Nuovo anno accademico, stessa storia: vivere e studiare nella stessa città sta diventando un lusso. A denunciarlo sono proprio gli studenti e le studentesse fuorisede che, dopo aver portato all’attenzione delle istituzioni il tema dell’emergenza abitativa con le proteste delle tende, non smettono di rivendicare il diritto alla casa chiedendo politiche abitative pubbliche capaci di arginare il continuo dilagare di Airbnb. Come evidenziano i dati raccolti nell’indagine “Affitti studenti: cari, senza regole, tutele e benefici fiscali”, realizzata dall’Unione degli universitari (Udu) in collaborazione con Cgil e Sunia, il 62% dei fuori si dice in difficoltà nella ricerca di una casa. Per i 600.000 studenti universitari fuori sede non pendolari, l’affitto di un posto letto o di una camera incide sul loro budget fino all’80%.
Oltre ai costi insostenibili del mercato privato – a Milano vengono richiesti da 400 euro per un posto letto a 700 euro per una camera singola. A Roma da 300 a 700 euro – il report indica che a peggiorare la situazione contribuiscono «la prevalenza di forme di irregolarità, illegalità ed elusione fiscale, un quasi inesistente supporto pubblico». L’incremento dei prezzi degli affitti per i fuorisede si lega a doppio filo all’overtourism – il turismo di massa che rende invivibili, a livello economico e sociale, alcune aree – e la crescente offerta di affitti brevi che ne consegue.
Si tratta di aspetti correlati e a più dimensioni che hanno in comune il fatto di vincolare fortemente il diritto allo studio alla capacità di sostenere i costi abitativi: un tema che non vede la sua risoluzione nel presunto conflitto tra studenti e turisti – conseguenza della situazione attuale – ma nell’ascolto di quello che studenti e studentesse (ma anche lavoratori e lavoratrici fuori sede) chiedono. Politiche abitative adeguate, a partire dall’housing universitario.
Vivere fuorisede, +7% nel costo degli affitti per le stanze singole
I rincari degli affitti, oltre ad essere sostanziali, sono diffusi in quasi tutte le principali città universitarie: il dato complessivo nazionale, registrato dall’ultimo rapporto Immobiliare.it Insight, riporta un +7% nel costo degli affitti per le stanze singole rispetto allo scorso anno. Una crescita dovuta soprattutto al forte incremento della domanda, in aumento del 27% sul 2023, da parte dei fuorisede alla ricerca di un alloggio per il nuovo anno accademico alle porte.
«I dati della domanda, in costante crescita, dimostrano come quello delle stanze sia sempre un mercato molto redditizio per i proprietari – afferma Antonio Intini, chief business development officer di Immobiliare.it – Da qui la tendenza al rialzo dei prezzi che osserviamo ormai da diversi anni e che non ha ancora terminato la sua corsa, soprattutto nelle città più gettonate che, ad ogni modo, vivono un momento di crescita dei valori in tutto il comparto e non solo in quello dei posti letto».
Milano si conferma il centro più oneroso. Per la locazione di una stanza singola vengono chiesti 637 euro al mese, in crescita del 4% rispetto a un anno fa. Nei quartieri Garibaldi, Moscova e Porta Nuova – i più cari – si arriva a 747 euro mensili. I prezzi elevati, però, sgonfiano la domanda: il capoluogo meneghino, con un calo dell’1% in 12 mesi, è una delle pochissime aree in tutta Italia (insieme a Padova, Novara e Ancona) a registrare un decremento dell’interesse. «Ho lasciato casa perché gli aumenti degli affitti, il mio compreso, hanno reso la situazione economicamente insostenibile pur lavorando part-time. Farò l’ultimo anno da non frequentante, oppure valuterò di richiedere l’iscrizione part-time in ateneo, così da tornare a Milano solo per poter sostenere gli esami» dice ad Alley Oop Chiara, studentessa all’Università di Milano-Bicocca.
Situazione opposta a Roma, dove invece la domanda è in forte crescita (+62%) nonostante i canoni si siano alzati del 9% in un anno, superando di poco il tetto dei 500 euro al mese per una stanza singola. «Se fino a qualche anno fa con circa 450 euro riuscivo a vivere serenamente in una singola a Testaccio, adesso devo considerare almeno un centinaio di euro in più al mese. Spese escluse» racconta Giorgio, ex studente all’università Roma Tre e adesso lavoratore fuori sede. Lo confermano i dati: la zona Parioli-Flaminio resta la più onerosa con 647 euro al mese, seguita da Testaccio-Trastevere (614 euro) e da Salario-Trieste (603 euro).
