25 aprile, “Compagne” per capire la Resistenza delle donne

Cinquantuno donne, cinquantuno militanti: in maggioranza comuniste, alcune socialiste, un’anarchica, tre mai formalmente iscritte a partiti o movimenti organizzati. Tutte di origine proletaria. «È un campione non scientifico della partecipazione politica delle donne, in una città industriale come Torino (anche se qualcuna operò per parte della sua vita altrove) in tempi particolarmente difficili. Comune denominatore la lotta di classe, l’antifascismo vecchio e nuovo».

Nel 1977 così lo descrive Bianca Guidetti Serra, ex partigiana, avvocata penalista, parlamentare di sinistra nella decima legislatura (eletta da indipendente nelle liste di Democrazia Proletaria), mentre dà alle stampe “Compagne. Testimonianze di partecipazione politica femminile”, oggi ripubblicato da Einaudi. Ha concepito questo saggio come un tributo alle protagoniste, con cui aveva condiviso gli anni drammatici dell’occupazione nazifascista e la militanza nei Gruppi di difesa della donna, organizzazione tutta femminile di sostegno alla Resistenza di cui nel capoluogo piemontese era stata tra le fondatrici.

«Donne spesso semplici e illetterate – ricorda Santina Mobiglia nella postfazione – cresciute nella fatica, che scelsero per la prima volta di unirsi a un movimento collettivo, mentre alcune di loro, già attivamente militanti, avevano alle spalle anni di carcere e persecuzioni sotto il regime fascista».

L’importanza della partecipazione dal basso

Il valore del libro non è soltanto storiografico: un’opera di racconto orale che fa uscire dall’ombra figure rimaste ai margini, lontane dalla borghesia e dagli agi delle avanguardie, per restituire loro dignità. Il valore è anche pedagogico: insegna, come osserva Benedetta Tobagi nell’introduzione, «la portata di una “partecipazione dal basso”, fatta di attenzione ai problemi immediati e concreti, di perseveranza, sacrificio e impegno quotidiano, nelle piccole come nelle grandi cose».

Un anelito alla libertà contro ogni tipo di sopraffazione, che ha avuto quasi sempre il suo prezzo da pagare: se non con la vita, spesso con la povertà e l’isolamento.

Una lezione per il presente

Il saggio agisce come promemoria per il presente: queste autobiografie politiche «rappresentano un ottimo antidoto sia al senso di impotenza, sia a quello di estraneità alla politica, sempre più diffusi. Rappresentano, ieri come oggi, un modello di impegno generoso, coraggioso, disinteressato»: una scelta di vita. Un modello che appare utile non solo per affrontare le tante questioni femminili aperte, dalle disparità salariali alla violenza, fino all’iniqua ripartizione del lavoro di cura e del carico domestico (incredibilmente sempre uguale, ottant’anni dopo), ma anche per imparare un metodo.

Tobagi ricorda una Guidetti Serra anziana, che nel 2006 affermava come le donne non debbano aspirare solo a «contare di più», ma a «contare meglio», ossia a «dire e fare qualcosa di diverso e forse anche di più per rendere la società più democratica e più giusta» per tutti.

Il rimpianto per non aver studiato

Rileggere le testimonianze seguendo questo filo rosso aiuta. Per contare meglio, innanzitutto, bisogna studiare, e il rimpianto per non averlo fatto accomuna tutte. «Sarebbe stata un’altra cosa se avessi avuto più preparazione culturale», commenta Lucia Bianciotto in Scarpone (Pivella-Piera). Il copione sembra sempre lo stesso: bambine già schiacciate dal compito di allevare fratelli e sorelle, di aiutare le madri e poi di correre in fabbrica a guadagnare qualcosa. Per lo studio non c’è spazio e non c’è tempo.

«Ero l’unica bambina che potesse fare da mangiare», dice Odinea Marintze in Comollo. Sono gli uomini, in genere, a istruirle, passando loro «mattoni» da leggere: i grandi russi, da Tolstoj a Dostoevskij, Jack London. Ma l’istruzione carente o assente pesa come un macigno e le inibisce. Sono tenere le testimonianze, anch’esse frequenti, sulla difficoltà di parlare in pubblico e il perenne sentirsi inadeguate.

L’ambiguità del lavoro

Il lavoro, spesso precoce, non libera queste donne dalle convenzioni sociali. Rita Comoglio deve ricorrere a un sotterfugio dietro l’altro per poter uscire di casa e dare il suo contributo alla lotta antifascista. «Non avevo il coraggio di dire a mio padre “faccio questo”, perché sapevo che mi diceva di no». «Se una ragazza avesse dovuto viaggiare sola sui treni diventava una tragedia in un paese come il mio», dice Anna Bonivardi, nome di battaglia Cecilia.

