Una teca trasparente che riproduce un piccolo ambulatorio ginecologico, allestita in piazza Duca d’Aosta a Milano il 21 maggio 2025, dove è possibile ascoltare le frasi realmente pronunciate dal personale sanitario, come «Doveva pensarci prima!», «Ti sei divertita, ora paghi», «Deve sentire il battito del feto, è fondamentale!», «Siamo donne, dobbiamo soffrire». Si tratta di testimonianze reali di donne che, a fronte del proprio diritto di richiedere un’interruzione volontaria di gravidanza, hanno subito abusi e violenze. L’installazione fa parte della campagna “The Unheard Voice” che la rete Medici del Mondo ha lanciato lo scorso settembre per denunciare le barriere che ostacolano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in Italia e far ascoltare cosa realmente accade nelle strutture sanitarie, in cui la voce delle donne viene spenta per far sentire loro il “battito fetale” o le parole violente di chi vuole negare il diritto all’aborto.
La situazione in Lombardia
Alla vigilia del 47° anniversario dell’approvazione della legge 194 che dal 22 maggio 1978 permette di interrompere volontariamente la gravidanza, la rete vuole accendere un faro sul fatto che nella pratica, l’accesso all’IVG viene spesso ostacolato. La Lombardia è la prima regione per numero di IVG in Italia, ma è anche pioniera della collaborazione tra amministrazione regionale e movimenti contro l’aborto: per prima, nel 2010, ha istituito un fondo gestito dal Movimento per la Vita (MpV), primo movimento antiabortista nato dopo la legge 194, favorendo la diffusione dei Centri di aiuto alla vita anche all’interno di ospedali e consultori. Una delibera del 2000 permette ai consultori familiari privati accreditati di non erogare le prestazioni previste per l’IVG, legittimando, di fatto – dice la rete – l’obiezione di struttura vietata dalla legge 194. Un problema che appare ancor più grave se si considera che gli attuali consultori pubblici (145) sono ben al di sotto della proporzione 1 ogni 20 mila abitanti previsto per legge (circa un consultorio ogni oltre 60 mila abitanti). La certificazione per accedere all’IVG rilasciata nei consultori lombardi resta sotto il 50% (in Emilia-Romagna è oltre il 70%).
Ancora più difficile, poi, l’accesso all’IVG farmacologica. Secondo il ministero della Salute, nel 2022 in Lombardia le IVG farmacologiche sono state il 41,8% del totale (in Emilia-Romagna sono il 70,1% e in Piemonte superano il 66,7%). Inoltre, la Lombardia è maglia nera per i tempi di attesa. Secondo il ministero, il 32,8% delle persone deve attendere oltre 15 giorni per una IVG dal rilascio del certificato, contro il 24,6% di media del Nord Italia e il 22,2% di media nazionale. Peggio fa solo il Veneto (45,2%).
I richiami all’italia
Tra scarsità di consultori, tassi elevati di obiezione di coscienza, disinformazione e mancata applicazione delle linee guida ministeriali del 2020, l’accesso all’IVG in Italia resta in ogni caso critica, soprattutto se si parla di IVG farmacologica: basti pensare che in Europa la pillola abortiva è usata da oltre 30 anni, mentre in Italia è ancora considerata un farmaco rischioso ed è difficile da trovare. Risultato? Per abortire molte donne devono spostarsi tra città e regioni, con costi economici e psicologici pesanti. L’Italia è stata più volte richiamata a livello internazionale sulla garanzia di accesso all’IVG, con il Parlamento Europeo che ha chiesto di rimuovere le barriere e fermare i finanziamenti ai gruppi anti-scelta.
Secondo l’OMS, limitare l’accesso all’aborto aumenta stress e stigmatizzazione, violando i diritti umani. Lo studio Turnaway – l’analisi sull’interruzione di gravidanza condotta da Advancing New Standards in Reproductive Health (ANSIRH) presso l’Università della California, San Francisco – dimostra che le donne costrette a portare avanti una gravidanza indesiderata hanno maggiori probabilità di sviluppare problematiche legate alla salute mentale (ansia in primis), nonché di vivere in povertà o con un partner violento. Al contrario, il 99% di chi ha avuto accesso all’IVG dichiara di non provare rimpianto, ma sollievo.
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