Ricordiamo tutti quel pomeriggio del 2001, nei minimi particolari: dove eravamo, cosa stavamo facendo mentre gli aerei si schiantavano contro le Torri. E la reazione pressoché immediata degli Stati Uniti, l’attacco all’Afghanistan, la cattura di Bin Laden, la democrazia esportata nei Paesi islamici, di cui le cronache furono piene per mesi. Il romanzo “Zarifa. La battaglia di una donna in un mondo di uomini”, scritto da Zarifa Ghafari con Hannah Lucinda Smith, edito in Italia da Solferino con la traduzione di Rachele Salerno, traccia un quadro dall’interno di ciò che è seguito a quei mesi convulsi. Lei stessa racconta in un paragrafo molto significativo la sua storia e quella del suo Paese e segna un percorso che possiamo seguire:
“Mi chiamo Zarifa Ghafari e sono una donna afghana. Sono nata nel 1994, durante la guerra civile nel mio paese, e sono cresciuta sotto il primo regime talebano. Sono diventata maggiorenne nell’era successiva al 2001, sotto un governo all’apparenza democratico, sostenuto da eserciti occidentali, organizzazioni umanitarie e miliardi di dollari. Da adulta, sono diventata il primo sindaco donna della provincia di Vardak, una zona sotto l’influenza talebana a Ovest di Kabul. Quel ruolo mi ha resa una delle donne più importanti del Paese e una netta oppositrice dei talebani. Per questo i miliziani hanno cercato di assassinarmi tre volte e, non essendoci riusciti, hanno ucciso mio padre. Quando l’Afghanistan è tornato in mano ai talebani, nell’agosto del 2021, sono stata costretta a fuggire a bordo di uno dei caotici voli di evacuazione dall’aeroporto di Kabul e a cominciare una nuova vita da rifugiata in Germania. Sei mesi più tardi… sono tornata in Afghanistan, determinata ad affrontare i talebani”.
Il suo punto di vista è quello di una donna che non ha paura di opporsi ai regimi totalitari, che vietano alle donne l’accesso al lavoro, non garantiscono loro nemmeno un medico al momento di partorire, le tengono lontane dalla scuola e da ogni aspetto della vita sociale in cui siano coinvolti gli uomini.
Da sindaco, carica a cui accede vincendo un concorso (il sindaco, in alcuni Paesi, non viene eletto dal popolo, ma “selezionato dal governo in base a prove d’esame”), cerca di combattere le ingiustizie, soprattutto la scia, terribile, di corruzione che nessuno è riuscito a fermare e che è stata, anzi, sempre più alimentata.
“Dopo il 2001, quando i talebani furono estromessi e Kabul diventò un luogo più pericoloso in cui vivere e lavorare, i signori della guerra si resero indispensabili offrendo i loro ‘servizi di protezione’ a imprenditori e personaggi di alto profilo, politici compresi”.
In alcuni punti, sembra di leggere le storie di mafia che ben conosciamo, le infiltrazioni e le connivenze con gli esponenti della vita politica. Le città si riempiono del frutto di abusi edilizi, favori in cambio di denaro, i poveri sono sempre più poveri e i corrotti si arricchiscono. Zarifa cerca pian piano, attraverso una condotta politica ferrea e “giusta”, di bloccare, almeno a Maidan Shahr, questi meccanismi. Il prezzo da pagare è altissimo: il padre viene ucciso, in un atto palesemente intimidatorio indirizzato a lei; la domestica di cui si fidava la vende agli aguzzini, lascia la bombola del gas aperta e Zarifa rischia di morire per le gravissime ustioni riportate. E non sarà l’ultima volta che qualcuno attenterà alla sua vita.
Zarifa non risparmia i particolari più cruenti, perché se non si prova, almeno leggendo, il dolore che la barbarie di alcuni gruppi provoca, non capirai mai quanto possa essere difficile opporsi, in un Paese alla mercé degli invasori, dei miliziani, dei talebani. E vivere con un’amara consapevolezza: “Nel mio Paese non puoi mai dare per scontato ciò che possiedi. Potresti perderlo da un momento all’altro”.
Zarifa non perde solo il padre, e la tranquillità di una vita ordinaria; è costretta a scappare, quando gli americani decidono di abbandonare il Paese al proprio destino, e si unisce a tutti i disperati che pur di andarsene si aggrappano alle ali di un aereo in partenza, sfidando la morte lungo strade presidiate da uomini con i kalashnikov pronti a sparare. Per raggiungere l’aeroporto e scappare, con il rimorso di aver lasciato la sua terra e il desiderio di tornare.
Questo memoir è interessante non solo perché ci porta dentro un pezzo di storia al di là delle cronache, ma ci mette davanti a una donna fortissima, battagliera, coraggiosa, che non teme di ammettere ogni sua contraddizione, la fragilità, la paura, la consapevolezza che esiste un limite oltre il quale, pur a malincuore, è meglio non spingersi, anche per il bene di chi ci sta accanto. E accetta il suo dolore, che è il dolore di tutte le donne: “Se indugiassimo troppo a lungo, non avremmo tempo per nient’altro che il nostro dolore, così lo seppelliamo dentro di noi e ci convinciamo che sia la nostra normalità. Ma non diventa mai davvero normale. Ogni attacco assesta un altro colpo alla nostra psiche collettiva, proprio come in qualsiasi altro posto del mondo”.
Proprio quando rientra a Kabul, ormai governata dai talebani, prende forma una pesantissima consapevolezza, che lascia con l’amaro in bocca: “Per tutta la vita i talebani erano stati la cosa che avevo temuto di più, l’entità che abitava i miei incubi e aveva causato buona parte dei miei traumi. Li odiavo. I miliziani avevano ucciso mio padre, mi avevano costretta a rinunciare all’incarico di sindaco e infine a fuggire. … Eppure ecco Kabul, per certi versi più efficiente di prima… …i talebani guadagnavano riempiendo gli spazi lasciati vuoti dal governo. …In tal caso, però, che senso avevano le battaglie che avevo combattuto per tutta la vita?”.
Proprio quando tutto sembra perduto, inutile, basta andare un po’ avanti, lungo questo flusso narrativo ed emotivo, per scoprire che Zarifa riesce a trarre il meglio anche da una situazione che ancora ha bisogno di una sferzata. Ovvero, che le donne afghane hanno saputo approfittare dei vent’anni in cui il mondo occidentale, entrato in maniera decisa nel loro Paese ha permesso loro di accedere agli studi, lavorare, ricoprire ruoli importanti, mescolarsi agli altri, agli stranieri, accettarsi; e insieme con loro sono cambiati anche i talebani, che oggi appaiono più giovani, raffinati, aperti e disponibili a dialogare, secondo Zarifa.
Ed è proprio grazie a questa breccia, aperta in quel mondo di integralisti, che Zarifa continuerà, con pazienza, la sua battaglia, basata sul dialogo, proprio come faceva quando da sindaco andava fino alle zone più remote dei villaggi per ascoltare le sorelle. “Ho il tempo e la pazienza per continuare questa battaglia, parlando con le donne una alla volta, scambiando opinioni e piantando il seme del cambiamento”.
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Titolo: “Zarifa. La battaglia di una donna in un mondo di uomini”
Autrici: Zarifa Ghafari con Hannah Lucinda Smith
Traduttrice: Rachele Salerno
Editore: Solferino
Prezzo: euro 19,50
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