“Alice, darling” una storia di abuso emotivo al cinema

Un racconto femminile, sottile, in cui la storia si svolge tra le righe e tra le sfumature della trama. È “Alice Darling”, regia di Mary Nighy, al cinema in Italia dal 4 maggio. La storia è quella di Alice (Anna Kendrick), una giovane donna di cui comprendiamo subito, dalle prime scene, che è vittima di una relazione abusante, dove il fidanzato Simon (Charlie Carrick) gioca il ruolo del manipolatore. Le dinamiche sono quelle che sempre più spesso sentiamo raccontare dai fatti di cronaca: gelosia, mania di controllo, limitazioni della libertà personale. Simon decide tutto per Alice, da cosa indossare a cosa mangiare, e attraverso le sue continue critiche che hanno sempre un tono mellifluo e adulante, disegna una gabbia in cui non permette di entrare nemmeno alle amiche più care di Alice.

La donna che vediamo ci appare da subito come coperta da un velo, appannata. C’è paura, c’è confusione in lei: queste dinamiche abusanti finiscono infatti con il minare completamente l’autostima delle vittime, compromettendo la percezione stessa della propria identità. Ma il racconto non indugia troppo in questa parte della vita di Alice, perché in realtà vuole parlare di salvezza. Non come atto eroico o belligerante, Alice è troppo stanca e sfiancata per sollevarsi come una guerriera. Il fatto è che all’esterno continua ad apparire come una donna di successo, bella, a cui non manca niente, ma solo chi la conosce veramente capisce che si tratta di una facciata.

Questo è in fondo il fulcro della storia: Alice ha due amiche, interpretate da Wunmi Mosaku e Kaniehtiio Horn, che non credono alla storia perfetta e capiscono i segnali di malessere che lei lancia anche involontariamente. Ed è durante una vacanza con loro, a cui Alice riesce ad andare solo raccontando una bugia a Simon, che lentamente prende consapevolezza del proprio malessere, accettando l’aiuto di chi davvero le vuol bene per ciò che è, con debolezze e fragilità, e la aiuterà a risalire la spirale del dolore, e ad affrontare le ripercussioni che non si fanno attendere da parte di Simon.

Nighy, al suo debutto con un lungometraggio, bilancia queste prospettive con una grande sensibilità. Gli scambi, gli sguardi  e i gesti da amica ad amica o da amante ad amante sembrano una continua negoziazione. I momenti teneri tra la giovane coppia sono evidenti abusi verbali ed emotivi, mentre nelle tensioni fra le amiche si percepisce chiaramente tutto l’affetto che le lega e il tenersi insieme, non volersi abbandonare. Tutto gioca per una decostruzione di ciò che siamo abituati a chiamare “amore”, per mostrare quanto invece possa essere potente e solida la rete di salvataggio amicale. In qualche modo lo spettatore è chiamato a immedesimarsi con le amiche di Alice e a responsabilizzarsi nel ruolo che gioca all’interno delle proprie relazioni affettive.

Il contenitore narrativo è rarefatto, Nighy non teme di prendersi tempo per esplorare le relazioni nelle loro sottigliezze, il mondo di Alice sembra un po’ meno luminoso di quello in cui vivono i suoi amici, come se si avventurasse fuori solo nei giorni nuvolosi. La tensione si costruisce in modo quasi impercettibile: diventa chiara quando scorrono i titoli di coda, e il sollievo sale come una boccata d’aria fresca dopo essere stati sott’acqua.

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