Epidemia di solitudine o incapacità di stare soli?

Quasi 1 adulto su 4 si sente solo. È quanto emerge da una nuova ricerca condotta in 142 paesi. L’indagine ha inoltre rilevato che i più alti tassi di solitudine si riscontrano tra i giovani adulti, in età compresa tra i 19 e i 29 anni. Sono invece gli anziani over 65 quelli a stare meglio da questo punto di vista, con una percentuale di vissuti di solitudine che si assesta al 17%. Una dimostrazione del fatto che – diversamente da quanto spesso si crede – sentirsi soli non è qualcosa che appartiene necessariamente alla fase dell’invecchiamento, ma un’esperienza che può colpire chiunque. Non sono rilevanti, infine, le differenze di genere.

Evidenze che fanno riflettere, soprattutto perché interessano circa il 77% della popolazione adulta mondiale e che sembrano essere precedenti la pandemia. Come sottolineato a maggio dal governo statunitense.

I rischi dell’isolamento

A livello psicologico, la solitudine può contribuire alla dipendenza, all’autolesionismo e, più in generale, a vissuti depressivi e ansiosi. Al di là della sofferenza psichica, l’isolamento diventa rischioso anche per altri aspetti, in primis la salute fisica. Le ricerche hanno infatti dimostrato che questo è collegato a problemi del sonno e al presentarsi di infiammazioni. Inoltre, sembra impattare sul sistema immunitario, aumentando il rischio di malattie cardiache, ictus, diabete e demenza.

Al di là dei rischi riportati, è evidente che per l’essere umano la connessione sociale sia essenziale. Tanto quanto il cibo, l’acqua o un luogo sicuro in cui stare. Nella nostra evoluzione abbiamo avuto bisogno degli altri per sopravvivere. Oggi, la modernità ci consente potenzialmente di essere autosufficienti. Eppure, sentiamo viva la necessità di vicinanza e connessione.
È tuttavia necessario sottolineare che essere soli non significa necessariamente sentirsi soli.

Quando la solitudine è utile

Ogni persona affronta a proprio modo l’isolamento e alcuni individui possono trovarsi – magari in determinati momenti della propria vita – a ricercarlo attivamente. Stare da soli può infatti essere utile per rigenerarsi e ricaricare le batterie. Sociali e non. Gli esseri umani hanno sì bisogno di connessioni sociali per stare bene e mitigare i vissuti di stress, ma possono anche desiderare di allontanarsi da colleghi, familiari o amici per ritrovare la propria centratura ed equilibrio. Una pausa dalla socialità spesso vissuta con ambivalenza. Si dice no a una giornata d’ufficio per lavorare da casa (quando la flessibilità della propria azienda lo permette) o a una cena con amici per ritagliarsi del tempo per sé e subito scatta il senso di colpa. Ma colpa per cosa? Per volersi bene?

In un mondo che spesso incentiva la socialità a tutti i costi – tanto a lavoro quanto fuori – può dunque essere funzionale e sano prendersi una pausa dalle relazioni. Breve o lunga che sia. Questa, può inoltre contribuire a potenziare la propria capacità di bastarsi. Come sa chiunque abbia viaggiato oppure cenato al ristorante in solitaria, almeno una volta nella vita. È solo in questo modo che è possibile alleggerire davvero la paura – quella seria – di rimanere soli. Perché solamente se si può contare su di sé, nel silenzio del proprio ritiro, si è liberi.

Come magistralmente scrive José Saramago, infatti, la solitudine non è vivere da soli, quanto piuttosto “il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi.”

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  • Gloria |

    L’uomo affermava Aristotele è un animale sociale.oggi nel 2023 questa affermazione è ancora valida nonostante il preliminare delle realtà virtuali e digitali.avere un contatto vi a via ed avere soddisfacenti rapporti interpersonali ,non conta la quantità ma la qualità,produce benessere aivello psicofisico.
    Certo ci sono persone che si percepiscono sole e altre che pur stando in solitudine svuppano una ricca vita interiore e una bella capacità di stare insieme agli altri.

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