Non va meglio nelle città con un’importante tradizione universitaria. Bologna è al secondo posto per il costo di una singola con 506 euro al mese (in rialzo del 5% in un anno). A Venezia servono invece 417 euro mensili (+10% verso l’anno scorso) – «troppi, anche per la qualità della vita in città oggi» sottolinea Arianna, studentessa all’Università Ca’ Foscari – mentre a Padova, dove la domanda è diminuita nell’anno del 32%, i prezzi sono cresciuti del 14% nello stesso periodo, superando di poco i 440 euro.
Fonte: rapporto Immobiliare.it Insight
Con l’aumento degli affitti brevi gli studenti preferiscono il sud
Per chi in questi mesi pre-Giubileo cerca a Roma una casa in affitto, non sarà una novità: trovare anche solo una stanza singola diventa sempre più difficile. Nelle mappe di Airbnb i puntini che indicano le soluzioni da una notte sono in costante aumento e, come indica lo studio del 2023 del think tank Tortuga “Airbnb e il mercato immobiliare italiano”, a un incremento dell’1% di annunci di Airbnb si lega un aumento del 5,7% degli affitti. Anche all’estero accade lo stesso. Secondo uno studio dell’Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW), Berlino è tra le città dove l’incremento degli affitti brevi ha maggiormente accentuato l’emergenza abitativa: ogni alloggio su Airbnb in più aumenta gli affitti richiesti nelle immediate vicinanze di una media di 13 centesimi al metro quadro.
Intanto, in Italia, per iniziare a controllare il fenomeno degli affitti brevi, dal 1° settembre è in vigore il Cin, il “codice identificativo nazionale” di cui si deve dotare chi mette un immobile in affitto per periodi brevi: dovrà essere esposto in ogni annuncio ed essere visibile anche fuori dall’edificio tramite apposito bollino. Il Cin si richiede tramite l’iscrizione alla Banca dati nazionale delle strutture ricettive e degli immobili in locazione breve e per finalità turistica (Bdsr), gestita dal ministero del Turismo. L’obiettivo è tracciare su scala nazionale le locazioni turistiche inferiori a 30 giorni, raccogliendo le informazioni sugli immobili e i dati di chi mette in affitto, e consentire ai clienti di verificare l’autenticità del CIN di un locatore attraverso la piattaforma per gli affitti brevi.
Il nuovo sistema punta ad arginare la crisi abitativa in molte città turistiche, in cui l’affitto ai turisti converrebbe di più per due motivi: maggiore guadagno e nessun rischio di morosità. Un dato evidenziato già nel 2022 dall’elaborazione che Il Sole 24Ore ha richiesto a Scenari Immobiliari: dal confronto con i rendimenti derivanti da affitti brevi o a studenti in 12 città italiane e in quattro zone rappresentative del mercato delle locazioni, emerge che i rendimenti lordi di un trilocale per l’ospitalità turistica superano il 4% rispetto al 3-3,5% degli affitti a studenti. Rendimenti che, nel caso dei bilocali – meno gettonati dagli studenti – possono salire anche tra il 5-6%.
I costi degli alloggi in continua crescita nelle grandi città hanno conseguenze dirette per chi vive fuorisede e stanno portando sempre più studenti a scegliere le università del sud e delle isole, situate in città meno costose e più vicine alle residenze familiari: qui, secondo i dati Censis, le immatricolazioni sono aumentate del 4,2%. Nelle grandi metropoli, invece, diminuiscono le iscrizioni: nelle università del nord-ovest si registra un calo del 2,5% che, per gli atenei del centro Italia, arriva al 3,6%. Il sud, oltre che prediletto per le nuove iscrizioni, è anche il più apprezzato dagli studenti per diversi parametri (borse di studio, servizi, strutture, comunicazione): l’università della Calabria si colloca al vertice della classifica Censis dei grandi atenei statali (da 20.000 a 40.000 iscritti) con un punteggio totale di 92,2. Superiore a quello dell’Università di Pavia (89,5) che retrocede in seconda posizione.
