L’Italia è tra i 9 Paesi dei 27 Ue che non hanno firmato la dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità Lgbtq+. Il rifiuto ha provocato aspre critiche da parte del mondo politico mentre il mondo delle aziende ribadisce il proprio impegno a creare ambienti lavorativi accoglienti e rispettosi per tutti. Intanto però si assiste a un generale arretramento nei diritti, come testimoniato dalle 2 posizioni perse dall’Italia nella Rainbow Map di Ilga-Europe, e all’avanzare di violenze e crimini d’odio.
Passo indietro
A ridosso della Giornata mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia (o Idahobit, che dal 2004 cade ogni 17 maggio), l’Italia ha scelto di non firmare la Dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità lgbtq+. L’Italia non è stato l’unico Paese a fare mancare il suo appoggio. Presentato dalla presidenza di turno belga del Consiglio ai governi Ue, il testo non ha ricevuto il sostegno di 9 Stati su 27, tra cui vari dell’Europa orientale.
Solo lo scorso 7 maggio, l’Italia aveva aderito alla dichiarazione contro l’Omofobia, Transfobia, Bifobia del Servizio di Azione Esterna Ue e dei 27. Tuttavia, fonti del ministero per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità hanno spiegato all’Ansa che l’Italia non avrebbe firmato la più recente dichiarazione perché di fatto sbilanciata sull’identità di genere, quindi sostanzialmente il contenuto del disegno di legge Zan.
Qui Bruxelles
A livello internazionale il testo, redatto proprio in occasione dell’Idahobit, è stata presentato in una conferenza ad alto livello a Bruxelles. Per l’occasione si è discusso dei progressi e degli ostacoli all’attuazione della strategia dell’Ue sulla parità di diritti delle persone lgbtq+ e della via da seguire per la prossima Commissione.
L’incontro cade in un momento cruciale: manca poco, infatti, alla fine dell’attuale mandato del Parlamento europeo e dell’attuale collegio dei commissari della Commissione europea, che per la prima volta include un commissario specificamente incaricato dell’uguaglianza.
La riunione ha portato alla firma da parte di 18 Stati membri della dichiarazione congiunta sulla continua promozione dei diritti umani delle persone lgbtq+. I firmatari – per la precisione Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia – si sono dunque impegnati ad attuare strategie nazionali per le persone lgbtq+, oltre che a sostenere la nomina di un nuovo commissario per l’uguaglianza quando sarà formata la prossima Commissione. Tale organo è stato inoltre invitato a perseguire e attuare una nuova strategia per migliorare i diritti delle persone lgbtiq+ nel corso della prossima legislatura, stanziando risorse sufficienti e collaborando con la società civile.
Le reazioni
Le reazioni alla mancata firma in Italia non si sono fatte attendere.
Nel mondo aziendale, Parks – Liberi e Uguali ha appreso con delusione la notizia che l’Italia non fosse tra i Paesi che hanno sottoscritto la dichiarazione sulla promozione delle politiche europee a favore delle comunità lgbtq+. «Le aziende e le istituzioni associate a Parks – ha dichiarato Igor Suran, direttore esecutivo di Parks – Liberi e Uguali, ad Alley Oop – continueranno con il loro impegno nella creazione dei luoghi di lavoro inclusivi in cui tutte le persone potranno liberamente esprimere il loro orientamento affettivo e sessuale e vivere con dignità la loro identità di genere». Parks è un’associazione che si pone l’obiettivo di aiutare le aziende a promuovere le proprie politiche di inclusione e, a breve, terrà il suo business forum, Lgbt+ People at Work. L’appuntamento annuale, arrivato alla sua decima edizione e in programma il 29 maggio, sarà l’occasione per fare il punto sulle principali questioni lgbtqia+, cercando di favorire l’inclusione e di combattere i pregiudizi più diffusi.
