Affidi, nuovo attacco: un emendamento mette a rischio l’ascolto dei minori

Foto di Cheryl Holt da Pixabay

Da una parte il disegno di legge 832 all’esame della commissione Giustizia del Senato che prevede, nei casi di separazione, l’affido paritetico dei minori, senza più l’obbligo per il giudice di adottare provvedimenti «con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale dei figli». Dall’altra, l’emendamento 1.6 all’articolo 4-bis del Ddl 1866 che prova a introdurre nuovi principi sull’ascolto e la valutazione del minore, tipicamente di appannaggio del penale. Emendamento presentato da cinque deputati leghisti, capitanati da Simonetta Matone, al disegno di legge Affidi Roccella-Nordio che prevede l’istituzione di appositi registri e di una banca dati delle comunità, a tutela dei minori in affidamento.

I due interventi preoccupano chi si occupa tutti i giorni dei diritti dei minori. «Se passano entrambi – il Ddl 832 e l’emendamento al Ddl 1866 – non potremo più dare ascolto ai minori nelle decisioni che li riguardano», sottolinea Monica Velletti, presidente della prima sezione civile del Tribunale di Terni e consulente della Commissione di inchiesta parlamentare sul femmicidio. «È come se cancellassimo il valore che nella riforma civile abbiamo dato all’ascolto del minore, che deve essere sentito direttamente dal giudice. In sostanza si vuole rendere il minore non attendibile», precisa la senatrice del Pd Valeria Valente.

L’emendamento targato Lega

L’emendamento, presentato il 4 marzo a firma Matone, Bisa, Bellomo, Morrone, Sudano,  spiega i criteri in base ai quali bisogna effettuare l’ascolto e la valutazione del minore, ai fini della decisione relativa all’affidamento familiare. Tra questi, il fatto che il minore deve essere sentito in contraddittorio il prima possibile e che l’incidente probatorio è la sede privilegiata di acquisizione delle dichiarazioni del minore. Inoltre, prevede che le sue dichiarazioni debbano essere assunte utilizzando protocolli d’intervista o metodi basati sulle indicazioni della letteratura scientifica accreditata. Un esperto, secondo i proponenti, deve valutare con particolare cautela le situazioni specifiche idonee a influire sulle dichiarazioni dei minori, quali, ad esempio, «la separazione dei genitori caratterizzata da grave conflittualità»; stati di allarme generati solo dopo l’emergere di un’ipotesi di abuso; «fenomeni di suggestione e scambi di informazioni» atti a formare o modificare le convinzioni del soggetto in modo non corrispondente alla realtà dei fatti.

L’eco della Carta di Noto IV, documento senza valore normativo e precettivo

«L’emendamento riprende in maniera pedissequa le “Linee guida per l’esame del minore testimone vittima di reato” (Carta di Noto IV), un documento di natura privatistica che non ha le credenziali di accreditamento della comunità scientifica né ha valore normativo e precettivo, secondo un consilidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, fa notare Andrea Mazzeo, psichiatra da sempre attento alla tutela dei minori ed esperto di violenza.  Tanti i rilievi di merito che formula. «Al punto “o” viene fatta confusione tra capacità generica e capacità specifica del minore testimone; come scrive Ugo Fornari, maestro insuperato di psichiatria forense, “la prima fase degli accertamenti disposti deve riguardare unicamente la capacità generica del minore. L’accertamento peritale su quella specifica si riferisce alle dichiarazioni rilasciate dal minore in sede di incidente probatorio. La valutazione psico-forense si cala sulla capacità- possibilità-modalità del minore di narrare i fatti e non sulla veridicità o meno degli stessi».

In secondo luogo, osserva Mazzeo, «al punto “t” vengono introdotte considerazioni estranee alla valutazione sic et simpliciter della capacità generica del minore a rendere testimonianza. Considerazioni che hanno la funzione di screditare le dichiarazioni del minore. Chi deve valutare l’eventuale influenza di quelle situazioni sulle dichiarazioni del minore, ovvero la credibilità della testimonianza, è l’autorità giudiziaria e non l’esperto del caso, il quale deve limitarsi, come vuole la psichiatria forense, a valutare, cito sempre Fornari, “se le dichiarazioni, le confessioni, le ammissioni, le accuse di quel soggetto siano o meno espressione di un funzionamento mentale alterato da patologia psichiatrica o da un disturbo della sfera cognitiva e-o affettivo-relazionale che abbiamo negativamente interferito sulla fissazione dell’evento e incidano sulla rievocazione dello stesso”». Il perito – conclude lo psichiatra – «non deve esprimersi sul contenuto della testimonianza, e quindi della credibilità o meno del testimone, ma deve semplicemente dire se il minore ha capacità di testimoniare o se le sue dichiarazioni siano inficiate da problemi di ordine psicopatologico, quali disturbi del pensiero, dell’affettività, dell’ideazione, dell’intellignza, dell’ideazione, della volontà, ecc.».

