Letteratura, la sorellanza delle righe nelle lettere di Anna Maria Ortese a Marta Maria Pezzoli

La scrittura si fa confidenza per surfare sulle onde della nostalgia e del buio. “Vera gioia è vestita di dolore” propone le lettere inedite, scritte dal 1941 a inizio 1944, che Anna Maria Ortese invia a Marta Maria Pezzoli. Le due donne hanno solo quattro anni di differenza (l’autrice de “Il mare non bagna Napoli” è nata nel 1914, nel 1918 la sua confidente), si conoscono a Bologna e ne nasce una corrispondenza, che è sorellanza viva e tenera: «Ti sono così grata di essermi vicina in questo tempo difficile, sola sorella», scrive Anna Maria a Mattia, il nomignolo dell’affetto.

«Questo epistolario – spiega la curatrice Monica Farnetti – ci permette di esplorare un’area specialmente protetta della vita di una donna quale è quella della confidenza con una sua simile resa partecipe testimone di primo grado della propria intimità e del proprio divenire» e offre una quotidianità che è ancora attuale, anche se la scrittura più distesa di queste lettere mostra come – a differenza della brevità dei nostri whatsapp – le parole sappiano curare ed esaltare i sentimenti.

La scrittrice racconta il suo quotidiano, i fratelli e le sorelle che lasciano vuota la casa, i racconti che manda alle riviste, le poesie sulle quali chiede il commento di Mattia. Fra loro c’è uno scambio intellettuale alto: anche Mattia, liceo classico e laurea in lettere alle spalle, scrive poesie, legge e recensisce e ha il coraggio di stroncare “Nessuno torna indietro” di Alba de Céspedes, sulla rivista bolognese Architrave. La letteratura alimenta l’amicizia perché le parole hanno anima, come pure certa letteratura del passato: «Il Convivio di Dante ha qualche parola che fa per me», scrive la Ortese, ma riconosce tutta la sua tristezza: «Tu sei buona perché umile e io con le mie parole ti turbo. Perdonami, tu hai il bene che lasciandomi parlare mi fai».

La sorellanza delle righe arriva al cuore e le due donne confessano le loro pene d’amore: Mattia pensa a un aviatore che anche le risponde qualche volta, mentre Anna Maria non si toglie dalla testa Alfonso Gatto: «Io amo isolare adesso la mia immagine, spezzare i ponti che ricollegano la mia povera strada a quella terra beata, a quella specie di nuvola che è stato quell’uomo. Ora basta non ne parlerò più». Cerca di andare oltre, di bearsi del cielo smaltato e di sere fresche come una fontana ma, confessa, «ho sempre la sensazione umiliante e penosa di essere ammalata» e «forse la misura la troverei amando un uomo e dei figli, non credi? Io sono come un albero che vuole mettere in cielo le sue radici, povero albero, solo la terra è per esso. Di questo, credo, io soffro».

Eppure, febbri e dolori a parte, a vincere è l’amore: «Amare tutti, ecco il primo obbligo per giungere a questo essere semplici, continuamente puri, tranquilli, sereni. Il risultato sarà splendido, sarà un’ebbrezza mai sognata». E la scrittura della Ortese vola, anche se sono semplici lettere a un’amica diletta e a noi non resta che ascoltarla: «Scrivere è uguale al canto raccolto e disperato del mare, nelle insenature segrete. È il rifugio triste, non è la vita. Vorrei essere dove voi tutti siete». Perché essere insieme è calore, è ebbrezza, quella alla quale le due donne anelano scrivendosi, confessandosi: «Spero che sempre fino alla fine Iddio mi faccia conoscere la santa disperazione che porge alle creature il bicchiere d’ebbrezza e apre loro gli occhi sul mare della realtà. Vera gioia, è vestita di dolore. Vero dolore, è vestito di gioia. Sentire, sentire, sempre più sentire. Io non desidero altro». Ecco, sentire ci rende umani. Non abbiate paura di vibrare di mare, luce e parole. E scrivetene tante di parole, oltre l’effimero dei whatsapp.

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Titolo: “Vera gioia è vestita di dolore. Lettere a Mattia”
Autrice: Anna Maria Ortese
Curatrice: Monica Farnetti, con una nota di Stefano Pezzoli
Editore: Adelphi, 2025
Prezzo: 14 euro

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