L’UE aderisce alla Convenzione di Istanbul. Cosa aspettarsi ora?

Nel mese di giugno si è finalmente concluso, con l’approvazione di due decisioni del Consiglio, il percorso di adesione dell’Unione europea alla Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

L’UE conferma il ruolo centrale e l’importanza della Convenzione di Istanbul”, con queste parole la  ministra dell’uguaglianza di genere e della vita professionale svedese commenta l’annuncio all’indomani della ratifica.

“L’UE conta 14 dei primi 20 Paesi al mondo nella classifica della parità di genere – prosegue Paulina Brandberg – Ciò nonostante, circa il 22% delle donne nell’Unione hanno subito violenze da parte di un partner intimo. Aderendo alla Convenzione, l’UE si dota di uno strumento importante”.

Il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante

Giunto nel 2021 il parere della Corte di giustizia (che si attendeva dopo la richiesta del Parlamento), si compie quanto previsto dall’art. 75 di quello che possiamo considerare  il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante nella materia, con il raggiungimento di uno degli obiettivi che la Commissione von der Leyen aveva posto come prioritario nell’ambito della Strategia per la parità di genere 2020-2025.

Dovremo tuttavia ancora attendere qualche mese per l’entrata in vigore della Convenzione, fissata per l’Unione al 1° ottobre 2023.

Ma la centralità della decisione resta e sta tutta nelle ricadute giuridiche, oltre che politiche, della scelta comunitaria.

Cosa possiamo aspettarci?

Possiamo certamente aspettarci l’introduzione di precisi obblighi di attuazione che ricadranno sia sull’UE che sugli Stati membri.  

Il quadro a livello paneuropeo adesso è più netto: la Convenzione dovrà ispirare l’azione legislativa eurounitaria. Si va verso obiettivi di protezione delle donne, ma anche nella direzione della prevenzione, persecuzione del reo, per la definitiva eliminazione della violenza: quelle che il Preambolo definisce “le quattro P della Convenzione”. 

Ma si può fare di più. L’iniziativa è della Commissione europea che ha promosso un passaggio ulteriore, ovvero l’approvazione di una direttiva. L’atto si tradurrebbe in uno strumento concreto di attuazione del testo adottato nel 2011. Il percorso che si sta compiendo mira a portare finalmente a un vero e proprio livellamento su standard di maggiore protezione, verso un’armonizzazione delle tutele, con le condotte degli Stati membri poste sotto la lente della Commissione attraverso il sistema delle procedure di infrazione.

L’impatto sui Paesi membri

Le conseguenze della recente adesione UE sono importanti anche per un ulteriore motivo. Esse, infatti, sono destinate ad avere un impatto persino su quegli Stati membri che la Convenzione non l’hanno ancora ratificata. È attraverso i Trattati che paesi come l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia o la Bulgaria, la Lituania e la Lettonia dovranno prendere atto dell’ingresso nei loro ordinamenti del diritto derivato dell’Unione che li chiama da oggi ad attuare precise misure di protezione in favore delle vittime.

La Convenzione assurge insomma a strumento di interpretazione del diritto europeo.

E poi c’è il GREVIO, comitato di esperte e di esperti prescritto dalla stessa Convenzione di Istanbul, che adesso potrà estendere il raggio del suo monitoraggio anche all’UE.

Non è slegata dalle ultime vicende neppure l’approvazione del Codice di condotta che reca “disposizioni interne relative all’esercizio dei diritti e l’adempimento degli obblighi dell’Unione europea e degli Stati membri ai sensi della convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica“.

I richiami all’Italia

Le decisioni comunitarie arrivano all’esito di un anno in cui anche i giudici EDU hanno fatto la loro parte. Sono cinque i casi – nel solo 2022 – in cui la Corte europea dei diritti umani ha ritenuto inadeguata la protezione che l’Italia ha fornito alle vittime di violenza domestica. In quanto soggetti riconosciuti “in particolari condizioni di vulnerabilità“, in favore delle vittime vige un preciso obbligo che grava in capo a ogni Stato membro e che deve assicurare alle donne una tutela rafforzata.

Il nostro Paese fa ancora troppo poco. A ogni modo, la politica sembra essersi ricordata giusto in questi ultimi giorni di luglio della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, che è diventata organo bicamerale nella legislatura in corso, con un provvedimento di ottobre. A nove mesi di gestazione, la prima seduta è prevista per mercoledì 26. All’ordine del giorno c’è l’elezione del presidente, dei vice e dei segretari. Aspettiamo con trepidazione che i parlamentari inizino a lavorare e a produrre.

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