Un pulmino con un carico magico di telescopi, esperimenti, giochi, libri, laboratori e speranza gira per le strade di alcune delle zone più vulnerabili delle città italiane, dove è forte la povertà educativa. Zone in cui è più debole la percezione di poter essere artefici del proprio futuro. Il pulmino porta con sé una proposta: divertirsi ad apprendere la matematica e la scienza osservando il cielo e le stelle, giocando con funi, costruendo razzi spaziali. Un’esperienza diversa, entusiasmante, durante la quale i bambini possono mettere le mani in pasta, capendo che non c’è chi è portato e chi non lo è per le materie scientifiche, ma che la conoscenza può accendere la passione e il talento, oltre che le possibilità.
Il Cielo itinerante
Potrebbe sembrare l’inizio di una favola, e forse in parte lo è. Questo è “portare il cielo dove di solito non arriva”, la mission che si è data il Cielo itinerante, un’associazione fondata nel 2021 da Ersilia Vaudo Scarpetta con Alessia Mosca, Giovanna dell’Erba e Giulia Morando, che persegue lo scopo di portare le Stem, e un po’ di magia, nelle zone di grandi divari educativi e ad alto rischio di abbandono scolastico.
In questi anni sono stati migliaia i bambini coinvolti e le attività proposte sono in continuo divenire, muovendosi tra materie scientifiche, sperimentazioni, teatro e gioco.
Ne abbiamo parlato con Ersilia Vaudo, laureata in astrofisica e dal 1991 nell’Agenzia Spaziale Europea, dove è attualmente ESA senior advisor on strategic evolution e chief diversity officer. Vaudo oltre ad essere presidente e co-fondatrice dell’associazione “Il Cielo itinerante”, nel 2023 ha pubblicato con Einaudi “Mirabilis. Cinque intuizioni (più altre in arrivo) che hanno rivoluzionato la nostra idea di Universo.”
Quali sono le iniziative messe in campo dal Cielo itinerante e le sfide per il 2024?
Solo l’anno corso, con il nostro progetto “Italia Brilla” abbiamo attraversato tutta l’Italia, isole comprese, incontrando oltre 3000 bambini in più di 60 comuni. L’entusiasmo dei bambini che ci attendevano, nelle piazze o altrove, hanno confermato quella che era stata l’intuizione iniziale: i bambini sono tutti piccoli esploratori, e l’esposizione alla scienza, la possibilità di osservare da vicino corpi celesti nascosti nel buio, sono piccole cose che mettono in atto trasformazioni che durano nel tempo. Si attivano nei ragazzi scintille di curiosità e un desiderio nuovo di proiettarsi nel futuro.
Nel 2023, accanto ad Italia Brilla, si sono affiancati altri progetti, tra cui campi estivi che proponevano un modo innovativo di apprendimento della matematica, giocando con funi, divertendosi con zollette di zucchero, o trasformando operazioni aritmetiche in storie da raccontare. Questo anno il pulmino di Italia Brilla si rimetterà, instancabile, in strada, viaggiando attraverso l’Italia con il suo carico magico, per incontrare molti altri bambini e proporremo inoltre “Le estati del Cielo”, che arricchiranno ulteriormente la nostra formula di campi estivi. Non solo scienza, matematica, e stelle, ma anche la possibilità di ideare insieme delle piccole performance teatrali, con protagonisti scienziati dalle storie affascinanti, o scoprire la musica come gioco con il mondo fisico. Ogni anno, aggiungiamo un passo nuovo.
Che impatto hanno le iniziative del Cielo itinerante?
Fin dall’inizio, abbiamo voluto elaborare i nostri progetti con un approccio rigoroso, basato anche su una valutazione oggettiva e professionale dell’efficacia della nostra “formula Cielo”. Grazie alla collaborazione con l’ente di ricerca IPSOS, abbiamo valutato l’impatto concreto che la partecipazione ad una tappa di Italia Brilla può avere sui bambini. Il risultato è stato straordinario. Per fare un esempio, alla domanda “ti piace la matematica” la maggior parte rispondeva “la odio”, per poi sottolineare che l’essere bravi in matematica era essenzialmente qualcosa di innato, frutto di “talento e intelligenza”. Al terminare della giornata le risposte si erano capovolte, e dai questionari emergeva una nuova percezione: “sarebbe bellissimo essere bravi in matematica e in fondo basta la passione”. E soprattutto, emergevano desideri inediti, come il voler fare l’ingegnere o l’astronauta. Anche con i campi estivi, sempre grazie ad una rigorosa analisi di impatto, abbiamo potuto vedere che al termine di questa esperienza i ragazzi hanno acquisito una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie capacità, superando la paura dell’errore e del “non essere capaci”.
Povertà educativa, abbandono scolastico: qual è lo status quo sul territorio e quali le strategie per poterli affrontare?
