Le donne lavorano di più. Le statistiche continuano a gridarci un divario che persiste negli anni soprattutto nel lavoro di cura non retribuito fra donne e uomini.
Secondo il rapporto mondiale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, le donne italiane si fanno carico della quasi totalità (74%) del tempo dedicato all’assistenza e alla cura della persona non retribuite: oltre 5 ore di lavoro al giorno a titolo gratuito, contro le neanche 2 ore degli uomini.
Ma quanto valgono queste 3 ore in più? Moneyfarm, società di consulenza finanziaria con approccio digitale, ha voluto fare un esercizio di calcolo per dare un valore economico all’impegno quotidiano delle donne in famiglia. Per quantificare questo lavoro “extra” di 3 ore al giorno la società ha usato la stima Inapp dell’introduzione di un salario minimo legale a 9 euro lordi all’ora. Quindi se alle donne venisse corrisposto un salario minimo di 9 euro all’ora per 5 giorni alla settimana, a fine anno una lavoratrice potrebbe contare su circa 7.000 euro lordi in più.
Dal divario retributivo al divario pensionistico
Una cifra che certo non può sanare il divario retributivo di genere certificato solo la settimana scorsa dall’Inps in un 20% in meno delle buste paga delle donne. Dato che poi si riflette anche sulle pensioni. Sempre l’Inps a settembre aveva rilevato come nel 2023 la pensione media sia stata pari a 1.750 euro lordi per gli uomini e 1.069 euro lordi per le donne, ossia, rispettivamente, circa 1.430 e 947 euro netti.
Il divario retributivo, quindi, cresce nel periodo pensionistico al 36% circa. Un dato che «non è riconducibile tanto al tasso di sostituzione netto, cioè al rapporto tra la retribuzione pensionistica netta e l’ultima retribuzione netta da lavoro dipendente o autonomo, sostanzialmente sovrapponibile tra uomini e donne, quanto al gap retributivo di genere e alla discontinuità lavorativa, che penalizzano pesantemente le lavoratrici italiane» spiega Moneyfarm in una nota.
Buste paga più leggere
Secondo l’edizione 2023 dell’Osservatorio INPS sui lavoratori dipendenti del settore privato, la retribuzione media annua degli uomini è infatti pari a 26.227 euro contro i 18.305 euro delle donne, con una differenza di quasi 8.000 euro all’anno che si traduce inevitabilmente in un assegno più basso per le future pensionate.
Il divario salariale di genere inizia solitamente a manifestarsi quando le donne raggiungono l’età in cui si è impegnati a costruire una famiglia: il tema è dunque strettamente legato al costo “sommerso” della cura di figli e familiari.
Rinunciare all’impiego fuori casa
Proprio a causa del carico di lavoro legato alla cura della famiglia, il 21% delle donne italiane in età lavorativa dichiara di non cercare attivamente un impiego o di non essere disponibile a lavorare.
Nel complesso, le donne tra i 30 e i 59 anni hanno un tasso di occupazione medio del 63% circa, contro l’83% degli uomini, ma per le madri di bambini di età inferiore ai sei anni il tasso di occupazione cala al 53,3%.
Le madri con tre o più bambini piccoli lavorano in media 3 ore in meno rispetto alle donne senza figli o con figli più grandi e addirittura nove ore in meno rispetto agli uomini senza figli.
Le disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro in Italia restano evidenti, anche rispetto a Paesi europei come Francia e Germania, dove la percentuale di lavoro non retribuito di assistenza e cura svolto dalle donne è inferiore di oltre 10 punti percentuali (Francia 61% e Germania 62%).
Pensioni integrative
Sul fronte della previdenza complementare la situazione non è migliore: se degli oltre 24,2 milioni di cittadini in età lavorativa (nati tra il 1965 e il 1994), quelli che hanno un fondo pensione sono solamente il 26%, tra le giovani donne di età compresa tra i 30 e i 39 anni il tasso di adesione alla previdenza integrativa crolla al 17%. Il motivo è da ricondurre non soltanto al fatto che le giovani lavoratrici aderiscano meno degli uomini ai fondi pensione (27% vs 33%), ma soprattutto, ancora una volta, al fatto che vi siano ben 17 punti di tasso di occupazione a separarle dai loro coetanei uomini.
«Il lavoro di cura a titolo gratuito ha un impatto diretto sul reddito delle donne, dal momento che limita le ore di lavoro retribuito e la possibilità di accumulare risorse per il futuro: il divario di ore lavorate si traduce infatti in minori guadagni e minori contributi previdenziali versati rispetto agli uomini, quindi in una pensione futura più bassa. La maternità, le pause lavorative per crescere i figli o il caregiving possono influire significativamente sulla costruzione di un patrimonio solido e su una pensione adeguata. Queste variabili rendono essenziale un approccio personalizzato alla pianificazione finanziaria e previdenziale, per assicurarsi che le donne possano proteggere e far crescere il loro capitale nel tempo, nonostante le difficoltà e gli imprevisti che potrebbero emergere durante il cammino» commenta Patrizia Franchi, investment consultant manager di Moneyfarm.
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