Quanto il lavoro pesa sulla nostra salute?

Trascorriamo in media un terzo del tempo a lavorare (più di 90 mila ora nell’arco della vita). Di conseguenza, l’occupazione è un tassello fondamentale della nostra salute. Secondo l’ultima indagine del Mckinsey Health Institute “Working nine to thrive”, le organizzazioni possono avere un impatto diretto sul benessere fisico e psicologico delle persone. Autoefficacia, adattabilità e senso di appartenenza sono considerati dallo studio i maggiori indicatori di buona salute. Viceversa, ambienti tossici, ambiguità e conflittualità sono nemici del lavorare (e vivere) bene. Le aziende, in particolare, possono agire su sei elementi: interazione sociale, mindset e convinzioni, attività produttiva, stress, sicurezza economica e sonno. Guardiamo in dettaglio.

Socialità, mindset e ricerca di senso

Le interazioni sociali sul lavoro influenzano fortemente la salute dei dipendenti: far parte di un ambiente innovativo, con buone dinamiche di team, aiuta a sentirsi meglio. Per stimolare la creazione di ambienti inclusivi, leader e manager sono chiamati non solo a dare il buon esempio, ma anche ad attivare una serie di strategie come: tolleranza zero nei confronti di comportamenti tossici ed escludenti, introduzione della cultura del feedback, anche in forma anonima (purchè si tratti di segnalazioni concrete e circostanziate), e istituzione di incontri individuali con i dipendenti per indagare aspettative e bisogni e definire le priorità.

Anche stimolare l’autoefficacia e la capacità di adattamento possono fare la differenza. Diversi studi citati dal report dimostrano, infatti, che le persone possono tollerare meglio lo stress di una scadenza incombente su un grande progetto se si sentono supportate dal team o se sanno che non saranno mere esecutrici di un compito, ma che avranno voce in capitolo.

Le aziende che hanno uno scopo condiviso (il purpose) sono avvantaggiate: secondo il Mckinsey Health Institute, crescono due volte più velocemente delle realtà concorrenti, migliorando la soddisfazione dei dipendenti e, al contempo, la fiducia dei consumatori. Oltre all’autoefficacia e all’adattabilità, si consiglia di stimolare il senso di appartenenza alla comunità, ad esempio, creando attività extra lavorative, come volontariato o iniziative di assistenza. Le attività ricreative, infatti, sono associate a un miglioramento sia della produttività che all’abbattimento di depressione, pressione arteriosa e cortisolo.

I cattivi indicatori: insonnia, stress e insicurezza economica

Attenzione allo stress: non è necessariamente un fattore negativo, in quanto è necessario per imparare, crescere e svilupparsi, ma non deve eccedere. In questo caso, i manager devono assicurarsi che i dipendenti siano stimolati, sfidati e motivati, ma non sopraffatti dalle richieste, onde evitare di incappare in burnout e disturbi mentali.

Un altro fattore da non sottovalutare riguarda il sonno. Secondo l’indagine, il 31% dei dipendenti di tutto il mondo dorme in media meno di sette ore a notte e i dipendenti con insonnia non curata costano ai datori di lavoro circa 2.280 dollari in più all’anno perché danno origine a fenomeni di assenteismo, “presenzialismo”, scarso rendimento e maggiori incidenti e infortuni. Sia l’eccessiva quantità di lavoro e che l’arrivo di cambiamenti inaspettati influiscono sull’insonnia. Per questo, sarebbe importante – ancora una volta – regolare le attività e introdurre programmi dedicati alle soft skills, con l’obiettivo di migliorare flessibilità e adattabilità.

Un ruolo di primo piano, infine, lo gioca la sicurezza economica: le persone che hanno difficoltà economiche o che non hanno un lavoro stabile hanno più probabilità di avvertire segni di cattiva salute mentale. La ricerca conferma, in particolare, che il fattore che più contribuisce al sentimento di insicurezza finanziaria dei dipendenti è il fatto che la retribuzione non sia sufficiente a coprire le loro esigenze di base.

Passare all’azione

Negli ultimi anni, le aziende stanno progressivamente prevedendo misure per la salute e il benessere del capitale umano, con iniziative di wellbeing e riduzione dello stress. Eppure, spesso, questi programmi tendono a essere sottoutilizzati. Il primo consiglio dell’Istituto è, quindi, quello di concentrarsi su un approccio “proattivo”, e non esclusivamente “reattivo”.

Per cogliere appieno i benefici che derivano dall’avere un capitale umano in salute, le aziende devono passare da una semplice protezione contro i rischi e le malattie accidentali, a una visione più olistica; da una “soluzione one shot” a una strategia di lungo periodo. Così facendo, si genereranno benefici anche in termini di attrazione e retention dei talenti, oltre che economici. Secondo le stime di McKinsey, infatti, ottimizzare la salute e il benessere dei dipendenti a livello globale potrebbe portare a un aumento del PIL mondiale tra il 4 e il 12%. Senza dimenticare che garantire un luogo di lavoro equo e inclusivo, in cui ogni diversità è valorizzata e in cui vengono rispettati gli equilibri vita – lavoro, significa marciare a pieno ritmo verso la sostenibilità, con particolare riconoscimento anche da parte dei mercati, sempre più attenti alle performance Esg.

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