I contesti di povertà educativa sono spesso anche associati a realtà di abbandono scolastico, risultato di un contesto economico e sociale complesso. Per mitigare questi aspetti, è essenziale poter implementare programmi educativi accessibili e inclusivi, anche al di fuori delle strutture scolastiche tradizionali, per raggiungere i bambini e i ragazzi nei quartieri a rischio. Si dovrebbe poter proporre una pedagogia nuova, che possa tener conto dei grandi progressi nella neuroscienza associata all’educazione, ed agire con interventi educativi precoci. L’identità Stem, si costruisce nei primi anni di scuola. Sono questi gli anni in cui ci si forma una immagine di sé e delle proprie capacità. È necessaria quindi una grande attenzione per contrastare l’alzarsi di barriere e muri di ansia nei confronti della matematica e della scienza, così come per evitare l’affermarsi di stereotipi che influenzano nei bambini l’immaginario del futuro. Offrire la possibilità di usare il tempo delle lunghe, troppo lunghe, vacanze estive per partecipare a programmi estivi di avvicinamento alle Stem consentirebbe ai ragazzi di esplorare in modo pratico le materie scientifiche, prevenendo il “summer learning loss” e mantenendo viva la loro curiosità. Con Il Cielo itinerante ciò che sembra funzionare di più è l’aspetto esperienziale. Le mani sono uno strumento per imparare, ma quello che fa veramente la differenza è incoraggiare i bambini a cambiare la narrativa su loro stessi: si deve smettere di credere di “non essere portati”, quando si fa più fatica a capire, non ci si deve scoraggiare perché è in quello sforzo che si formano quelle connessioni cerebrali che permettono poi di fare il salto. Ed è soprattutto importante saper incoraggiare il rischio e valorizzare l’errore come tappa fondamentale dell’apprendimento.
Che ruolo hanno le Stem in situazioni di povertà educativa e perché è così importante portare avanti azioni di sensibilizzazione sul tema?
Sappiamo che i lavori di domani, alcuni dei quali ancora non esistono, richiederanno in larga maggioranza competenze Stem. Sono questi i settori a più grande tasso di occupazione e progressione salariale e gli spazi dove si immagina e si rende possibile il futuro. In un paese dove le disuguaglianze aumentano e l’ascensore sociale, per chi viene da famiglie più svantaggiate, è fermo se non in discesa, le materie Stem sono autostrade di emancipazione, anche economica. Autostrade che passano anche dalla matematica. Un linguaggio, un modo di pensare, un fattore di stima in sé stessi, e, in un mondo in trasformazione, un «abilitatore di futuro». Fino all’ultimo anno di scuola secondaria, qualunque sia il percorso scolastico scelto, continuiamo a imparare l’italiano e una lingua straniera. È ugualmente importante non lasciare nessuno indietro nell’apprendimento della matematica, linguaggio del mondo fisico e delle Stem. E se uno studente o una studentessa si convincono di non essere portati, è il dovere di un Paese “portarli”.
Il tema dell’autostima e il credere nelle proprie capacità di fronte alle scelte che definiscono il futuro, sono ancora centrali per le bambine e ragazze. Quali possono essere le chiavi di volta?
Abbiamo tutti, anche i bambini molto piccoli, un «senso dei numeri». La passione nutre il talento e i genitori e gli insegnanti hanno una considerevole responsabilità nello sviluppo dell’atteggiamento che i bambini avranno per la matematica e la scienza. Incoraggiare l’idea di «non essere portate», mettere in antagonismo le materie letterarie con quelle scientifiche, non prestare attenzione ai bias nel linguaggio, nei giochi e nelle attitudini. È così che si tracciano dei punti di non ritorno rispetto alle scelte dei percorsi a venire.
A questo si aggiunge un dato di fatto. Molti studi dimostrano che la paura di sbagliare nelle ragazze è profonda. Comincia prestissimo ed è al cuore di molte dinamiche che, nel corso della loro vita, le trattengono indietro. Le ragazze tendono infatti ad essere educate a pensare che il talento sia una questione innata, più che il risultato obiettivo di un percorso fatto di tentativi come sono invece soliti vederla i ragazzi. Anche a scuola si rischia di incoraggiare questa valutazione. Uno studio pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology ha rilevato che gli insegnanti, in seguito a un fallimento dei loro alunni, tendono a fornire agli studenti maschi un feedback basato sullo sforzo, mentre per le ragazze il focus è sulle abilità. È anche interessante notare che proprio in quei paesi dove la parità di genere è maggiore, le ragazze esprimono maggiore paura di fallire dei loro coetanei maschi.
Qual è l’augurio che vorresti fare alle bambine di oggi?
Le bambine devono potersi sentire libere di osare, di immaginare, e ciò richiede una radicale trasformazione della narrativa che accompagna l’errore, valorizzandolo come tappa necessaria dell’apprendimento e come naturale conseguenza della capacità di prendere rischi e voler innovare. Alla NASA, il motto “sbagliare non è una opzione” si è poi trasformato in “sbaglia presto e sbaglia bene”. Ricominciamo dalle bambine, e dal loro coraggio.
Alley Oop compie 8 anni quali sono le sfide che dovrà affrontare nel prossimo futuro in tema diversità e inclusione?
La diversità è una questione di attenzione e volontà, ma è nell’inclusione la vera sfida. Riuscire a fare in modo che la ricchezza della diversità possa diventare un asset, che i diversi punti di vista abbiano davvero ascolto e ci si senta al sicuro sia rispetto a ciò che si è sia a ciò che si esprime. C’e’ un modo di dire, forse banale, ma piuttosto efficace che sintetizza la differenza «la diversità è essere invitati ad una festa. L’inclusione è essere invitati a ballare». Solo ballando insieme qualcosa può cambiare.
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