Passi avanti e stop: a che punto siamo con la parità di genere?

Passi avanti, dal punto di vista normativo e regolatorio, ne sono stati fatti molti. Ma alla prova dei fatti parlare di parità di genere in Italia significa ancora parlare di un obiettivo – lontano – da raggiungere. Partendo dalle norme previste dal nuovo Codice degli appalti di qualche giorno fa, passando per il Family act (che va visto alla prova dei fatti, al di là delle buone intenzioni), ma anche considerando la svolta impressa dalla legge n. 162/2021, che ha modificato il Codice delle pari opportunità, ci sono passi avanti innegabili così come lacune da colmare. Marilena Hyeraci, Of Counsel di Chiomenti e fondatrice dello Women Affinity Network, ci aiuta a fare il punto sulle politiche di genere in Italia oggi.

I traguardi raggiunti nel 2022

Il 2022 è stato un anno di svolta per la parità di genere nel mondo del lavoro, anche grazie alla legge n. 162/2021 che ha introdotto tre importanti novità. Innanzitutto  l’obbligatorietà per tutte le aziende con più di 50 dipendenti (prima la soglia era 100) di redigere il rapporto biennale sulla situazione del personale, che contiene anche un’analisi di genere dei lavoratori. La seconda novità è la revisione della definizione di discriminazioneincludendo– spiega l’avvocata Hyeraci – ad esempio, la delicata fase di selezione, dove spesso le donne vengono penalizzate per il “rischio” maternità o per i carichi di cura famigliari, nonché, della discriminazione indiretta, nella quale rientrano, al ricorrere di determinate condizioni, anche le modifiche organizzative che incidono sull’orario di lavoro”. E infine la Certificazione della parità di genere, di cui abbiamo già parlato nei dettagli in un altro post, su base volontaria, ma con un sistema premiale di incentivi e sgravi. “Certificazione anzitutto vuol dire misurazione, la consapevolezza di dove si è rappresenta il primo passo, per poi costruire una strategia verso l’inclusione adatta alla propria realtà organizzativa”, commenta l’avvocata.

Le questioni aperte per imprese e famiglie

Attenzione però – spiega ancora Marilena Hyeraci – perché l’applicazione delle leggi va monitorata. Bene che nell’ultima versione del nuovo Codice degli appalti – frutto di numerosi rimbalzi – ci sia di nuovo il maggior punteggio per le imprese che hanno ottenuto la certificazione della parità di genere, una premialità tolta nello schema inizialmente sottoposto al Parlamento.

Se volgiamo lo sguardo dalle aziende alle famiglie, è il “Family Act”, varato nel 2022, che ha avuto il merito di creare un quadro organico di supporto alle famiglie con figli e ai giovani. Ma l’assegno unico e universale mensile per ogni figlio a carico fino al compimento dei 21 anni (al ricorrere di determinate condizioni)  e il sostegno alle famiglie per le spese educative e scolastiche e per le attività sportive e culturali – due dei pilastri della Legge – non sempre sono efficaci.

Con 20mila euro di stipendio e due figli piccoli non conviene lavorare

A volte il bilancio tra le entrate -lo stipendio – e i costi per i figli non è in positivo, nonostante il Family Act, e la tentazione di “mollare” può essere forte. Prendiamo per esempio una donna con due figli a carico, di cui uno al nido e l’altro alle elementari. Tenuto conto del sostegno per le spese educative e scolastiche (detrazione Irpef pari a 152 euro rispetto alla spesa per la scuola elementare + detrazione Irpef massima pari a 120 euro per il figlio che frequenta l’asilo nido), con uno stipendio di 20.000 euro lordi, succede che:

SCENARIO A, al Nord Italia
La retta mensile media per un nido è di 700 euro al mese, al quale va aggiunto un costo stimato per la baby sitter di 10 euro l’ora e il costo medio stimato delle attività sportive (1 o 2 volte la settimana) di 300 euro a trimestre. Con imposte pari a circa 4.500 euro, il totale dello stipendio rimanente è di circa 5.000 euro l’anno. Se a questo si aggiunge la spesa per la baby sitter (senza calcolarne i contributi) lo stipendio si azzera.

SCENARIO B, al Sud Italia
Il costo stimato di una baby sitter – dato che la copertura dei nidi è del 33% in Italia, e al Sud è più difficile trovare posti  – è in media di 8 euro al quale va aggiunto il costo medio di attività sportive (1 o 2 volte la settimana) di 150 euro a trimestre. Con circa 4.500 di imposte, il totale dello stipendio rimanente è di circa 5.500. Anche in questo caso, considerando la spesa per la baby sitter, lo stipendio si azzera.

Anche l’aumento a 10 giorni del congedo di paternità obbligatorio – da utilizzare dai due mesi prima della data presunta del parto fino ai cinque mesi successivi alla nascita – e l’estensione del divieto di licenziamento anche a favore del padre in caso di fruizione del congedo di paternità fino al compimento di un anno di età del bambino, sono diventati strutturali. Eppure questi strumenti non sono sufficienti.

Le sfide del prossimo futuro

Se la parità di genere è ancora un percorso ad ostacoli in Italia, è anche vero che piccole misure possono fare la differenza. Come quelle proposte dal tavolo tecnico in materia di “Governance e rispetto delle politiche di genere”, coordinato dall’onorevole Cristina Rossello, lanciato a fine febbraio e che ha coinvolto autorevoli esponenti delle principali associazioni e community attive in materia di inclusione.

L’obiettivo – spiega Marilena Hyeraci – è di proporre soluzioni migliorative concrete. Qualche esempio? “Uno dei principali ostacoli alla reale parità di genere in Italia è la nostra cultura, ancora impregnata di stereotipi e pregiudizi, portati avanti spesso inconsapevolmente. L’introduzione della formazione obbligatoria sulla parità di genere, ad esempio, nell’ambito dei percorsi di compliance integrata oppure dei corsi per la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro potrebbe portare una maggiore consapevolezza sul tema”.

O ancora, la previsione di più generali strumenti di gender procurement, che assegnino una premialità nel punteggio di gara alle aziende con politiche interne a supporto di una maggiore partecipazione femminile sia nei ruoli di vertice che nell’esecuzione dell’incarico. Molto importante è anche, visti i risultati raggiunti grazie alla Legge Golfo-Mosca, la possibilità di estenderla a tutte le società – con una certa soglia di dipendenti – con meccanismi di enforcement automatici per garantirne il rispetto.

A questo proposito ad esempio, “resta un caso isolato la sentenza del Tribunale di Milano del 5 maggio 2021, che ha ritenuto sussistere una giusta causa di revoca dell’amministratore nel caso dell’inadempimento degli obblighi ex legge attinenti alla composizione equilibrata sotto il profilo del genere dell’organo amministrativo di società partecipata da un ente pubblico”. Sulla genitorialità, dalla simulazione sopra descritta, i dati parlano chiaro: l’accesso agli asili nido su base gratuita indipendentemente dalla fascia di reddito, sarebbe certamente uno strumento reale di supporto alle famiglie; e sulla paternità, il tavolo tecnico guarda al Nord Europa e sta lavorando ad una proposta per estenderla oltre i 10 giorni.

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