Residenze universitarie in affitto ai turisti, il caso Venezia
Le scelte degli studenti stanno cambiando perché, insieme all’insostenibilità degli affitti, mancano residenze universitarie in numero adeguato. E, quando ci sono, il rischio è che si verifichi quello che è accaduto a Venezia: tra gli alloggi turistici irregolari scoperti in città nelle ultime settimane c’è anche uno studentato, il Santa Marta dell’Università Ca’ Foscari gestito dalla società Camplus. Come emerso dai controlli della guardia di finanza e della polizia locale, lo studentato affittava 28 stanze ai turisti in visita alla città per 150 euro a notte, per un arco di tempo da una a sette notti. Per realizzare l’housing universitario – si legge dal sito di Cassa depositi e prestiti – sono stati utilizzati fondi pubblici dal valore di circa 30 milioni di euro.
«È inaccettabile che di fronte all’emergenza abitativa che migliaia di studenti affrontano, ci siano studentati che violino la normativa vigente – chiarisce in una nota il principale sindacato studentesco, l’Unione degli universitari – L’investimento nelle residenze è diventato troppo spesso un modo per speculare sulle spalle della comunità». Dare un alloggio a un turista in uno studentato privato, specifica il sindacato studentesco, non è vietato ma è indicativo delle priorità perseguite dall’ente che dovrebbe garantire il diritto allo studio: lo stesso che ha portato nuovamente gli studenti a protestare davanti allo studentato Santa Marta lo scorso 28 agosto «per affermare che vogliamo vivere e studiare nella stessa città, senza essere trattati da turisti».
Fondi Pnrr per le residenze universitarie, a che punto siamo
L’obiettivo stabilito dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è quello di realizzare 60mila nuovi posti letto entro il 30 giugno 2026, con uno stanziamento di 1,2 miliardi. Tuttavia, dall’analisi dell’Udu “Diritto al profitto”, emerge che i primi 300 milioni che sono già stati erogati non sono stati utilizzati per realizzare 7.500 posti letto entro il 2022 (come indicato dal Ministero dell’università e della ricerca) bensì meno di 5 mila. «I nuovi posti letto sono meno di 5 mila – denunciano gli studenti nel report – Molti erano posti letto già esistenti che, semplicemente, sono stati censiti per la prima volta».
Secondo l’analisi di Cassa depositi e prestiti, oggi ammonta a 830mila unità la popolazione studentesca universitaria fuorisede. I posti letto in residenze pubbliche, tuttavia, sono solo 40mila. Un numero che non riesce a raggiungere il fabbisogno richiesto. «I posti letto destinati al diritto allo studio universitario – sottolinea Udu – hanno toccato il picco numerico nel 2018, momento dal quale il numero ha subito una drastica diminuzione continua fino al 2022. Si passa da 43.136 posti letto nel 2018 a 40.069 nel 2022».
Numero dei posti letto nelle residenze universitarie dal 2018 al 2022
Inoltre, dalla ricerca, emergono ambiguità sulla destinazione d’uso delle residenze universitarie e le modalità attraverso cui vengono assegnate le risorse: il 75% dei posti letto finanziati fino al maggio 2023 erano stati realizzati da enti privati. Questo, spiegano gli studenti, significa che i privati possono essere liberi di destinarli o meno al diritto allo studio. Il ministero dell’Università e della Ricerca – con il decreto ministeriale n. 469 del 12-05-2023 – raccomanda “prioritariamente” di assegnare i posti sulla base delle graduatorie di merito e di diritto allo studio, ma non ci sono vincoli giuridici. La normativa precedente, contenuta dal decreto ministeriale n.937 del 2016, prevedeva che almeno il 20% dei posti letto co-finanziati dallo Stato dovessero “obbligatoriamente” essere destinati a studenti in stato di necessità.
Un piano per la realizzazione di studentati pubblici e partnership trasparenti tra pubblico e privato: è questo che chiedono gli studenti che, nel frattempo, hanno pubblicato una “Guida agli affitti per studenti fuorisede” (realizzata da Udu, insieme a Cgil e Sunia). «Questa emergenza non si risolverà da sola – scrive l’Unione degli universitari – anzi tenderà a peggiorare a causa dell’aumento degli studenti fuorisede. L’indifferenza del governo lo rende colpevole della crisi abitativa, per questo chiediamo a Salvini e Bernini di aprire gli occhi e affrontare finalmente l’emergenza abitativa».
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