Dure critiche al governo sono arrivate dalla politica e, in particolare, da parte dei partiti di opposizione. La segretaria del Pd Elly Schlein, a margine di un evento, ha accusato il governo di “fare campagna elettorale sulla pelle delle persone discriminate”. Secondo il leader del M5S Giuseppe Conte l’Italia avrebbe “deciso di inseguire il modello culturale orbaniano”, in riferimento al primo ministro ungherese Viktor Orbán, noto per le sue posizioni anti-lgbtq+. “Questa destra ci ha ufficialmente posizionato tra i Paesi che discriminano i suoi cittadini”, è stato invece il commento fatto dallo stesso Alessandro Zan, primo firmatario della legge contro l’omotransfobia, sui suoi profili social.
In Italia
Intanto l’Italia perde posizioni nella Rainbow Map di Ilga-Europe, organizzazione non governativa che lotta per l’uguaglianza e il rispetto dei diritti umani. Ogni anno la sigla, che riunisce oltre 600 organizzazioni provenienti da 54 nazioni dell’Europa e dell’Asia centrale, classifica i Paesi in base alle rispettive leggi e politiche per le persone lgbtq+. Nell’edizione aggiornata, l’Italia si posiziona al 36esimo posto su 49 Paesi europei, in materia di uguaglianza e tutela dei diritti. Con un punteggio che va da 0 a 100%, e una media dell’Ue pari a 50,60%, l’Italia ha ottenuto un risicato 25,41%.
Rispetto all’edizione precedente del 2023, l’Italia è scesa di due gradini e oggi si piazza tra Lituania e Georgia. Questo calo è dovuto a diversi fattori, spiega Ilga-Europe. Pesano lo stallo delle politiche sulla protezione legislativa in materia di diritti lgbtq+ e gli attacchi alle famiglie arcobaleno. Mentre il dibattito pubblico sul tema dei diritti diventa sempre più ostile, con esponenti del governo (dall’agenda socialmente conservatrice) che hanno espresso a più riprese negli ultimi mesi posizioni contrarie ai diritti della comunità lgbtq+.
L’Italia, ricordiamo, ha un disegno di legge che vuole rendere la maternità surrogata un “crimine universale”, così grave da essere perseguito anche se commesso all’estero. Nessun altro Paese ha un divieto simile. Tema che per altro non riguarda solo la comunità Lgbtq+.
In ambito lavorativo, un sondaggio di Istat-Unar ha rilevato che 1 persona lgbtq+ su 4 ha subito discriminazioni sul lavoro. Il 34,1% dei rispondenti ritiene che il proprio orientamento sessuale l’abbia svantaggiato nel corso della vita lavorativa in termini di riconoscimento e apprezzamento delle proprie capacità professionali; il 30,8% rispetto ad avanzamenti di carriera e crescita professionale
Il già fragile status della comunità Lgbt italiana è intaccato anche da un aumento delle violenze. Dalle analisi dei dati sulle consulenze e prese in carico di di Gay Help Line, emerge che gli episodi di discriminazione e odio sono cresciuti del 34% mentre la violenza verso le persone gay, lesbiche, trans e non binarie è intercorsa nel 53% dei casi totali. Risultano in aumento al 27% gli attacchi a coppie dello stesso sesso in luoghi pubblici.
Nel mondo
L’omobistransfobia non si arresta e, anzi, sembrerebbe crescere in maniera sostanziale in tutta Europa. Lo testimoniano gli ultimi dati dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra). Bullismo, molestie e violenza rimangono minacce costanti e sono aumentati nella vita di tutti i giorni. 1 persona lgbtq+ su 10 ha subito violenze, in leggero aumento rispetto alla rilevazione precedente di 5 anni fa.
Il numero di persone che hanno subito attacchi d’odio, comprese aggressioni fisiche e sessuali, nei 5 anni precedenti l’indagine è aumentato dall’11% nel 2019 al 14% nel 2023. Oltre 2 persone su 3 dichiarano di essere state vittime di bullismo a scuola, in tutti i paesi dell’UE, segnando un forte aumento rispetto alla precedente statistiche che era di 1 su 2 nel 2019. Infine solo 1 intervistato su 4 ritiene che il proprio governo stia combattendo i pregiudizi e l’intolleranza nei confronti delle persone Lgbtiq.
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