Stravolto il principio dell’attendibiltà del minore

«L’obiettivo dell’articolo 4-bis sembra essere quello di voler  stravolgere il dettame proveniente dalla  giurisprudenza e puntare a sostituirsi, con una presunta verità clinico psicologica,  al sapere/potere del giudice in materia di capacità e attendibilità del minore.  Questo succede soprattutto nei casi di abuso sessuale», spiega Elvira Reale, psicologa e consulente della Commissione di inchiesta sul femminicidio. In sintesi, secondo Reale, le regole delineate nell’emendamento,  oltre che fuori contesto,  sono concepite in modo che nella maggioranza dei casi il minore non abbia chance o ne abbia molto poche per essere considerato testimone attendibile nei fatti di abuso, che lo vedono direttamente  o indirettamente coinvolto. L’occasione che offre questo emendamento, aggiunge Reale, è dunque quella di «considerare la Carta di Noto quale strumento di svalutazione delle testimonianze dei minori e di occultamento della  violenza domestica, valutandone  la carenza di scientificità così come si è fatto per il costrutto dell’alienazione parentale, con cui questa Carta  condivide la mission di penalizzare le donne e di ribaltare come boomerang  su di loro  il senso delle loro denunce e accuse contro i partner e contro i  padri».

Introduce il penale nel civile

Ma c’è un altro, aspetto, stavolta di metodo, che viene ritenuto dirimente. Spiega Mazzeo: «Il Ddl 1866 è stato approvato dal Governo con l’intento di disciplinare l’istituzione del Registro nazionale delle comunità e delle famiglie affidatarie; nulla ha a che vedere con questa finalità la Carta di Noto IV. L’ascolto del minore di cui al disegno di legge viene disposto dal giudice civile ed è già normato dal Codice di procedura civile. Non si tratta infatti di acquisire la testimonianza del minore vittima di reato, che attiene alla procedura penale, ma di ascoltarlo nell’esercizio di un suo diritto, quello di essere informato su decisioni che lo riguardano».

Il fatto di introdurre in un testo civilistico una disposizione che ha contenuti prettamente penalistici è stigmatizzato dalla giudice Velletti. «Se voglio esportare una logica penalistica in un contesto civilistico – afferma – il mio intento è quello di indebolire quello che il minore riferisce in libertà al giudice civile, perché voglio incatenarlo a un fatto». A suo avviso, la norma «è un cavallo di Troia: si cerca di abbattere l’impianto di valutazione dell’affidamento del bambino secondo quello che il bambino sente». La giudice spiega che nel civile l’ascolto del minore, disciplinato dal Codice, non tende all’accertamento dei fatti ma è una valutazione della situazione in cui si trova il minore. Il tribunale, in sintesi, ascolta ciò che dice il bambino e cerca di capire perché lo dice. Cosa ben differente dal giudice penale, che ha un altro obiettivo: l’accertamento dei fatti. Poiché, sulla base delle dichiarazioni del minore, dovrà condannare o meno qualcuno, privarlo o meno della libertà personale. Di conseguenza, sussistono altre cautele in merito alle modalità della testimonianza del bambino, perché la finalità è completamente diversa. Quella penale è più invasiva, quella civile è tutta pro minore. «Così facendo si punta a far perdere forza a quello che il minore riferisce in libertà», ribadisce Velletti.

La schizofrenia sistemica

Altro rischio è quello di ottenere una «schizofrenia sistemica», precisa la giudice. Se l’emendamento dovesse passare, avremmo infatti un ascolto generale del minore secondo quanto stabilito nel Codice di procedura civile e un ascolto modellato secondo il disegno di legge 1866 nei casi di affidamento extra familiare, cioè quando il giudice deve stabilire l’affido del bambino o della bambina in comunità. L’obiettivo del decreto voluto dai ministri Eugenia Roccella e Carlo Nordio è, infatti, quello di realizzare una mappatura dei minorenni che si trovano negli istituti e nelle case famiglia, mappatura che al momento non esiste. Secondo gli ultimi dati ufficiali del ministero del Lavoro a fine 2023, i minorenni allontanati dalla famiglia di origine, al netto dei minori stranieri non accompagnati (Msna), erano 33.310, di cui 18.304 accolti in comunità residenziali.

Il Ddl Salomone

Sull’altro Ddl proposto per realizzare la bigenitorialità, già criticamente valutato dalla neo garante per l’infanzia e l’adolescenza, Marina Terragni, secondo la quale «pare registrarsi un arretramento rispetto a un’attenta valutazione dei diritti dei bambini, con il rischio che prevalga una prospettiva di tipo adultocentrico», è arrivata anche la bocciatura di Differenza Donna. «È pericoloso – sostiene l’associazione presieduta da Elisa Ercoli, che gestisce il numero verde nazionale antiviolenza 1522 – perché mina l’autodeterminazione delle madri e il benessere di figlie e figli e parla di genitorialità ignorando la violenza di genere, non tenendo conto del contesto sociale ed economico in cui le donne vivono». «La nostra materia ha una regola, ovvero: nessuna regola, perché ogni famiglia ha la sua storia e le sue condizioni. Obbligare per legge l’affido paritetico significa mettere tutta la fatica sulle spalle dei bambini e delle bambine», commenta Velletti. Con il Ddl 832 viene infatti introdotto l’obbligo del doppio domicilio e di fatto soppressa la facoltà dei genitori di stabilire in modo condiviso la residenza abituale del minore. La petizione contro il disegno di legge ha superato le 2mila firme.

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