Sordità, l’intervento di impianto cocleare raccontato in “Facciamo rumore”

Dall’esperienza della community online “The Deaf Soul”, fondata da Chiara Buccello e Ludovica Billi e dedicata alla comunicazione e informazione sulla disabilità uditiva, nasce il libro “Facciamo rumore”, edito da Flaco edizioni. Una guida attraverso due vite che si sono costruite abbattendo, un mattone dopo l’altro, il muro del silenzio e quello degli stereotipi. Un viaggio intimo e personale di due giovani donne uscite dall’ombra per conquistare il proprio spazio vitale. Un invito a quanti condividono la loro condizione a fare lo stesso. Ne parliamo con una delle due autrici: la siciliana Chiara Buccello.

Chiara, come nasce questo lavoro? Perché un libro sulla sordità?
L’idea in realtà nasce da una proposta dell’editore che ci ha contattate per chiederci di lavorarci. L’obiettivo principale è sicuramente sensibilizzare il pubblico per superare i pregiudizi e gli stereotipi associati alla sordità. Molte persone credono erroneamente che essere sordi significhi essere incapaci o limitati. Raccontando la nostra esperienza, speriamo di dimostrare che la sordità non definisce il valore o le capacità di una persona. Vogliamo rompere il silenzio.

E quindi fare rumore…
Esatto. Il mio intento in particolare è sottolineare l’importanza di fare rumore nella vita di una persona sorda. La sordità è una realtà per milioni di persone come me, spesso fraintesa e stigmatizzata come anormalità. Ma è tempo di cambiare prospettiva. Ogni giorno affronto non solo la mancanza di suoni, ma anche pregiudizi e barriere sociali. La società tende a marginalizzare ciò che non comprende, trasformando una condizione normale, come la mia, in un ostacolo.

Nel libro scrivi della prima volta in cui hai potuto chiaramente distinguere i passi della tua cagnetta Sophie, dopo l’intervento per l’impianto cocleare. Questo è solo uno dei tanti passaggi intimi che ricorrono lungo le pagine di questo racconto: quanto è costato scrivere e mettersi così a nudo?
È stato sicuramente impegnativo perché ci ha fatto rivivere ricordi dolorosi, ma anche meravigliosi. Non è mai semplice avere a che fare con una ipoacusia e soprattutto parlarne: spesso ci si vergogna, è difficile accettarlo e in certi casi si arriva persino ad incolparsene. Nel raccontare la nostra storia, ripetiamo sempre che la cosa migliore è essere spontanei, senza filtri. Dal punto di vista personale, l’impianto mi ha permesso di percepire i suoni in modo nuovo e di interagire con il mondo in maniera più diretta. Ho potuto ascoltare le voci delle persone care, la musica e i suoni della natura, esperienze che prima erano limitate o assenti. Questo ha migliorato notevolmente la mia qualità di vita, permettendomi di essere più indipendente di partecipare più attivamente alle conversazioni e alla vita sociale in generale.

Nel libro dedicate molto spazio al tema dell’intervento, che associate a una sorta di rinascita…
È così. Prima dell’impianto cocleare, io utilizzavo delle protesi acustiche che, crescendo, hanno cominciato a funzionare sempre meno. Non conoscevo nessuno che avesse fatto un impianto cocleare e non avevo modo di confrontarmi con altre esperienze per decidere. Alla fine, ho scelto di affrontare l’intervento, qualunque fosse stato l’esito: era l’unica soluzione disponibile. Dopo l’operazione è stato necessario un periodo di riabilitazione e di apprendimento per abituarmi ai nuovi suoni e sfruttare al massimo il dispositivo. La determinazione e il supporto di mia madre e dei professionisti sanitari che mi hanno accompagnata sono stati fondamentali. L’impianto cocleare ha avuto un impatto profondamente positivo sulla mia vita, migliorando non solo la mia capacità di sentire, ma anche la mia autostima e le mie prospettive future. Ha rappresentato una svolta che mi ha permesso di fare “rumore” nel mondo in modi che prima erano inimmaginabili.

Un altro aspetto che emerge con forza dal racconto è il ruolo delle vostre madri.
Sì, e vale lo stesso per Ludo: mia madre è stata il mio pilastro, la mia guida. Fin da piccola, mia madre ha creduto in me e nelle mie capacità, nonostante le sfide legate alla sordità. La sua determinazione e il suo incoraggiamento mi hanno spinta a superare gli ostacoli e a non arrendermi mai. Ha sempre cercato le migliori soluzioni per me, sia dal punto di vista medico che educativo e ha sempre lavorato instancabilmente per assicurarsi che avessi accesso a una buona istruzione e alle opportunità necessarie per sviluppare le mie potenzialità. Senza il suo amore, il suo sostegno e la sua incrollabile fiducia in me, non sarei la persona che sono oggi. Le devo molto di ciò che ho raggiunto e continuo a ispirarmi al suo esempio ogni giorno.

Qual è il passaggio di “Facciamo rumore” a cui sei legata di più?
La parte in cui parlo del mio coming out della sordità: una liberazione!

Quali sono i prossimi progetti di Chiara e Ludovica?
Vogliamo continuare sulla strada intrapresa per contribuire, nel nostro piccolo, a rispondere in modo rapido e inclusivo a tutti gli stimoli che ci arrivano, nelle sue mille sfaccettature, dal mondo esterno attraverso il progetto di The Deaf Soul. Vogliamo continuare a comunicare in modo accessibile alle persone con disabilità uditiva, nell’intento di raggiungerne il più possibile e non far sentire nessuno escluso. Per questo promuoviamo costantemente campagne di sensibilizzazione sul web e sui social, concentrandoci sulla diversità all’interno dei brand e verificando che le aziende stiano effettivamente lavorando per essere più inclusive.

Oggi hai trent’anni e un lavoro in Sky (al tema del lavoro e delle sue difficoltà dedicate uno spazio apposito all’interno del libro) ma, a proposito di progetti, come vedi Chiara tra dieci anni?
Non saprei come vedermi da qui a dieci anni, anche perché penso sempre al presente, mai al futuro né al passato!

Perché leggere “Facciamo rumore”?
Esprimersi e fare rumore sono atti di coraggio contro l’isolamento e la marginalizzazione. Uscire dall’ombra significa anche educare la società. Molti non sanno cosa significhi vivere senza suoni, né comprendono le sfide quotidiane che affrontiamo. È fondamentale promuovere una maggiore consapevolezza e comprensione. Non chiediamo pietà, ma rispetto e inclusione.

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