Per molte, il matrimonio coincide con l’addio al lavoro fuori casa. Guidetti Serra suggerisce che siano state le più fortunate. «Il numero delle ore lavorate – spiega – cumulato a quelle necessarie per raggiungere il posto di lavoro, la pesantezza del medesimo, la totale mancanza di servizi di sostegno erano (sono?) tali da rendere addirittura angoscioso il contemporaneo espletamento dei due ruoli». Di lavoratrice e di moglie.

Per molte, però, il lavoro è anche riscatto, apprendimento di un’etica professionale che si rivelerà fondamentale per il movimento. Ci sono le operaie, ma anche le sarte, le ricamatrici, le commesse, le modiste, le piccole impiegate. Donne capaci di apprendere in fretta, svelte e operose. Donne che si definiscono «inattaccabili sul lavoro», vantandosi della loro affidabilità.

Il rapporto con le madri

Nonostante i maestri di lotta politica siano spesso i padri e i compagni, nella molteplicità di figure evocate nei racconti delle compagne spiccano alcune madri. Nel dialogo tra Angiolina Fenoglietto e la figlia Nelia Benissone risuonano gli stessi ideali: i partigiani nascosti in casa, le perquisizioni dei fascisti, le esecuzioni pubbliche, la paura e il senso di ingiustizia davanti ai soprusi.

Aurora Benna in Schlindler è la figlia di Clementina Perone in Parodi, segretaria dell’Associazione giovanile operaia. Nel 1923 Clementina scappa dall’Italia verso la Russia insieme a suo marito e Aurora finisce in collegio. «Lo sapevano che mia mamma era comunista, anche dalle lettere che ha sempre scritto con spirito compattivo», riferisce Aurora, aggiungendo di aver combattuto molto «per non lasciarmi influenzare dalla vita di collegio e dalle monache». Rivede sua madre – una vita segnata da esilio, persecuzioni, prigione e campo di concentramento – soltanto trentadue anni dopo. «Quanto fossi commossa non lo puoi immaginare, ma anche lei non lo era di meno».

Madri combattenti come quella di Lea Baravalle in Nahum, che condividerà con la madre il destino del lavoro in filanda e poi quello durissimo della bracciante in campagna, con i padroni che la trattano come una bestia aprendole la bocca per controllare i denti. La mamma, che perde in guerra ben tre figli maschi, le trasmette la scienza della sua esperienza: «Vai a fare sciopero? Non andare con le mani vuote. Mal che vada prendi una pietra, prendi un bastone!».

La Resistenza delle donne

Con questi vissuti alle spalle, le 51 protagoniste di “Compagne” si accostano al movimento antifascista, ognuna facendo quel che può: azioni di collegamento, organizzazione, informazione, battaglie e anche agguati. Ma c’è una manifestazione a Torino che può essere considerata esemplare: quella promossa dai Gruppi di difesa della donna al cimitero in occasione del funerale delle sorelle Vera e Libera Arduino. Con la loro storia narrata dal fratello Antonio – furono trucidate dai fascisti la notte tra il 12 e il 13 marzo 1945 (Vera era staffetta in montagna, Libera faceva servizio di assistenza alle madri dei partigiani: furono rastrellate in casa insieme al padre e ad altre persone) – si apre la collezione di interviste. Alle esequie si presentò qualche centinaio di donne, con mazzi di fiori, «tutte con qualcosa di rosso».

Sono le donne che il 14 luglio 1945 riuscirono a organizzare il grande sciopero femminile per ottenere la parità di indennità di contingenza con gli uomini. Migliaia di lavoratrici che si radunarono in corteo e invasero l’Unione industriale di Torino. Ne parlano in diverse, nel libro. A riprova che quella delle donne contro il fascismo fu sempre una lotta dentro molte lotte, e per questo più faticosa: per la libertà dalla dittatura, ma anche per la giustizia sociale e la parità di diritti e di opportunità. Una Resistenza al cubo. Alcune alla fine si ritireranno nel privato, stanche. Altre non smetteranno mai. Come Maria Grisino: «A settant’anni ho detto: “Adesso basta lavorare!”. L’attività politica, fin che posso; a quella non ci rinuncio».

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Titolo: “Compagne. Testimonianze di partecipazione politica femminile”
Autrice: Bianca Guidetti Serra
Editore: Einaudi, 2025 (prima edizione 1977)
Prezzo: 16,50 euro

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