e alla capacità di procreare. Quando questi elementi vengono meno, la società tende a considerarle “finite”, meno utili o addirittura invisibili». Di conseguenza, la menopausa viene vista come un problema da risolvere, trattata alla stregua di una patologia da curare o un momento di perdita.
Il 38% ha difficoltà a reperire informazioni
Chi attraversa questo periodo può sentirsi confusa e impreparata, senza informazioni e senza rete. Il 38% delle persone ha provato imbarazzo, ma ha avuto difficoltà a reperire informazioni o a trovare supporto medico. Circa una lavoratrice su dieci lascia il lavoro, molte altre scelgono il part time. Un uomo su quattro (e il 23% delle donne), secondo il sondaggio Ipsos, pensa che chi è in menopausa dovrebbe evitare di assumere ruoli di leadership. Il 43% delle intervistate segnala di dover sostenere spese annuali per gestire i sintomi, con il 18% che spende oltre 50 euro l’anno. Al di là dei sintomi e dei disturbi, molto variabili, il rapporto sottolinea che «la menopausa è sempre un’esperienza situata, intrecciata con i ruoli che si assumono nella società, con le aspettative e i limiti imposti da norme di genere, età, classe e cultura».
Le raccomandazioni finali
Il rapporto di WeWorld si conclude con un set di raccomandazioni per le istituzioni, per le aziende e per la società civile sui tre grandi capitoli affrontati. Perché ciascuno può fare la sua parte affinché la giustizia sessuale e riproduttiva sia una priorità. Chiara la ragione: «Dove si controllano i corpi, si limitano anche le libertà. Dove si impone il silenzio su scelte riproduttive, sessualità, menopausa o invecchiamento, si alimenta un sistema che marginalizza e isola». In questo senso il corpo è politico. E la cura da individuale deve diventare «collettiva»: una responsabilità finalmente condivisa tra istituzioni, comunità, famiglie, luoghi di lavoro, media. Non un onere sulle spalle delle donne.
Spinta reazionaria dagli Usa, diritti sessuali e riproduttivi sotto attacco
«Per un’organizzazione come WeWorld, che da cinquant’anni si occupa di portare al centro le persone che si trovano ai margini, occuparsi di diritti sessuali e riproduttivi oggi diventa ancora più importante, perché sono i diritti che vediamo essere più sotto attacco», spiega ad Alley Oop Martina Albini, coordinatrice del Centro studi di WeWorld. «Dagli Stati Uniti è partita una spinta reazionaria che ha ricadute concrete sulla vita delle persone. Basta pensare a quanto hanno impattato i tagli ai fondi di UsAid sui programmi relativi alla salute materno-infantile, all’accesso alle politiche di pianificazione familiare, al contrasto alla violenza basata sul genere. Tutte cose che davamo per scontate, ma che scontate non sono».
«I corpi a oggi ancora non sono tutti uguali»
Restano pregnanti, per Albini, le questioni indagate nel rapporto: le donne anziane, «una delle categorie più invisibilizzate» e più penalizzate, per esempio dal punto di vista previdenziale, e la menopausa, che reclama giustizia esattamente come accade con la «giustizia mestruale» per la cui integrazione nella visione a tutto tondo della salute l’organizzazione si batte da tempo. «I corpi a oggi ancora non sono tutti uguali: per la società ci sono corpi che hanno più valore degli altri», sintetizza Albini. «Ed è a partire dal corpo che possiamo misurare la libertà o l’assenza di libertà». My body, my choice.
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